Domenica, 12 maggio 2024 - ore 11.18

Stranieri e prestazioni assistenziali economiche. L’Italia a passo di gambero

Trasmettiamo una sintesi del comunicato a firma Emmanuela Bertucci, legale ADUC

| Scritto da Redazione
Stranieri e prestazioni assistenziali economiche. L’Italia a passo di gambero

I cittadini stranieri extracomunitari che vivono e lavorano regolarmente in Italia devono (dovrebbero) avere diritto di accedere alle prestazioni assistenziali economiche riconosciute per le condizioni di invalidità – e cioé all’assegno sociale, alle pensioni di invalidità, all’indennità di accompagnamento, alle pensioni in favore di ciechi e sordi, all’assegno di maternità – al pari dei cittadini italiani. Questo è quanto prevede(va) il Testo unico in materia di immigrazione (d. lgs. 286/98) all’art. 41: «Gli stranieri titolari di carta di soggiorno o di un permesso di soggiorno con validità di almeno un anno, nonché i minori iscritti nel permesso o carta di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani, ai fini della fruizione delle provvidenze, anche di natura economica, di assistenza sociale incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti». Ma, a nemmeno due anni dall’entrata in vigore del testo unico, il legislatore italiano ci ha ripensato e, con l’introduzione dell’art. 80 comma 19 della L. 388/00 (Legge finanziaria per il 2001), ha disposto che «l’assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali sono concessi […] agli stranieri che siano titolari di carta di soggiorno», escludendo così i titolari per permesso di soggiorno con validità superiore a un anno.

Si tratta di una norma incostituzionale e irragionevole, poiché subordinare l’erogazione di un emolumento assistenziale a una determinata soglia di reddito è una contraddizione in termini. Ma si sa come va in Italia, finché la questione arriva alla Corte Costituzionale e questa si pronuncia passano anni, e nel frattempo l’Italia risparmia sulle spalle di quegli stranieri che avrebbero diritto alle prestazioni ma gli vengono negate. Dal 2000 a oggi la Corte Costituzionale è intervenuta, sui requisiti che gli stranieri extracomunitari regolarmente soggiornanti in Italia per poter accedere alle prestazioni in questione, per ben 7 volte demolendo pezzo dopo pezzo l’art. 80 comma 19 citato, norma che resta formalmente in vigore ma è ormai divenuta una disposizione “gruviera”. La Corte Costituzionale, con sentenza 306/2008, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 80 comma 19 della legge 388/2000, nella parte in cui esclude dal godimento dell’indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili gli stranieri privi dei requisiti di reddito previsti per il permesso UE di soggiorno di lungo periodo. Secondo la Corte è infatti irragionevole subordinare l’erogazione di un emolumento destinato alle persone totalmente inabili al lavoro alla titolarità di un reddito superiore a una certa soglia.

Di nuovo, nel 2015, la Corte interviene con la sentenza n. 22 dichiarando illegittimo il requisito del permesso di soggiorno di lungo periodo in relazione alle richieste di pensione e indennità per ciechi e da ultimo, con la recentesentenza n. 230/15, la Corte Costituzionale si pronuncia anche sulla pensione di invalidità civile per sordi e sull’indennità di comunicazione. Si tratta, secondo la Corte di «prestazioni economiche peculiari, che si fondano sull’esigenza di assicurare – in unadimensione costituzionale orientata verso la solidarietà come dovere inderogabile (art. 2 Cost.), verso la tutela del diritto alla salute anche nel senso dell’accessibilità ai mezzi più appropriati per garantirla (art. 32 Cost.), nonché verso la protezione sociale più ampia e sostenibile (art. 38 Cost.) – un ausilio in favore di persone svantaggiate, in quanto affette da patologie o menomazioni fortemente invalidanti per l’ordinaria vita di relazione e, di conseguenza, per le capacità di lavoro e di sostentamento; benefici erogabili, quanto alla pensione, in presenza di condizioni reddituali limitate, tali, perciò, da configurare la medesima come misura di sostegno per le indispensabili necessità di una vita dignitosa. La discriminazione che la disposizione de qua irragionevolmente opera nei confronti dei cittadini extracomunitari legalmen te soggiornanti, con l’attribuzione di un non proporzionato rilievo alla circostanza della durata della permanenza legale nel territorio dello Stato, risulta, d’altra parte, in contrasto con il principio costituzionale – oltre che convenzionale – di eguaglianza sostanziale (art. 3 Cost.): essa, infatti, appare idonea a compromettere esigenze di tutela che, proprio in quanto destinate al soddisfacimento di bisogni primari delle persone invalide, appaiono per sé stesse indifferenziabili e indilazionabili sulla base di criteri meramente estrinseci o formali; sempre che, naturalmente, venga accertata la sussistenza degli altri requisiti richiesti per il riconoscimento del beneficio e sempre che – nell’ottica della più compatibile integrazione sociale e della prevista equiparazione, per scopi assistenziali, tra cittadini e stranieri extracomunitari, di cui all’art. 41 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) – il soggiorno di questi ultimi risulti, oltre che regolare, non episodico né occasionale».

Conclude la corte: «Deve da ultimo, ma non per ultimo, formularsi l’auspicio che il legislatore, tenendo conto dell’elevato numero di pronunce caducatorie adottate da questa Corte a proposito della disposizione ora nuovamente censurata, provveda ad una organica ricognizione e revisione della disciplina, ad evitare, tra l’altro, che il ripetersi di interventi necessariamente frammentari, e condizionati dalla natura stessa del giudizio incidentale di legittimità costituzionale, possa avere riverberi negativi sul piano della tutela dell’eguaglianza sostanziale».

Intervento legislativo auspicato ma ad oggi non attuato, e la Corte si troverà a breve a decidere – immaginiamo con simile esito – anche sulla legittimità o meno del requisito reddituale per l’assegno di maternità, questione recentemente sollevata dal Tribunale di Bergamo con ordinanza del 26 novembre 2015.

Emmanuela Bertucci, legale ADUC

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