Martedì, 07 maggio 2024 - ore 01.18

Solo se una persona si sente amata può dare qualcosa di buono di F. Zanotti

Lettera

| Scritto da Redazione
Solo se una persona si sente amata può dare qualcosa di buono di F. Zanotti

Ripercorro gli appunti di una giornata unica vissuta venerdì della scorsa settimana. Sono davanti ai cancelli della casa di reclusione "Due Palazzi" di Padova. In programma c'è un convegno sull'ergastolo. Con me tanta gente venuta da tutta Italia. Fra gli organizzatori ci sono anche membri della comunità fondata da don Oreste Benzi. Chi mi conosce sa che da tempo ho uno scambio epistolare con l'ergastolano Carmelo Musumeci. Non l'ho mai incontrato di persona. Oggi è l'occasione giusta, penso, ma non so come verremo trattati, noi che veniamo

dall'esterno, una volta dentro quelle alte mura.

Dopo il controllo dei documenti, molto blando, si attraversano due portoni enormi. Poi ce ne sono altri, tanti, robusti. Ogni volta si chiudono alle nostre spalle. Una guardia ci accompagna. Percorriamo un lunghissimo corridoio. Il carcere è immenso. Una città nella città. Sono 850 i detenuti. La capienza, invece, dovrebbe essere per 350, al massimo 450, confida un agente in gonnella.

Arriviamo nella palestra allestita per ospitare relatori, giornalisti e parenti. Frugo tra gli ospiti forzati. Ho paura di non riconoscere Carmelo. Guardo con cura, ma non voglio neppure farmi notare più di tanto. Magari qualcuno pensa male di me. Eppure non è la prima volta che entro in carcere. A Forlì ci sono andato per anni, ma nella sezione a custodia attenuata, una sorta di "pensione" dietro le sbarre. Qua, a Padova, è un'altra cosa, ci sono gli ergastolani. I "fine pena mai". Fa paura a dirlo. Fa paura anche a scriverlo.

Anche loro hanno nella scheda personale la data di uscita, come gli altri. Sono i numeri a essere diversi: 99.99.9999. Non può essere così. Ma chi sono questi uomini? Chi li individua fra queste facce? Poi noto uno parlare con la figlia di Aldo Moro, Agnese, una che si batte da anni per l'abolizione dell'ergastolo. Con loro c'è anche un docente della Cattolica che ho già incontrato in diversi convegni, il professor Luciano Eusebi. Sì, dev'esser lui Carmelo. Aspetto che si liberi da quel colloquio. Poi non resisto più e mi avvicino.

È un lungo abbraccio, come vecchi amici. Non ci posso credere. Abbraccio e bacio un ergastolano. Sono felice. Sono contento di avere ritrovato un amico che ha occhi vivi, un corpo, ma soprattutto un cuore grande. Mi dice all'orecchio: "L'ergastolo esiste ancora perché per la gente non esiste più. Ma se non esiste, perché non lo tolgono?".

Resto senza parole. Inizia il convegno. Al microfono si avvicina un uomo. "Mi chiamo Biagio Campailla, ho 44 anni. Sono da 16 anni in carcere. Ho l'ergastolo". Ne arriva un altro: "Sono Giovanni Zito, ergastolo". "Io sono Giuseppe Zagari, ergastolo". "E io invece sono Antonio Papalia, ergastolo". "Io mi chiamo Gaetano Fiandaca. Se voglio uscire devo mettere un altro al mio posto". Poi si avvicinano Agostino Lentini, Giovanni Donatiello, Angelo Meneghetti, tutti ergastolani, fino a Roberto, 50 anni, di colore, che dice: "Sono stato condannato all'ergastolo in maniera incomprensibile".

Non uno di questi uomini è mai uscito un solo giorno. Come loro ce ne sono altri 680 in Italia, condannati all'ergastolo ostativo, quello che non dà diritto ad alcun permesso e che ha quei tristi 9 nella data di fine pena. Eppure, accanto a loro, conversando con loro, uno scopre che hanno un volto, un cuore e un'anima. Ora li scruto in maniera diversa. Sì, ne sono certo, anche in loro è stampata l'immagine di Dio.

 

Francesco Zanotti

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