Venerdì, 03 maggio 2024 - ore 20.45

Anche la Cgil raccoglie le firme Referendum contro L’austerità

L’austerità ha fallito. La legge 243 del 2012 che recepisce il Fiscal compact va abrogata

| Scritto da Redazione
Anche la Cgil raccoglie le firme Referendum contro L’austerità

Un gruppo di docenti universitari di economia e giurisprudenza lancia la raccolta di firme per abrogare la legge 243 del 2012 che recepisce il Fiscal compact. Barbi (Cgil): "In Italia norme ancora più restrittive rispetto al diktat Ue, vanno cambiate" "L'austerità ottusa ha fallito". Con questo principio un gruppo di docenti universitari ed esperti di economia e giurisprudenza lancia una raccolta di firme su quattro referendum per superare l'austerity in Italia e in Europa. L'obiettivo è di modificare alcuni articoli della legge 243 del 2012. Sono previsti quattro quesiti: il primo per evitare che "l'equilibrio di bilancio sia più gravoso di quanto preveda l'Ue"; il secondo perché non sia necessaria una "esatta corrispondenza tra gli obiettivi nazionali e quelli di medio termine dell'Unione"; il terzo quesito è volto a consentire l'indebitamento anche per "operazioni finanziarie non straordinarie"; infine, l'ultimo punto punta a permettere l'attivazione del meccanismo di revisione solo da parte dell'Ue e non da trattati internazionali. La raccolta partirà il 3 luglio, da allora ci saranno 90 giorni di tempo per raccogliere le sottoscrizioni. "La politica dell'austerità espansiva - afferma Danilo Barbi della segretaria nazionale della Cgil ai microfoni di RadioArticolo1 (qui il podcast) - è stata un autentico fallimento, come molti avevano sostenuto sia nella sinistra europea sia nei sindacati europei". Per questo è arrivata anche l'adesione di Corso Italia. "L'idea dell'austerità - spiega il sindacalista - era basata sul comprimere il costo del lavoro e la spesa pubblica, pensando che questo meccanismo potesse mettere in moto investimenti privati. In realtà non è andata così. Questa politica ha depresso la produzione e i consumi e quindi anche gli investimenti privati. Anziché creare benessere maggiore per tutti, introduce meccanismi di competizione tra i paesi mentre la torta da spartire si fa più piccola". Con questa iniziativa si punta, in particolare, a modificare la legge ordinaria che dà attuazione al nuovo articolo 81 della Costituzione con il quale si impone il pareggio di bilancio, cioè la "traduzione in italiano" del Fiscal compact. Ma il Italia si è andati oltre, e da qui nasce l'idea del referendum. "In quel Parlamento con Monti premier - osserva Barbi - la prima versione della legge di recepimento è stata modificata per impedire il referendum consultivo e così è stato fatto un pasticcio terribile. Il governo, in pratica, chiese che la legge fosse ancora più stringente rispetto a quanto previsto dall'austerità sbagliata europea", facendo "corrispondere gli obblighi di bilancio del paese al cosiddetto obiettivo di medio termine, una formula misteriosa che non è neanche definita dal Fiscal compact, ma è definita dai regolamenti applicativi dello stesso Fiscal compact della Commissione Ue". “Le politiche di austerità sono state un vero e proprio disastro. Basta leggere i dati dell’eurozona: il Pil è inferiore a quello del 2007, quindi a prima della crisi; la disoccupazione è aumentata del 65 per cento, parimenti è aumentata la divaricazione tra i ritmi di crescita tra i singoli paesi dell’Unione Europea”. A dirlo è Riccardo Realfonzo, docente di Economia politica all’Università del Sannio, tra i promotori del referendum contro l’austerità, precisando che la stessa dinamica si ritrova in Italia (qui il podcast): “il Pil è del 9 per cento inferiore al 2007, la disoccupazione è più che raddoppiata, la divergenza tra Mezzogiorno e Centro-Nord è crescente. Sono dati drammatici, che dicono chiaramente il disastro della teoria dell’austerità espansiva, ossia dell’idea che attraverso tagli della spesa pubblica e aumenti della pressione fiscale si potesse aiutare la crescita”. Secondo l’economista, anche il Fondo monetario internazionale ha ormai chiarito “gli errori enormi fatti nella stima dei moltiplicatori della politica fiscale, cioè di quei valori che calcolano gli effetti dei tagli della spesa pubblica sul Pil. Ormai è chiaro, infatti, che questi moltiplicatori sono positivi, che la riduzione della spesa pubblica determina la riduzione del Pil e l’aumento della disoccupazione. Un recente studio del Fondo, parlando dell’Italia, dice che il moltiplicatore è pari a 1,73: quindi, tagliare la spesa pubblica di 10 miliardi vuol dire ridurre il Pil di 17 miliardi”. Il cambiamento di linea proposto dal governo italiano non sembra però convincere Realfonzo. “Stiamo passando – spiega – dall’austerità espansiva, quindi da una forma particolarmente ottusa di austerità, alla ‘austerità flessibile’, una forma un po’ più tenue, ossia all’idea di applicare tutta la flessibilità prevista nei Trattati che abbiamo approvato. Non si pensa, quindi, a cambiare i Trattati, ma soltanto a dare solamente un lasso di tempo in più, un piccolo margine in più, per raggiungere gli obiettivi di lungo periodo, che restano quelli dell’abbattimento del debito a tappe forzate, dell’uscita dello Stato dall’economia, dell’impedire allo Stato di intervenire nelle fasi di recessione”. Un passaggio, dunque, che non risolve i nostri problemi. Da qui, la spinta dal basso del referendum. “Il referendum – conclude l’economista – invita il popolo, i cittadini a intervenire, a esercitare una pressione che può essere positiva per tutte quelle forze politiche e per tutti quei governi di Europa che vogliono veramente cambiare la politica economica. Quindi noi ci mettiamo nelle mani del popolo, delle persone, dei cittadini, sperando che arrivi un segnale molto chiaro in Italia e in Europa”. A sostenere i referendum contro l’austerità vi è anche Massimo D’Antoni, docente di Scienza delle finanze dell’Università di Siena, che sottolinea (qui il podcast) come l’obiettivo del comitato promotore sia quello di “restituire la parola ai cittadini, ma anche al Parlamento, sperando che, in caso di successo, si possa avviare una revisione sull’intera normativa, dando alla Corte costituzionale la possibilità di esprimersi sull’insieme di queste norme”.

Fonte: rassegna sindacale 

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