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30 anni di Visegrad, alleanza di simili ma diversi

| Scritto da Redazione
30 anni di Visegrad, alleanza di simili ma diversi

Trent’anni fa nasceva il Gruppo di Visegrád (V4). Il 15 febbraio 1991 i Paesi firmatari erano tre: Ungheria, Cecoslovacchia e Polonia, che avevano deciso di stabilire un rapporto di cooperazione nei campi economico, culturale, energetico e militare e promuovere la loro integrazione europea, a livello unitario, attraverso una formula di mutuo supporto.

In seguito questo approccio che aveva caratterizzato un primo tratto di strada comune verso l’adesione all’Europa unita mostrò di non funzionare in modo soddisfacente e i membri del Gruppo passarono ai rapporti diretti e individuali con i vertici di Bruxelles per gestire il loro percorso verso l’ingresso nell’Unione europea. Nel frattempo, all’inizio del 1993, i membri del Gruppo erano diventati quattro per la dissoluzione della Cecoslovacchia e la nascita di due entità statuali distinte e indipendenti: la Repubblica Ceca e la Slovacchia.

L’adesione dei quattro all’Ue è poi avvenuta il 1° maggio del 2004 intanto la cooperazione fra di essi era andata avanti soprattutto nei settori della cultura, dell’istruzione, delle scienze e dell’economia. A dire il vero, però, questa forma di collaborazione regionale è rimasta a lungo nell’ombra.

Fronte comune…

Ha riacquistato un certo slancio nel 2015, all’epoca in cui i flussi migratori dall’Asia e dall’Africa verso i Paesi europei avevano assunto proporzioni considerevoli. In quella circostanza i Paesi del V4 si trovarono d’accordo nel respingere in modo unanime la politica Ue in ambito immigrazione e la condizione di ospitare i migranti sul proprio territorio per ottenere i fondi europei.

I V4 vi vedevano un meccanismo ricattatorio e un sopruso concepito per far pagare, soprattutto a loro, il prezzo di un fenomeno provocato dalle “politiche coloniali” di alcuni Stati membri di vecchia data. I Paesi del V4 avevano ritrovato una certa convergenza sul dossier migrazione e sui rapporti con le istituzioni Ue. Ne avevano fatto una questione di sovranità nazionale, in modo particolare l’Ungheria di Viktor Orbán e la Polonia del PiS. In quel complesso di cose avevano riattivato un rapporto di sostegno reciproco per difendere i loro interessi e il diritto di fare scelte ritenute dai loro leader più idonee alle popolazioni governate e alle specifiche esigenze dei relativi Paesi. Le forme di disobbedienza da essi adottate hanno avuto delle conseguenze anche se non “letali”, almeno per il momento, ai fini della loro presenza nell’Ue.

L’anno scorso, infatti, la Corte di Giustizia dell’Ue ha condannato Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca per essersi rifiutate di accettare il meccanismo temporaneo di ricollocazione dei richiedenti asilo creato nel 2015. Prima ancora, però, erano stati messi in moto i meccanismi previsti per l’applicazione dell’articolo 7 nei confronti di Budapest e Varsavia, avendo i vertici Ue visto nelle politiche adottate e portate avanti dai governi ungherese e polacco aspetti gravemente lesivi dello stato di diritto. La strada verso un possibile sviluppo di questo iter è ancora lunga e incerta, ma le autorità al potere nei due paesi si erano garantite, a suo tempo, supporto reciproco per sostenere la loro causa ed evitare sanzioni.

… e diversità di vedute

Il V4 non è da intendersi, però, come una struttura monolitica: vi sono, infatti, al suo interno non solo convergenze ma anche disparità di vedute. Prendiamo ad esempio la questione dei rapporti con la Russia che vede la Polonia considerare Mosca come una minaccia per la sua sicurezza e gli altri Paesi membri mantenere posizioni diverse al riguardo, fino ad arrivare al caso ungherese, caratterizzato dalla presenza di un sistema di potere che si è avvicinato molto a quello di Putin. Divergenza anche sul Green Deal, con Varsavia, Praga e Budapest che avevano minacciato il veto sull’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 mentre la Slovacchia aveva mantenuto un atteggiamento meno critico al riguardo.

Se poi arriviamo a tempi più recenti ci imbattiamo nelle dispute sul Recovery Plan Next Generation EU che aveva visto all’inizio Budapest e Praga, in particolare, nell’atto di esprimere la loro insoddisfazione per il trattamento economico ad esse riservato da Bruxelles. Meno critica Bratislava, trattata meglio la Polonia, tanto che si era parlato anche di malumori all’interno del Gruppo per quella che veniva vista come disparità di trattamento. Alla fine il veto era stato posto dai governi ungherese e polacco, concordi nel respingere il nesso tra l’elargizione dei fondi e il rispetto dello stato di diritto. La situazione si è poi sbloccata ma restano vive le preoccupazioni dell’Ue sulla sorte dei diritti democratici nei due Paesi.

Negli anni scorsi ci sono stati momenti in cui il V4 è apparso particolarmente compatto. Il motivo era evidentemente da ricercarsi nella necessità di fare fronte comune per la difesa di determinati interessi. Ora, soprattutto, appaiono più chiare le differenze di vedute esistenti fra di essi. Resta il fatto che lo strappo cui hanno dato luogo nel 2015 ha contribuito a mettere in luce disparità e problemi di coesione e di condivisione all’interno dell’Ue. Sarà ora interessante cercare di capire se per i quattro il Gruppo continua ad essere una risorsa strategica – e se sì, come – per affrontare in modo congiunto, all’occorrenza, i conflitti con Bruxelles.

Nella foto di copertina EPA/Radek Pietruszka un recente incontro dei premier del Gruppo di Visegrád.

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