Giovedì, 02 maggio 2024 - ore 16.22

Soft power e diplomazia cinese nel V4 ai tempi del Covid-19

Per Josep Borrell, numero uno della diplomazia europea, ''Pechino sta conducendo una politica aggressiva'' nel Vecchio Continente per dimostrarsi un partner più affidabile degli Stati

| Scritto da Redazione
Soft power e diplomazia cinese nel V4 ai tempi del Covid-19

Per Josep Borrell, numero uno della diplomazia europea, “Pechino sta conducendo una politica aggressiva” nel Vecchio Continente per dimostrarsi un partner più affidabile degli Stati Uniti.

Mentre la Ue si arenava sugli aiuti da consegnare ai Paesi più colpiti dal virus la Cina aveva già avviato la macchina per la distribuzione. Respiratori, mascherine e tute protettive sono diventati beni primari e la Cina li ha destinati a diversi Paesi europei non gratis. La Spagna ad esempio ha speso oltre 400 milioni per equipaggiamenti medici.

Pechino e Praga

Nella Repubblica ceca ad accogliere il primo cargo cinese è andato il premier Andrej Babis accompagnato dall’ambasciatore cinese a Praga che ha rimarcato la “ri-costruzione di un legame di amicizia sino-ceco”.

Dietro quella che appare come una dichiarazione di maniera, c’è però una storia più complessa. Nel 2018 le municipalità di Praga e Pechino avevano progettato una partnership culturale ed economica. La richiesta cinese per dar corpo al memorandum era che Praga “si esprimesse contro l’indipendenza di Tibet e Taiwan“. I cechi avevano rigettato la condizione. E poi avevano controreplicato, sotto la guida di Zdenek Hrib, sindaco praghese esponente del Partito dei pirati, siglando un gemellaggio con Taipei sfidando la “One China Policy“.

Ma quando il cargo lo scorso marzo è atterrato a Praga l’incidente diplomatico legato a Taipei, è “miracolosamente” rientrato. Pechino, cui non fa difetto il pragmatismo, ha compreso che “la politica della generosità” è parte della battaglia per avere maggior influenza in Europa. La posta in palio è ben più alta di un gemellaggio.

Soft power cinese nel Gruppo di Visegrád

Pechino ricorre al soft power da anni verso i Paesi del Gruppo di Visegrád: gestisce Istituti Confucio, sostiene le Ong, investe nei media e finanzia scholarship e centri di ricerca. E ha aumentato, sfruttando la capillarità dei social media, il ricorso alla disinformazione (sharp power) per migliorare la propria immagine nella percezione dell’opinione pubblica.

Lijan Zhao, portavoce del ministero degli Esteri, ha un profilo Twitter con 530mila followers. Sempre più ambasciate in giro per il mondo hanno account social attivi e assai performanti. Un paradosso se pensiamo che Twitter è vietato in Cina. L’ambasciata cinese a Varsavia ha 1300 follower, quella a Budapest 1400. Giornali che sono emanazione del Partito comunista come il Global Times e il China Daily, garantiscono pagine intere a investitori centro-europei e ai progetti di sviluppo di Pechino nel cuore dell’Europa centro-orientale. I video “positivi” su Tik Tok amplificano il messaggio grazie ad algoritmi e a un ricorso massiccio all’intelligenza artificiale.

Dal 2010 la Cina ha investito circa 3 miliardi di dollari sul mercato dell’informazione europeo, dice un report di Rsf. Nella sola Repubblica ceca i cinesi hanno partecipazioni significative nei gruppi Medea ed Empresa Media.

Una tendenza che è ancora più forte nel mondo della ricerca. Pechino finanzia centri studi e seminari in tutti i Paesi di Visegrád. Gli Istituti Confucio per statuto promuovono la cultura e la lingua cinese, ma come nota la studiosa polacca Alicja Bachulska, talvolta questi centri escono dalle direttive originarie intromettendosi nella politica. Attualmente ci sono 6 centri Confucio in Polonia, due in Cechia, tre in Slovacchia e 5 in Ungheria. Nel 2017 Pechino ha fondato anche il China-cee Institute che si occupa di cooperazione fra i Paesi dell’Europa centro-orientale e Pechino (il format 16+1, quello che mette in relazione Cina con 16 Paesi della cintura orientale dell’Europa, Ue ed extra Ue).

Tutto questo attivismo – rafforzato dal filone della “diplomazia degli aiuti” – ha generato una percezione favorevole nelle opinioni pubbliche in Polonia e Ungheria, dove un cittadino su due è “pro-Cina”. In Slovacchia e Repubblica Ceca invece malgrado i cospicui interventi, la percezione della Cina è ancora perlopiù negativa (in Slovacchia addirittura del 57%).

Commercio, 5G e infrastrutture

Ma la strategia di Pechino è a lungo termine. Le armi a disposizione della Cina sono molte. Laddove il soft power dovesse perdere di incisività, resta sempre attivo e florido il canale dei commerci (Nuova Via della Seta), dello sviluppo tecnologico (il 5G e Huawei) e degli investimenti in infrastrutture.

I V4 importano beni per 68,9 miliardi di dollari dalla Cina (poco meno di un quinto di tutta la Ue), e vi esportano prodotti per 9 miliardi (a fronte dei 198 miliardi che tutta la Ue dà alla Cina). Lo squilibrio commerciale rende Budapest, Praga e Varsavia assai dipendenti dai quattrini cinesi. Progetti infrastrutturali innovativi e strategici sono possibili solo grazie alla Cina: la Repubblica Ceca attende una mano dalla China General Nuclear Power per potenziare lo stabilimento di Dukovany; Ungheria (e Serbia) collegano le loro capitali con il treno veloce made in China. La Polonia ha hub logistici in co-gestione con Pechino ed è uno dei nodi strategici in Europa della Nuova via della Seta.

“La diplomazia del Covid-19” ha accelerato dinamiche già in essere. E la porta orientale è ormai aperta per l’ingresso cinese nei salotti europei.

 

 

fonte affarinternazionali.it

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