Giovedì, 02 maggio 2024 - ore 01.19

“Vogliamo il patto del duce e non il patto Farinacci”| G.Azzoni

| Scritto da Redazione
“Vogliamo il patto del duce e non il patto Farinacci”| G.Azzoni

LETTERA DAL VENTENNIO (1)
Caro Direttore, ho terminato nei giorni scorsi di scrivere “Il fascismo a Cremona e nella sua provincia 1922-1945”. Si tratta di una ricerca su materiali dell’epoca che, insieme ad alcuni contributi monografici di altri esperti della nostra storia, verrà prossimamente pubblicata dall’ANPI.
Nel corso della ricerca mi sono imbattuto in numerose vicende poco o per nulla conosciute, curiose e significative: solo in parte ho potuto riportarle nel libro ma meritano di essere conosciute. Dunque ne farei oggetto di “lettere dal ventennio” al tuo periodico on line con la speranza che possano essere pubblicate e soprattutto risultare interessanti per i lettori di “Welfare”. Si tratterà di storie di diverso genere, tutte avvenute dalle nostre parti, tutte piuttosto singolari, tutte … ridotte all’osso.
Comincerei subito col racconto della “incredibile” vicenda “vogliamo il patto del duce e non il patto Farinacci”.
Siamo a metà marzo 1935 quando a Soncino viene arrestato uno di quei mercanti ambulanti che all’epoca facevano il giro delle nostre cascine. E’ accusato di spargere notizie false perché raccontava di aver visto disordini e proteste contro il patto colonico in diversi paesi della provincia. Il fatto è che quelle notizie erano vere (e l’ambulante dovrà essere rilasciato). 
Non si dimentichi che la situazione che si era aperta qualche anno prima con la quota 90 e poi con la grande crisi mondiale del ’29 aveva portato ad un pesante peggioramento delle già magre condizioni salariali nella nostra agricoltura. Ebbene, nella primavera di quel 1935 si era sparsa la voce che Mussolini in persona aveva disposto di portare la paga mensile del lavoratore agricolo a 350 lire. Il nostro patto provinciale (il “patto Farinacci” perché il ras era sempre presente nella sua definizione) prevedeva solo 100 lire, più alcuni generi in natura, insomma molto ma molto meno di 350 lire. Così in diverse località i lavoratori giungevano a rifiutare la consegna al padrone del libretto di lavoro (cui conseguiva l’applicazione del patto colonico). Vennero subito convocate riunioni dal sindacato fascista per riprendere in mano la situazione ma esse diventavano occasione, dicono i verbali, di “proteste e schiamazzi” tali da impedire agli oratori del fascio di parlare. La gente usciva anche dalla sala, qua e là si creavano delegazioni per andare dal podestà o dal segretario politico, si creavano assembramenti davanti al municipio. Tutte cose assolutamente insolite e proibite, ma la repressione da parte della milizia e dei carabinieri era molto imbarazzante dato che la gente gridava e scriveva sui muri slogan come “viva il Duce, vogliamo il patto delle 350 lire non il patto Farinacci…”. Il prefetto scrive a Roma del “rapido spostarsi  in bicicletta da paese a paese di gruppi di giovani” che si inframmettevano nelle riunioni con quegli slogan, ipotizzò anche che forse si trattava di iniziative di qualche “cellula comunista in funzione”. Ci furono anche dei fermi. In definitiva furono smentite come infondate le voci sull’aumento voluto dal duce, la repressione si fece stringente e decisa ed i disordini cessarono già alla fine di aprile. Qualcosa però i lavoratori ottennero e l’anno successivo il duce effettivamente (sia pure demagogicamente ed in misura minima) orientò alla concessione di un qualche aumento… “bontà sua”. Tutto ciò, dicono le carte, durò un paio di settimane o tre e dette luogo ad episodi citati per Romanengo, Crotta, Cavatigozzi, Piadena, S. Martino Lago, Pandino, Sospiro, Camisano, Stagno, Soresina, Paderno, Pieve Delmona e Castelverde.
Giuseppe Azzoni

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