Venerdì, 26 aprile 2024 - ore 02.14

RSU della Provincia di Cremona: conferenza stampa del 21 giugno

Conferenza stampa indetta al fine di presentare le problematiche dei dipendenti del Settore Lavoro della Provincia preoccupati del loro futuro professionale.

| Scritto da Redazione
RSU della Provincia di Cremona: conferenza stampa del 21 giugno



Conferenza stampa indetta al fine di presentare le problematiche dei dipendenti del Settore Lavoro della Provincia preoccupati del loro futuro professionale e della riduzione dei servizi pubblici erogati ai cittadini conseguenti alla mancata applicazione delle norme statali

da parte di Regione Lombardia.

I servizi per il lavoro e i relativi Centri per l’impiego sono stati attribuiti alla competenza delle Province fin dal 1999 con il trasferimento dei cosiddetti “uffici di collocamento” dallo Stato alle Province.

Da allora le Province hanno continuato a gestire questi servizi sia pure nelle difficoltà dovute alla scarsità di risorse che tradizionalmente in Italia sono riservate alle politiche attive per il lavoro.

Il nuovo assetto del mercato del lavoro, tuttavia, ha fatto esplodere la richiesta di questi servizi in considerazione, per esempio, del fatto che l’assoluta maggioranza dei nuovi contratti di lavoro è a tempo determinato: in provincia di Cremona, per esempio, ben il 75% dei nuovi

contratti è a tempo determinato con durate comprese tra i 4 ed i 6 mesi; in altre aree del Paese la percentuale supera addirittura anche l’80%.

Questo nuovo assetto del mercato del lavoro fa si che le persone, nel corso della loro vita lavorativa, ricorrano più e più volte ai servizi per il lavoro per farsi sostenere nella ricerca di una nuova occupazione.

Diversa era la situazione fino a 10/15 anni fa quando il contratto di lavoro prevalente era a tempo indeterminato e le persone ricorrevano all’ufficio di collocamento solo per certificazioni amministrative e non per l’erogazione di veri e propri servizi.

Sfortunatamente, in Italia i servizi per il lavoro sono ancora poco conosciuti (così come sono poco conosciute le nuove dinamiche del mercato del lavoro) e, fino ad ora, si è fatto ben poco per svilupparli: d’altra parte, questo è uno dei motivi per i quali il mercato del lavoro

italiano risulta tra i più inefficienti nel mondo occidentale!

Il Jobs Act ha introdotto, con il decreto 150/2015, un importante potenziamento dei servizi per il lavoro come bilanciamento rispetto alla riduzione temporale degli ammortizzatori sociali e alla precarizzazione del lavoro.

È stato cercato un nuovo equilibrio tra le politiche passive del lavoro (cioè gli ammortizzatori sociali) e le politiche attive del lavoro (cioè i servizi che sostengono il lavoratore nella ricerca di un inserimento lavorativo).

In Italia, tradizionalmente, il ruolo delle politiche passive è sempre stato prevalente rispetto a quello delle politiche attive e ha sempre assorbito la maggior parte delle risorse creando, però, pesanti distorsioni nel mercato del lavoro e lo sviluppo di comportamenti cosiddetti “opportunistici” da parte di diversi soggetti.

Il modello di gestione dei servizi definito dall’attuale normativa è quello del cosiddetto “quasi mercato” dove coesistono un operatore pubblico e diversi operatori privati accreditati: all’operatore pubblico è riconosciuto il ruolo di “unica porta di accesso” ai servizi finanziati pubblicamente e agli operatori accreditati la funzione di erogatori dei servizi stessi.

E’ lo stesso modello che da tempo esiste nella sanità dove è un soggetto pubblico che decide le prestazioni a cui l’utente ha diritto e poi l’utente può richiedere tali prestazioni alla struttura accreditata che meglio lo soddisfa.

Il quadro normativo statale stabilisce che i Centri per l’impiego siano uffici regionali e che il personale delle Province sia trasferito alle Regioni. Questa concentrazione di funzioni e personale nelle mani delle Regioni è chiaramente finalizzata a potenziare i servizi per

adeguarli alle nuove esigenze del mercato del lavoro.

Siamo, dunque, in una fase decisiva per il futuro dei lavoratori che già si sono visti ridurre gli ammortizzatori sociali e ora corrono il rischio di non avere a disposizione nemmeno i servizi per il lavoro necessari.

Le Regioni si sono tutte già mosse nella direzione indicata dalla normativa statale, scegliendo di assumere direttamente la funzione e i dipendenti oppure di gestire il tutto tramite apposite Agenzie Regionali.

La Regione Lombardia, unica in Italia, interviene con un progetto di legge, che verrà portato in Consiglio per l’approvazione il prossimo 26 giugno, che disattende le disposizioni dello Stato: tiene per sé la funzione e la titolarità dei Centri per l’impiego, delegando alle

Province lombarde la gestione di specifici “procedimenti amministrativi” connessi all’attività dei Centri e mantenendo il personale nei ruoli sovrannumerari delle Province.

La Regione Lombardia quindi compie una scelta miope da qualsiasi punto di vista:

a) disattende una disposizione normativa statale vincolante anche per la Regione;

b) viola un diritto dei dipendenti che la legge statale ha riconosciuto, vale a dire la fuoriuscita dai ruoli sovrannumerari in cui sono stati temporaneamente collocati in attesa che il legislatore statale ne disponga la destinazione;

c) crea una situazione organizzativa per lo meno bizzarra, in cui la funzione e i Centri appartengono alla Regione mentre il personale che vi lavora appartiene ad un ente diverso e a questo ente risponde (la Provincia);

d) pretende di disporre di personale che non le appartiene giuridicamente e per il quale ha già disposto il legislatore statale;

e) mantiene il personale presso le Province, che dispongono di una capacità assunzionale ridotta e, peraltro, limitata solo alle funzioni c.d. “fondamentali” della Provincia, inoltre il personale a tempo determinato non potrebbe essere stabilizzato;

f) non impegna la Regione a rimborsare alle Province le spese di gestione di funzioni che non sono provinciali, ma regionali.

g) vengono soppressi gli organismi di rappresentanza territoriale provinciale che definivano le linee di intervento dei servizi per il lavoro sulla base dei bisogni rilevati nei territori;

h) la Regione, in virtù del suo ruolo di regia, può intervenire sul numero e sulla collocazione dei Centri per l’Impiego, con relativo spostamento del personale;

i) non potranno essere garantiti i servizi attualmente offerti dai Centri per l’Impiego, con impatti negativi nei confronti dell’utenza.

E’ evidente che si tratta di scelte che non hanno nulla a che vedere con il rafforzamento dei servizi per il lavoro, con il riconoscimento di un ruolo maggiore per le Province e con il riconoscimento dei diritti dei lavoratori.

I lavoratori dei Centri per l’Impiego sono a conoscenza della campagna negativa e strumentale a livello nazionale nei propri confronti (“uffici che danno occupazione solo a chi ci lavora e non ai disoccupati” oppure “collocano solo il 3% dei disoccupati) e della scarsa informazione sulla qualità e sui risultati dei servizi erogati, nonostante l’impegno profuso sia nel luogo di lavoro sia nel tempo libero con un aggiornamento continuo.

I Centri per l’Impiego lombardi sono uffici certificati per la qualità e accreditati all’Albo Regionale degli Operatori Accreditati per il Lavoro non per diritto ma in virtù del rispetto degli stessi criteri e risultati di performance richiesti agli Operatori Privati.

La carenza di personale e di risorse per le spese di gestione non hanno impedito l’erogazione di servizi di qualità vicini ai cittadini, ma questa riforma decreterebbe la fine dei servizi pubblici per l’impiego.

E’ per questo che L’RSU e le organizzazioni sindacali si fanno portavoce dei i lavoratori dei Centri per l’Impiego e chiedono a tutte le forze politiche, ai rappresentanti politici territoriali in Regione di farsi partecipi dei problemi evidenziati presso il Presidente e la

Giunta Regionale, per la modifica del disegno di legge e l’inserimento negli organici regionali del personale dipendente, come fatto da tutte le altre Regioni italiane.

Chiedono, altresì, ai rappresentanti politici eletti in Parlamento di farsi carico a livello nazionale della situazione di disparità che si verrebbe a realizzare in Lombardia con questa legge.

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