Venerdì, 19 aprile 2024 - ore 12.44

Brexit, tanto rumore per nulla?

Quando è stata annunciata e messa in atto dal governo britannico sembrava dovesse essere uno smacco molto forte alla governance europea, ma la situazione sembra non essere più tale.

| Scritto da Redazione
Brexit, tanto rumore per nulla?

L’accordo in merito alla Brexit, partorito dopo due anni di trattative tra il governo britannico e l’Unione Europea, dovrebbe giungere ai primi di dicembre nel Parlamento di Sua Maestà, accompagnato da una nebulosità evidente tanto sul piano dei contenuti, quanto su quello degli scenari futuri. A pagare il conto salato di un balletto infinito rischia di essere ancora il paese reale, già spaccato a metà dalla consultazione e ora avvolto in un’attesa da cardiopalma. O forse no.

Soft Brexit. È questa la formula che gira ultimamente nelle stanze di Bruxelles e Londra. Le trattative hanno condotto ad una strada che prevede un’uscita lunga, spalmata su altri due anni, con reciproche garanzie di non arrivare a rotture nette. L’accordo sul Brexit è piaciuto solo a coloro che lo hanno stipulato. Non è piaciuto ad un pezzo consistente nella maggioranza conservatrice in Gran Bretagna, la quale guardava con bramosia ad una Brexit più dura. Non è piaciuto all’opposizione laburista, ma nemmeno agli scozzesi dello SNP e ai nordirlandesi del DUP; quasi scontato il loro voto contrario. In sostanza, Theresa May ha un paio di settimane per trovare un centinaio di voti. Altrimenti, inizierà un nuovo negoziato, con chissà quale governo, ma comunque il 29 marzo 2019 il Regno Unito sarà fuori dall’UE. Con accordo o senza.

Cosa c’è dietro questa agitazione seguita all’accordo? Perché il posto di Theresa May è tanto vacillante, mentre dal versante di Bruxelles sembra che l’intesa abbia riscontrato un consenso diffuso? L’economista Larry Elliot, in una recente intervista rilasciata a “The Guardian”, ha sottolineato come l’establishment britannico stia facendo di tutto per tenere il paese ancorato all’UE, operando la scissione in maniera del tutto formale. Deve essere stata questa l’impressione che ha suscitato l’accordo tra i suoi oppositori, i quali evidentemente, tanto da destra quanto da sinistra, si aspettavano delle misure diverse rispetto a quelle previste dal Soft Brexit.

In molti settori, quali quelli relativi agli aiuti di Stato, alla concorrenza e alle leggi sul lavoro, la Gran Bretagna rimarrà in linea con i paletti di Bruxelles. Un punto fortemente voluto dall’Europa, soprattutto su pressione della Germania. La preoccupazione di Merkel e soci è chiara. Con una fluttuazione valutaria molto più accentuata, l’Inghilterra potrebbe fare la voce grossa sul mercato europeo, ai danni principalmente dell’industria tedesca, varando al contempo riforme sul mercato interno (si pensi alle nazionalizzazioni dei settori strategici, ad esempio) che in Europa si sognano.

Non cambia granché anche per quel che concerne i mercati finanziari. Per due anni, le regole rimarranno le stesse; poi scatta l’”equivalenza rafforzata” per almeno un quarto dei servizi. Sui diritti di cittadinanza e sulle questioni inerenti all’unione doganale europea, Londra ha acconsentito ad usare la mano leggera. Con questa Brexit, i timori di cataclismi, già infondati, non hanno motivo di esistere. L’andamento del cambio dipenderà, come sempre accaduto nella storia, dalla richiesta di moneta, e visto che l’accordo non muta il quadro complessivo, lo status quo rimarrà tale. Una Hard Brexit avrebbe realmente messo in difficoltà l’Eurozona, di fronte ad una rinnovata competitività della Sterlina svalutata, mentre in questo modo anche le preoccupazioni connesse al settore dell’import vengono meno. Il rallentamento della crescita, conosciuto in questi due anni, è probabilmente dovuto all’incertezza circa il futuro, che ha posto un freno agli investimenti. La fine delle ambiguità dovrebbe sancire anche il ritorno alla normalità.

Tanto rumore per nulla.

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