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“Un nuovo patto per il Welfare lombardo”.Il terzo settore cremonese dice la sua.

| Scritto da Redazione
“Un nuovo patto per il Welfare lombardo”.Il terzo settore cremonese dice la sua.

OSSERVAZIONI sulla Delibera di Giunta Regionale n° 3481 del 6 maggio 2012 su
I Forum del terzo Settore Provinciale, del cremonese e del cremasco in questo ultimo anno a più riprese hanno organizzato con la collaborazione del Forum Regionale e il Centro servizi per il Volontariato (CISVOL) di Cremona, momenti di confronto sul Welfare lombardo con le Associazioni e le Istituzioni locali e ultimamente si sono fatti promotori con le OOSS del territorio coinvolgendo i Sindaci dei tre Piani di Zona di una petizione per chiedere alla Regione Lombardia il reintegro dei fondi nazionali delle politiche sociali e della non autosufficienza.
Oggi siamo chiamati dalla R.L. a discutere della Delibera di Giunta n° 3481 del 6 maggio 2012 su “un nuovo patto per il Welfare lombardo”.
Nel rispetto dei ruoli siamo disponibili a concorrere con nostre proposte alla migliore azione di riforma.
Contribuire "dal basso" alla creazione di uno "Stato sociale di comunità": ruolo del Volontariato
Oggetto di un lungo e serrato dibattito e stato in questi mesi “la riforma dello stato sociale”  da parte del Terzo settore, nel tentativo di verificare l'efficacia degli interventi che sino a oggi sono stati messi in campo dal governo e dalla Regione Lombardia per soddisfare i bisogni sociali dell'intera collettività e con l'intento di fare chiarezza sul ruolo del volontariato in questo fondamentale progetto di crescita e sviluppo equo e comunitario.
Cresce il disagio e allo stesso tempo il benessere comune diventa un bene raro e in mano a pochi; dichiarata fallimentare una politica esclusivamente assistenzialista, emerge la necessità di affiancare all'intervento delle Istituzioni, sempre più carente, un'azione collettiva, responsabile e solidale, intrapresa dai singoli cittadini e dalle associazioni.
"Il bene comune “ non è solo prerogativa dello Stato, della Regione, ma può essere agita dalla società civile, tramite una profonda modificazione di atteggiamenti e valori, diffondendo e promuovendo una cultura della responsabilità, un nuovo modello di sussidiarietà, quello dell'inclusione.
Una sussidiarietà che  mette al centro l'uomo nella sua totalità, come individuo ma anche come legame relazionale. Ed è proprio da qui che bisogna ripartire, dalle relazioni, dalla capacità di fare rete dei cittadini, delle associazioni, per iniziare a condividere le responsabilità verso l'altro. Accanto a una sussidiarietà di tipo verticale, dove i bisogni dei cittadini vengono soddisfatti dall'azione degli enti amministrativi pubblici, si impone un modello orizzontale, in cui sono gli stessi individui che provano a dare una risposta comunitaria ai propri bisogni.
Una forza collettiva che si autoorganizza per migliorare il benessere di un società ma che non può e non deve sostituirsi all'intervento pubblico: Regione, Provincie, Comuni, Distretti dovrebbero anzi svolgere  il compito di coordinare queste realtà locali, tentando di sviluppare nuovi processi di condivisione, un dialogo costruttivo con la città e il Terzo settore.
Anche il  volontariato diventa un soggetto strategico nella costruzione di questo inedito "Stato sociale di comunità", quando è capace non di erogare servizi ma di migliorare la qualità della vita delle famiglie; quando, nell'era dell'individualismo e della competitività spietata, riesce a costruire percorsi di socializzazione, di integrazione e insegna, attraverso gesti gratuiti di solidarietà a fidarsi e prendersi cura dell'altro, ponendosi come intermediario tra istituzioni e collettività, all'insegna di un principio di responsabilità sociale partecipata.

Per un welfare giusto, promotore di sviluppo umano e delle opportunità

In questo orizzonte di pensiero si colloca la visione di un welfare promozionale e non compassionevole o meramente assistenziale, volto al futuro, a partire dal fatto che le politiche sociali non possono essere pensate solo per difetto, come crisi o come costo, ma vanno viste nella loro giusta luce: promotrici di sviluppo appunto, in una società che non può consentire che chi ha già molto aumenti il suo avere e chi ha poco scivoli sotto la soglia della povertà.
Il principio di equità diventa il banco di prova per un welfare giusto, nella considerazione che non c’è sviluppo per tutti e per ciascuno senza equità nelle condizioni di partenza e nelle pari opportunità.
Ecco allora che tra frettolosi desideri di smantellamento del sistema di welfare e impossibile difesa di alcune sue rigidità, l’investimento sulle reti sociali di un territorio, sulla qualità della convivenza quotidiana, può rappresentare una risorsa efficace che consente a istituzioni pubbliche, soggetti sociali e privati non solo di competere ma di cooperare e collaborare nel rispondere ai problemi sociali.
È un welfare che valorizza la partecipazione associativa e inverte la tendenza alla riduzione dei servizi quale mezzo per stare in un mercato globale.
Un welfare promozionale così identificato deve essere capace di stabilire relazioni con e fra i cittadini (anziani, giovani, famiglie, immigrati) sia per permettere loro di affrontare situazioni di bisogno, disagio o vulnerabilità sociale (mancanza di formazione, lavoro, casa, cure socio-sanitarie) accedendo ai sevizi offerti, sia per garantire il pieno coinvolgimento nella progettazione e realizzazione degli interventi previsti dalla rete dei servizi istituzionali, profit e non profit.
Un welfare volto a creare le possibilità per tutti di una vita buona degna di essere vissuta in tutte le stagioni e le condizioni.
Ecco perché la cultura che promuove la persona e la sua famiglia è quella che non privatizza e individualizza la risposta ma riconosce e potenzia i legami sociali. In questo orizzonte particolare attenzione va posta nella costruzione di percorsi d’accesso a servizi efficienti, che siano la risposta ad un’esigenza strutturale e non presidi d’emergenza.
La strada vincente non può che essere rappresentata da una buona politica che faccia sintesi tra i legami affettivo solidali e le risposte socio-sanitarie competenti, ben distribuite sul territorio, a partire dal fatto che non si può pensare di superare la solitudine delle persone e delle famiglie con mere logiche di trasferimento monetario (Vaucher, Dote…), soprattutto se molte persone hanno bisogno di assistenza continuativa.
Welfare e nuova cittadinanza

Il nuovo welfare può rispondere fino in fondo alle sfide che stiamo affrontando solo mettendo al centro la persona nella concretezza delle sue relazioni familiari e sociali, nella sua appartenenza di genere e di generazione.
Un welfare è davvero efficace se favorisce un modello di cittadinanza compiuto, teso a promuovere uguaglianza di opportunità, ad incentivare responsabilità dei soggetti e a investire nella costruzione di una migliore società, superando una logica attenta solo ai vincoli di bilancio.
Bisogna quindi elaborare un’idea di cittadinanza complessa che faccia perno sulla persona quale fonte di ogni diritto, al di là delle sue condizioni socio-economiche, della sua provenienza e appartenenza.
Il welfare non è più, quindi, vincolato alla prospettiva contrattuale cittadino – Stato, ma appartiene alla sfera dei diritti umani.
Il vero benessere infatti riguarda l’integrità e l’integralità di ognuno ( integrazione tra Sanitario, sociosanitario e Assistenziale).
Altrettanto strategico in questa riflessione è il ruolo del territorio ( Comuni e Piani di Zona) attento a promuovere e valorizzare il protagonismo dei molteplici attori presenti al suo interno.
Lo scenario della riforma federalista dello Stato può in tal senso valorizzare i vari livelli di governance, innescando una sussidiarietà intelligente che consideri il rapporto centro/periferia nella sua circolarità virtuosa.


Nuove risposte alla domanda crescente di servizi

Sulle famiglie italiane ( soprattutto sulle donne ) grava, per vari motivi tra cui l’invecchiamento della popolazione, l’aumento del carico assistenziale, attorno al quale è molto cresciuta la domanda di servizi e con essa ha preso corpo un vero e proprio mercato privato del lavoro di cura.
È una realtà di cui prender atto e con la quale occorre misurarsi per ricondurre l’offerta di modelli di servizi ad una logica di sistema e di continuità nell’assistenza.
Se la risposta al problema sta solo nella finanziarizzazione del welfare, nei prodotti assicurativi, il probabile esito è la fine del nostro modello di welfare universalistico ed inclusivo.
Perché ciò non avvenga, l’unica via di uscita sta in una nuova progettualità del welfare di domani che, nel chiamare in corresponsabilità la pubblica amministrazione, l’economia civile, il profit e il non-profit, sia capace di proporre politiche sociali innovative, in grado di rispondere a domande sempre più inevase, garantendo equità, pari opportunità, giustizia e pari trattamento per tutti.
In questa logica diventa indispensabile inserire il lavoro di cura svolto per le persone non autosufficienti nel diritto costituzionale alla salute e non lasciare sole le famiglie che sono alle prese con compiti di assistenza e cura dei loro congiunti.
Sono tutti elementi che dicono della necessità di pervenire ad un ampio riadeguamento degli strumenti previsti dalla legislazione vigente e dell’opportunità di promuovere politiche integrate a favore delle famiglie che consentano, tra l’altro, di definire i nuovi livelli delle prestazioni sociali.
Nel disegnare i mutamenti che stanno interessando la nostra società e che saranno destinati ad avere un sicuro impatto sulla struttura dello stato sociale, non si può inoltre non annoverare il fenomeno migratorio.
Già oggi la popolazione immigrata incide e contribuisce al nostro sistema di welfare.
La centralità della persona e della famiglia, fondamenta su cui fondare l’intera costruzione del sistema sociale del nostro Paese, non può escludere quei cittadini stranieri che già oggi vivono, abitano e lavorano nelle nostre case e campagne.
Il binomio diritti-doveri è nel cuore del “patto di cittadinanza” sotteso al modello di stato sociale. Va ricordato per tutti, nativi e migranti, con uguale impegno comune.
Se, infatti, il welfare non è più soltanto il frutto di un patto tra cittadini e Stato, ma un criterio valoriale di cittadinanza, deve essere inclusivo e universalistico.

Sostenibilità del modello di welfare: integrazione sul territorio e sussidiarietà

È indubbiamente vero che l’attuale modello sociale italiano presenta evidenti sprechi, difficoltà e inefficienze ben documentati. Si tratta, dunque, di riqualificare la spesa e di mettere in campo strumenti informativi e parametri valutativi capaci di cogliere le asimmetrie tra domanda e offerta di salute e protezione sociale per arrivare ad un loro progressivo riallineamento, facendo sì che le politiche di welfare siano in grado di creare le condizioni per l’esercizio della libertà personale e relazionale circa la propria scelta di vita buona.
Dove i servizi non fanno sistema c’è il rischio di una frammentazione data anche dal ricorso a enti esterni al territorio che ottengono affidamenti diretti e vincono gare al massimo ribasso.
Di qui nasce la necessità di promuovere sistemi integrati di servizi sociali e socio sanitari che valorizzino gli attori presenti nelle comunità e costruiscano un welfare comunitario.
Infatti non si tratta solo di agire su mercati competitivi nell’offerta quanto di garantire risposte efficienti, efficaci ed appropriate, in un corretto e rigoroso dialogo interistituzionale e nel rapporto trasparente con gli attori presenti sul territorio.

Una sfida per tutti

La visione di un welfare integrato, promozionale, con al centro la persona, non può allora che orientarsi verso una logica di investimento sociale, che fa del territorio e delle sue specificità una risorsa e un valore per la democrazia e la coesione sociale.
Non debbono spaventare le prospettive di un welfare misto, cui concorrano diversi attori sociali – pubblici e privati – purché esso sia capace di combattere le condizioni che generano bisogno e povertà, promovendo sviluppo umano e non abbandonando al proprio destino chi è in difficoltà.
Lungi dal chiuderci nella difesa dell’esistente, che peraltro presenta molti lati problematici, dobbiamo quindi scommettere su un radicale cambiamento di prospettiva verso una società corresponsabile e coesa, volta a favorire protagonismo sociale, benessere e vita buona per tutti, in cui il pubblico onora il proprio ruolo di presa in carico a garanzia dei diritti di cittadinanza (art. 3 della Costituzione) condividendo con tutti i soggetti interessati progettualità e modalità di intervento.
In tale visione non c’è più delega, ma la responsabilità – secondo ben definiti accordi – è ripartita tra i diversi attori.
No si può più tollerare un welfare in progressivo arretramento, un altro modello è possibile.

Alcune considerazioni nel merito della DGR e del percorso proposto


1.Riteniamo non opportuna, prima del termine del percorso di consultazione e della riproposizione di un testo che recepisca le osservazioni fatte, l’assunzione da parte di RL di atti che prefigurino il modello proposto. In tal modo si può configurare la DGR. IX/3850 del 25 luglio 2012 che prevede la voucherizzazione di una importante quota di risorse, togliendo in questo modo potere programmatorio-gestionale ai livelli locali.
2.Per quanto riguarda il passaggio dall’offerta alla domanda appare condivisibile per quanto riguarda l’attenzione ai diritti e ai bisogni delle persone. Siamo però contrari ad un indebolimento della rete dei servizi a cui può seguire una mancata certezza della presa in carico ( a questo proposito ci sembra importante e puntuale il documento di NeASS Lombardia). Riteniamo che solo in un modello di Welfare fortemente radicato nel territorio, il Terzo Settore e soprattutto il Volontariato possono esplicare il loro ruolo di advocacy e di cittadinanza attiva, oltre che partecipare a programmazioni e progettazioni che sostengano le piccole ma importanti reti informali.
3.La DGR pone con forza il tema della centralità della famiglia. Pur concordando sull’importanza del ruolo delle relazioni famigliari, rispettandone le diverse tipologie, facciamo osservare come la qualità socio-demografica delle famiglie sia in profonda trasformazione. Nella sola Milano il 51% delle famiglie è composta da una sola persona, sono in costante aumento i monogenitori con figli e le convivenze; e questo è un trend che accomuna tutto il territorio lombardo. A fronte di ciò appare problematico caricare sulla famiglia, come dicevamo nella premessa spesso su una sola donna, la gestione dei servizi voucherizzati. Condividiamo a questo proposito il documento dell’Ordine “Assistenti Sociali” della lombardia.

Cremona, 10 settembre 2012
Per il Forum Provinciale
Daniela Polenghi
Per il Forum 3° Settore di Cremona e Cremonese
Agostino Tonarelli
Per il Forum del 3° Settore di Crema e del Cremasco
Giuseppe Strepparola

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