Sabato, 08 novembre 2025 - ore 01.01

Pianeta Migranti. Assurdo deportare i palestinesi nei paesi africani.

Il Sud Sudan tra le possibili destinazioni

| Scritto da Redazione
Pianeta Migranti. Assurdo deportare i palestinesi nei paesi africani.

 

Pianeta Migranti. Assurdo deportare i palestinesi nei paesi africani.

Il Sud Sudan tra le possibili destinazioni.

 Nelle ultime settimane è circolata una notizia inquietante: Israele avrebbe sondato il Sud Sudan come possibile destinazione per un “ricollocamento” forzato di civili palestinesi di Gaza.

Il 13 agosto, una delegazione israeliana, guidata dalla vice ministra degli Esteri Sharren Haskel si è recata a Juba, capitale del Sud Sudan, firmando un memorandum di cooperazione con il governo locale. I dettagli dell’intesa restano nebulosi, ma subito il governo di Juba ha smentito l’ipotesi di accogliere i gazawi. Perché di questo si tratterebbe: deportazione.

E il diritto internazionale parla chiaro. Le Convenzioni di Ginevra vietano in ogni circostanza il trasferimento forzato di civili da un territorio occupato. La Corte penale internazionale classifica questi atti come crimini di guerra, e se commessi su larga scala, come crimini contro l’umanità.

Pensare di inviare i palestinesi in Sud Sudan è non solo illegale, ma anche assurdo. Il Paese, indipendente dal 2011, ha vissuto una sanguinosa guerra civile tra il 2013 e il 2018 che ha fatto circa 400 mila vittime e generato un milione di sfollati. La pace siglata nel 2020 è fragile, e i conflitti interni continuano ad alimentare una delle peggiori crisi umanitarie al mondo: oltre metà della popolazione soffre la fame, milioni di persone vivono in campi profughi, epidemie e inondazioni colpiscono regolarmente comunità già allo stremo.

In questo contesto, “ricollocare” decine di migliaia di palestinesi significherebbe condannarli a un nuovo inferno, privarli del diritto al ritorno, renderli apolidi e tagliati fuori da qualsiasi tutela internazionale già attivata per Gaza.

La comunità internazionale ha precise responsabilità.

Non si può spacciare una deportazione per una soluzione umanitaria. Il diritto internazionale è inequivocabile: gli Stati non possono né riconoscere né sostenere trasferimenti forzati, pena la complicità in un crimine.

Le alternative esistono e sono urgenti: finanziare la risposta umanitaria a Gaza e nei Paesi vicini, aprire corridoi sicuri, garantire cure mediche, attivare evacuazioni temporanee ma sempre con la garanzia del ritorno. L’Unione Europea e l’Italia, in particolare, dovrebbero respingere pubblicamente ogni ipotesi di deportazione, condizionare la cooperazione con Israele al rispetto delle convenzioni internazionali e sostenere con forza le indagini della Corte penale internazionale già in corso.

Davanti allo spettro della deportazione dei gazawi, sorge spontanea una domanda: cosa avrebbe potuto fare la comunità internazionale per non arrivare a questo punto?

Dal 1947 le Nazioni Unite hanno approvato centinaia di risoluzioni: sul ritiro di Israele dai Territori Occupati, sul diritto al ritorno dei profughi, sullo status di Gerusalemme. Eppure nessuna è stata fatta rispettare. Nessuna sanzione, nessuna reale pressione.

Dal 1967 la Palestina è sotto occupazione, mentre Stati Uniti ed Europa hanno continuato – e continuano – a fornire armi e sostegno militare a Israele, nonostante le accuse di crimini di guerra e di genocidio. Così, invece di fermare l’escalation, l’hanno alimentata, rendendosi corresponsabili.

Se la comunità internazionale avesse usato davvero i suoi strumenti – diplomatici, economici, giudiziari – oggi forse non saremmo qui a parlare di deportazione di un intero popolo.

 

 

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