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Piero Caprini racconta l'inverno del '44 sulla linea gotica | Giuseppe Azzoni

| Scritto da Redazione
Piero Caprini racconta l'inverno del '44 sulla linea gotica | Giuseppe Azzoni

Tanti italiani, nel secolo appena trascorso, hanno vissuto momenti davvero incredibili, vicende che per fortuna le generazioni successive hanno magari visto solamente al cinema... Ecco una di queste vicende, avvenuta attorno al Natale di oltre sessanta anni fa, così come ce l’ha raccontata il nostro concittadino Piero Caprini che ne è stato il protagonista.

Caprini, classe 1925, ha diciotto anni quando è costretto – dopo l’otto settembre 1943 – a presentarsi al Distretto militare di Cremona. Il primo dicembre gli danno una divisa, quindi fa alcune settimane di addestramento nella caserma “Col di Lana” con le altre reclute delle classi 1924 e 25. Viene inquadrato nel Genio,  terza Compagnia, comandata dal Cap.no Tortona, noto a Cremona come comandante della Milizia fascista e grande amico dei tedeschi. Il plotone cui apparterrà Piero, il terzo, è diretto dal Ten. Ciardelli, dalle caratteristiche ben diverse, come si vedrà poi. Caprini ci tiene a ricordare che chi comandava veramente queste truppe, messe insieme col famoso bando di Salò, erano i tedeschi. Un loro sergente per le decisioni vere contava più degli ufficiali italiani, e nella terza compagnia del Genio quel sergente si chiamava Kraus ed era particolarmente duro ed odioso. Concluso il periodo di addestramento, nel febbraio del ’44, i genieri di Cremona – con Caprini – vengono mandati nelle Marche, nella zona della “Gotenstellung”, quella “linea gotica” che tagliava la penisola da Massa a Pesaro, sugli Appennini, larga diversi chilometri, e che i tedeschi predisponevano per resistere ad oltranza. Un viaggio non facile, con la tradotta bloccata due volte, a Cesena e poi a S. Arcangelo di Romagna da attacchi aerei alleati. Quando i cremonesi arrivano a destinazione trovano un abbondante metro di neve, il mezzo su cui Piero viaggia, un pullmann a legna, non ce la fa e sono i soldati che lo spingono fino alla meta, che è a Pian di Meleto, in provincia di Pesaro, dove si installa il Comando della Compagnia. Il plotone di Ciardelli, con Caprini, è mandato più su, a Cavoleto, a 1600 m. di altezza, dove è impegnato a costruire i bunker delle poderose installazioni difensive, i camminamenti, le fosse anticarro, i campi minati che costituivano la linea gotica. Già a Cremona e durante lo stesso viaggio Caprini si era messo in luce esprimendo insofferenza, malcontento e critiche... Dicendo di “volerlo meglio controllare” il ten. Ciardelli se lo prende come attendente e portaordini... Caprini fa spesso la spola da questa postazione al Comando di Pian di Meleto... non ne può più di questa vita, non condivide niente di quello che deve fare, vede cose che lo incitano a ribellarsi. Ricorda ancora un commilitone bresciano ridotto in fin di vita da una punizione del cap. Tortona per futili motivi: legato a un albero e lasciato per 24 ore esposto ad una gelida tormenta. Caprini decide di fuggire, pur sapendo che il rischio di lasciarci le penne è altissimo. Infatti per i nazifascisti questa zona era militarmente vitale per cui erano ingenti le azioni di sorveglianza ed i rastrellamenti. Nei fugaci contatti nella locale osteria con gente del posto (naturalmente assai ostile e diffidente perché consideravano quei militari come “volontari” di Salò) aveva saputo della presenza di forze partigiane ed in particolare di un barbiere di Pian di Meleto che indirizzava i giovani in quella direzione. Caprini ne conquista la fiducia, il barbiere lo mette in contatto con i partigiani. Gli dicono che, per intanto, è meglio che Caprini stia dov’è, non solo perché in quel momento la vigilanza fascista (condotta anche dalla X MAS) è intensissima ma anche per la evidente utilità per la Resistenza di avere un contatto all’interno stesso delle truppe. Si tenga infatti presente che un compito essenziale dei partigiani in zona – richiesto loro dallo stesso Comando Alleato – era quello di conoscere e riferire quanto avveniva da questa parte delle linee, tra i tedeschi e gli italiani. Caprini ricorda che un altro partigiano cremonese là presente, Renzo Ruffini di Vescovato, proprio a questo scopo andava e tornava attraversando con enorme rischio la linea tra tedeschi e americani. Così Caprini rimane nel suo reparto.

 

AZIONI PARTIGIANE E FUGA NEI BOSCHI

 

Caprini, ricordato il fatto di essere rimasto nel proprio reparto militare dopo aver stabilito il contatto coi partigiani, prosegue nel suo racconto sempre più incalzante.

Avverranno “colpi di mano” partigiani audaci in zona, il più clamoroso ha luogo il 7 aprile: un gruppo di garibaldini sorprende e neutralizza la guardia del Comando Genio di Pian di Meleto, si impossessa di armi, cavalli e carriaggi e porta con sé il Cap. Tortona... in mutande. Naturalmente quel giorno io non ero lì, dice Caprini, ero a Cavoleto con la certezza che nessuno sospettasse dei miei contatti coi partigiani... ma il ten. Ciardelli, sibillino, mi dice “stai attento...” e mi dà l’impressione di sapere qualcosa. Di lui avevo già notato il comportamento ben lontano dallo stile carognesco di altri, ma ho capito tutto quando ho saputo che, nell’agosto 44, era nelle file della Resistenza. Comunque Caprini capisce che appena possibile è meglio cambiare aria, tiene per un paio di settimane un comportamento irreprensibile in attesa della occasione buona. Occasione che si presenta il 28 di aprile: è notte fonda, Caprini fa il turno di guardia tra le due e le quattro, con lui il commilitone cremonese – di Spinadesco – Enrico Manzini che non se la sente di fuggire ma sul cui silenzio può fare affidamento. Egli sa che nei pressi passa un gruppo partigiano che va a compiere un sabotaggio ad una postazione SS sulla cima Lupaiolo, si allontana e si unisce a loro. Così entra a far parte della V Brigata Garibaldi, comandata in quel momento da Alessandro Vaia cui subentrerà pochi mesi dopo il giovanissimo Alessandro Ricci. La pattuglia di cui Caprini farà parte è tra quelle di cui è responsabile lo studente Rosaspina (che anni dopo sarà Presidente della Provincia di Pesaro), il quale gli dà l’incarico di capo pattuglia. La Resistenza agisce qui in una delle zone più difficili, è piena zona di guerra, i partigiani hanno un pericolosissimo compito di disturbo delle forze tedesche qui concentrate in modo massiccio e impegnate nel durissimo contrasto delle forze alleate che salgono verso nord: è noto che questo scontro sulla linea gotica dura fino a ridosso dei giorni della Liberazione! Pertanto le pattuglie partigiane sono sempre in movimento per sfuggire ai continui e spietati rastrellamenti, con spostamenti notturni nelle zone più impervie. come il Monterone, non agibile da truppe militari ma difficilmente vivibile anche per i partigiani. All’alba del 14 giugno la pattuglia di Caprini sta tornando alla base quando scorgono un gruppo di SS che sta dandola alle fiamme. Non sono stati visti, immediata la fuga; Caprini con altri due, i cremonesi Angelo Marchi di Vescovato ed Emilio Rossi, riparano nel folto di un bosco. Non conoscono la zona e vagano tra la fitta vegetazione per diversi giorni e notti, potendo nutrirsi solo di radici e foglie... Ad un certo punto Marchi, giunto al margine del bosco, si fida ad uscire allo scoperto: ha l’immensa sfortuna di incappare in una pattuglia di Brigate nere. Viene catturato e portato prigioniero a Mercatale. Rintanati ancora nel folto, dopo altri tre giorni di inenarrabili stenti, ormai allo stremo, Caprini e Rossi tornano al margine del bosco e ne escono, per fortuna questa volta si imbattono in alcuni contadini che stanno mietendo. Essi li salvano dando loro qualcosa da bere e da mangiare e spiegano loro dove si trovano. In seguito apprendono l’atroce notizia che il giorno 28 giugno Angelo Marchi, dopo essere stato torturato, è stato fucilato a Sassocorvaro di Pesaro. Non aveva ancora 19 anni. La fuga dei due continua, verso nord. Ha luogo un fortuito incontro, in un’altra zona boscosa e disabitata, con due paracadutisti inglesi che radiotrasmettevano da una casupola di legno. Dopo aver potuto rifocillarsi per breve tempo in quel rifugio Caprini e Rossi giungono in Romagna, nei pressi di Predappio. Raggiungono una piccola chiesa isolata tra i campi: il prete mostra affabilità, li riceve, li mette a tavola con del buon cibo, si allontana... e rientra poco dopo con un manipolo di Brigate nere! Sorpresi e catturati i due, che non sono armati né recano segni di essere dei combattenti, sono picchiati e portati in una caserma a Forlì. Era il 20 luglio. Vengono messi nella stessa cella, isolata per 4 giorni, praticamente senza cibo. Poi l’interrogatorio. Caprini racconta: “ho contato uno per uno gli scalini che mi hanno fatto salire a spintoni per raggiungere la stanza dell’interrogatorio, erano 104... La stanza era molto stretta, neanche due metri per tre, fari potenti mi abbagliavano, per un tempo indefinito mi tempestarono di domande accompagnate da percosse con una specie di spazzolone irto di chiodi che feriva a sangue. Sono riuscito a non dire niente di significativo... Del resto loro non sapevano che ero un partigiano ed io da tempo vagavo disperso senza sapere niente di quanto accadeva intorno. Poi anche Rossi è stato interrogato... in seguito ci hanno separati e ci siamo persi di vista”.

 

25 APRILE A VESCOVATO

 

Il racconto di Piero Caprini, giunto a fine anno ’44, si avvia alla conclusione. Lo prego di parlare anche dei giorni della Liberazione, quando egli era riuscito a tornare nel cremonese. Ma riprendiamo dalla caserma di Forlì in cui Caprini era prigioniero delle brigate nere: una decina di giorni dopo l’interrogatorio avviene un episodio tragico, e Piero si salva per caso. Racconta: “in caserma ore di grande agitazione, i fascisti hanno deciso una rappresaglia: ci mettono tutti in fila, prendono i primi dieci e li fucilano... io ero l’undicesimo, pochi centimetri in quella fila mi hanno salvato la vita! Quelli che, come me, sono rimasti in vita, credo, lo devono al fatto che i tedeschi avevano bisogno di gente che lavorassero come schiavi nel ripristino di linee ferroviarie e di gallerie bombardate e vitali per i loro collegamenti... ed infatti noi prigionieri abbiamo lavorato molti giorni sulla Bologna – Firenze. Anche qui condizioni disumane, basti dire che in galleria ti piombavano addosso treni senza preavviso, molti sono morti così!” Caprini riprende il racconto: durante un trasferimento in direzione di Modena col treno c’è un mitragliamento aereo, approfitto del caos per scappare. Vado verso nord a piedi, passano tre o quattro settimane, sono vicino a Bondeno quando una maledetta pattuglia tedesca mi intercetta e mi cattura di nuovo. Segue un altro periodo di lavoro forzato, in diversi posti e quindi lungo il Panaro. Il Natale del 1944 lo trascorro nei pressi di Lugo, a costruire bunker, c’era anche un cremonese, certo sergente Talamazzi. Sempre mandati di qua e di là a fine gennaio 1945, continua Caprini, mi trovo a Bocca Leone, tra Ravenna e Ferrara... c’è un bombardamento, siamo in sei chiusi in una stanza, entra uno spezzone, quattro di noi sono morti. Primavera: siamo intruppati coi tedeschi ormai in ritirata, con una tradotta giungiamo a Piadena, dove ci chiudono nelle scuole. Il cuore è in tumulto! Si respira aria di casa e si spera con ansia in un momento buono per scappare! E questo arriva il 10 marzo, alcune guardie ...allentano la vigilanza e così diversi prigionieri ne approfittano per tagliare la corda... Per Caprini le peripezie non sono finite, ma ormai è nella sua terra – a Scandolara Oglio, a Seniga - dove gli è facile nascondersi, aiutato dai famigliari. Il 25 aprile è a Vescovato dove, nella cascina Soregarolo di Montanara, vive la sua famiglia, E partecipa, facendo tesoro di quanto aveva appreso a militare e tra i partigiani, alla insurrezione. Il 26 aprile, in particolare, è sulla strada di Cà de Stefani, con un fucile mitragliatore, insieme a qualche altro insorto: muovendosi con perizia ottengono la resa di un centinaio di tedeschi che stavano sopravvenendo oramai in fuga. Arrivano, si fermano ad una cascina che c’è sul posto, catturano davanti al portone il giovane Piazza, figlio di un agricoltore, lo mettono immediatamente al muro facendo evidenti preparativi per fucilarlo. A questo punto Caprini spara alcune raffiche col mitragliatore: i tedeschi sono colti di sorpresa, non sanno chi e quanti li fronteggino, si danno prigionieri e consegnano le armi (...e Piazza si salvò). Vengono portati a Cremona e consegnati alle Autorità della Liberazione, insieme a numerosi altri catturati alla Cascina Casanova (dove l’azione l’ha condotta Felice Arienti) ed a Pescarolo. “Non abbiamo torto loro un capello”, dice Piero Caprini. “E pensa che tra loro c’era anche il sergente Kraus! Alla Caserma Paolini, aggiunge, ho riconosciuto un soldato austriaco, mi pare si chiamasse Mendes, che si era comportato umanamente con noi quando eravamo prigionieri, e aveva avuto tre figli uccisi in guerra... Ho fatto presente questo a chi di dovere e Mendes è stato rimandato a casa, in Austria, col foglio di via...”

Caprini conclude il racconto riferendo un drammatico episodio avvenuto a Vescovato proprio il 25 aprile. Riguarda due russi che si erano rifugiati sin dall’otto settembre ’43 in un cascinale... di giorno stavano nascosti nei campi e vi tornavano la sera. Proprio quella sera furono sorpresi da alcuni tedeschi che aprirono immediatamente il fuoco. Uno dei due muore e cade a coprire l’amico, a sua volta ferito. Questi finge di essere morto, un ulteriore colpo di pistola gli sfiora il capo... rimane così tutta la notte, il mattino i tedeschi se ne vanno e lui è salvo!

(* Il Piccolo, dicembre 2006. Testimonianza raccolta per appunti nel novembre 2006, il testo è stato visto ed approvato da Piero Caprini).

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