Giovedì, 18 aprile 2024 - ore 05.59

Clandestino nella DDR nel 1973. Breve racconto sulla Berlino, Est ed Ovest, del suo muro e dei suoi abitanti | G.C. Storti

Oggi, 9 novembre 2019, è il 30° anniversario della caduta del muro di Berlino. In questa città ci sono stato immumerevoli volte. La meta del nostro primo viaggio fu Berlino nel 1973 dove, per una serie di circostanze ci siamo trovati ad essere clandestini nella parte Est.

| Scritto da Redazione
Clandestino nella DDR nel 1973. Breve racconto sulla Berlino, Est ed Ovest, del suo muro e dei suoi abitanti | G.C. Storti Clandestino nella DDR nel 1973. Breve racconto sulla Berlino, Est ed Ovest, del suo muro e dei suoi abitanti | G.C. Storti Clandestino nella DDR nel 1973. Breve racconto sulla Berlino, Est ed Ovest, del suo muro e dei suoi abitanti | G.C. Storti Clandestino nella DDR nel 1973. Breve racconto sulla Berlino, Est ed Ovest, del suo muro e dei suoi abitanti | G.C. Storti

Clandestino nella DDR nel 1973. Breve racconto sulla Berlino, Est ed Ovest, del suo muro e dei suoi abitanti | G.C. Storti

#MuroDiBerlino 

Oggi, 9 novembre 2019, è il 30° anniversario della caduta del muro di Berlino. In questa città ci sono stato immumerevoli volte. La meta del nostro primo viaggio fu Berlino nel 1973 dove, per una serie di circostanze ci siamo trovati ad essere clandestini  nella parte Est.

Abbiano visto e quasi toccato il muro, i VoPos , la fiamma del milite ignoto e le belle ragazze tedesche che sognavano l'occidente. Un viaggio interessante che ci ha fatto capire come gli ideali di quel socialismo stavano venendo meno  uno alla volta già d'allora.

La caduta del muro  nel 1989, l'ho vista, come quasi tutti, in televisione. Vedere la gioia, le lacrime di quella gioventù che scappava dalla loro prigione 'buia a cielo aperto'  mi ha fatto ricordare quel già lontano 1973 quando parlando con i ragazzi e le ragazze di quei giorni  già si capiva come sarebbe andata a finire. Certo i giovani della DDR avevano la scuola gratis, la libertà sessuale,  ma già da allora gli mancava la libertà che veniva immediatamente associata al consumismo ed alla luce. Si il 1989 fu la sconfitta definitiva del socialismo reale ( ugualianza senza libertà)  e la vittoria del capitalismo ( consumismo e libertà).

Molta acqua sotto i ponti è passata, la globalizzaione ha tolto dalla fame almeno 2 miliardi di persone ( Cina ed India) , il vecchio mondo (Europa ) ed il nuovo (USA) oggi sono attraversati da rigurgiti nostalgici che obbligano lo Stato Italiano a dare a Liliana Segre la scorta.

Come dice un vecchio detto cinese ' per fare un passo avanti ne abbiamo fatti due indietro'.

Tradotto anche se ormai sono  vecchio non ho perso le speranze di vedere un mondo migliore.I ragazzi che hanno abbattuto i muro hanno il merito di aver fatto trionfare in una parte del mondo la libertà.

Ora spetta alle nuove generazioni fare in modo che trionfino i valori di pace .uguaglianza e solidarietà che anche il papa Francesco spesso ci ricorda.

Purtroppo altri muri sono stati alzati in Europa e nel mondo in questi 30 anni. Sono i muri della paura che vogliono tenere 'fuori' i diversi.

Lavoriamo affinchè altre miglia di giovani li abbattano.

Buona lettura

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1973, Berlino: destinazione festival della gioventù

Partiamo alle quattro del mattino del primo sabato di agosto. Destinazione Berlino, festival della gioventù. Siamo in quattro: il Migna, il Piso, il Pasqua e il sottoscritto, tutti amici e compagni del bar di piazza S. Paolo. Ai visti ci aveva pensato il Piso, il Pasqua è alla guida dell’auto, una 128 Fiat gialla nuova di zecca. Sembra un taxi di Milano. Il Migna è addetto a nulla, io mi occupo delle relazioni. In quel periodo serve il passaporto anche per l’Austria, non parliamo poi dei paesi dell’est. Oltre al passaporto servono i visti, non ricordo in quante copie, che devono essere procurati prima tramite i consolati a Milano.

L’euforia è fortissima, il Festival della Gioventù a Berlino significa ragazze, compagne disponibili a scambiare esperienze. Nulla di più, nulla di meno. Il Pasqua va veloce, la 128 gialla è una freccia. Si macinano chilometri su chilometri, le soste sono ridotte all’essenziale per arrivare a Berlino entro la notte. Attraversiamo la frontiera dell’Austria con la Germania Federale, quella capitalista, senza alcun controllo. Il paesaggio della bassa Baviera è molto bello e pulito. Case per lo più bianche con i caratteristici tetti a punta, mucche libere al pascolo ed un’idea di ordine, pulizia, compostezza. Poche le macchine, molti i mezzi agricoli: trattori, carri, falciatrici e altro. 

Ci fermiamo a pranzare in una birreria. Nessuno di noi sa una parola di tedesco. Ci arrangiamo comunque bene: birra, molta buona birra, carne alla piastra, patate, pane di segale, formaggi, marmellate ed un caffè molto lungo e imbevibile. E poi via di nuovo in macchina, veloci, per arrivare quanto prima alla frontiera fra le due Germanie. Non ricordo il nome del posto dove attraversiamo il confine, ma la scena sì, come se fosse ieri.

I poliziotti della Germania Federale hanno un’aria allegra, gioiosa. Un controllo veloce ai passaporti, l’appello nominativo, poi la sbarra che si alza e la nostra macchina che avanza nella terra di nessuno, un centinaio di metri, verso la sbarra della frontiera della Repubblica Democratica Tedesca.

I poliziotti qui hanno l’aspetto triste, la stella rossa sul berretto emana un’aria spettrale. Ci ritirano i passaporti, chiedono i visti, ci fanno scendere dalla macchina, aprire il bagagliaio e tutti i bagagli. Un’ora fermi alla frontiera mentre dietro di noi, nella terra di nessuno, si crea una coda di una ventina di macchine, a quanto capiamo tutte occidentali e che presumibilmente si recano anch’esse al Festival della Gioventù. Finalmente passiamo la frontiera, l’impressione è molto negativa. Inoltre ci sembra di essere controllati a vista. Sull’autostrada che porta a Berlino la presenza della polizia è impressionante. Una postazione ogni quattro o cinque chilometri, così organizzata: una macchina con un autista e due poliziotti con mitra in mano, una camionetta che assomiglia ad una grande jeep, con un autista e 4-6 poliziotti con mitra imbracciato, tutti che fumano nervosi gironzolando sul posto. Ogni tanto si vede qualche macchina ferma al posto di blocco con tutte le valigie aperte e la gente piuttosto scazzata.

I ristoranti dell’autostrada sembrano le grandi mense delle nostre fabbriche. Impressionanti le file per pendere la birra, un secondo, o il pane. Non c’è un’unica fila dove si passa col vassoio di fronte a tutti i cibi. Tutto è stato organizzato con una fila per ogni alimento. Ci vuole quindi più di un’ora per mettere assieme qualcosa da mangiare. Noi turisti siamo tutti incazzati. Non ci accorgiamo nemmeno dei sorrisi stupendi che riceviamo da quelle magnifiche ragazze che ci servono oltre i banconi: bionde, alte, in carne, costrette in divise blu tipo salopette con camicetta bianca. I seni spingono la camicetta quasi a romperla, i loro visi sono ariosi, luminosi, intensi. Ci servono e poi ci salutano con un “ciao” tedesco che ti fa tremare il cuore. La vista di quel piccolo esercito femminile vestito di bianco e blu con il cappellino che lascia uscire la folta chioma bionda ci solleva il morale e ricarica per la nostra mitica - la voglia era proprio quella di un’esperienza mitica - avventura a Berlino. Ancora oggi non capisco perché, pur avendo percorso il corridoio autostradale in territorio est, siamo sbucati nella parte ovest di Berlino e in particolare nel settore americano. I VoPos, la VolksPolizei della RDT, che ormai in modo dispregiativo chiamavamo così, ci lascia uscire dall’autostrada senza ulteriori controlli. Sono circa le undici, siamo stanchi ma pronti alla nostra avventura. Ci accoglie una Berlino Ovest luminosa e ricca, con insegne uguali a quelle di Milano. Troviamo una pizzeria italiana. Abbiamo molta fame e molta sete. Beviamo una birra da un litro mentre aspettiamo la pizza napoletana. La pizza è più alta delle nostre perché cotta in un forno elettrico, ma per il resto ha i nostri sapori. La ragazza che ci serve non è in divisa bianca e blu, ma nella divisa, come da noi, fatta di jeans e camicetta Lacoste verde. I seni erompono, le natiche disegnano una stupenda forma di violino, gli occhi sono grigio chiaro e naturalmente i capelli biondi e lunghi. Ragazza stupenda di nome Erika, alta un filo più di me e il doppio di Migna.

Brindiamo alle bionde e alla meravigliosa razza ariana. Con la testa siamo già immersi in una selva fitta, bionda e chiara.

Alle due di notte siamo in coda alla frontiera americana verso Berlino Est. I VoPos stanno controllando dieci macchine avanti i bagagli di poveri turisti francesi. Prima o dopo sarebbe toccato anche a noi. Non sappiamo che cosa stiano cercando con così grande minuzia, così andiamo in giro a curiosare nella terra di nessuno.

Scopriamo dopo mezz'ora che cosa cercano i VoPos con il mitra spianato. Ci viene detto da un gruppo di compagni romani, che due o tre volte all’anno passano la frontiera per ragioni “umanitarie” (Avevano intenzione di sposare delle ragazze tedesche e di portarle in Italia), che I VoPos cercano riviste pornografiche, preservativi, calze di nylon e jeans.

Durante la perquisizione precedente non avevamo capito. In effetti anche noi abbiamo preservativi, in modica quantità e per uso personale, alcune paia di calze di nylon (la notizia era giunta anche a noi), ma non abbiamo jeans nuovi. Per evitare il ribaltamento della macchina, si deve preparare il pacchetto sul poggia oggetti posteriore della macchina. Facciamo così: predisponiamo una scatola di hatù, tre paia di calze di nylon, un paio di jeans, quello del Migna e, in assenza di riviste porno, una copia dell’Espresso aperta su una coscia di sconosciuta modella bruna che propaganda profumi maschili.

Sei macchine vengono perquisite minuziosamente, le tre prima di noi passano in dieci minuti e con perquisizione del materiale di contrabbando esposto. Anche per noi è un passaggio veloce. Cinque - dieci minuti di fermo, il sequestro della merce poi via, dopo due ore di coda, finalmente verso Alexanderplatz, mitica piazza berlinese, centro del Festival della Gioventù.

Sono le quattro del mattino. Dopo 14 ore siamo finalmente in Alexanderplatz. La piazza si presenta piena di gente, nonostante l’ora. Gente coricata sui sacchi a pelo canta alticcia in diverse lingue l’Internazionale ed altre canzoni di grido. Le luci sono soffuse, i palchi ancora addobbati dei vessilli della sera dell’inaugurazione. La temperatura è fresca ma non fredda.

Le spazzine iniziano a raccogliere i rifiuti che vengono ammucchiati ai lati della piazza. Altri operai con dei camion caricano i rifiuti, in lontananza avanzano in linea di tre mezzi ed in tre file alla volta le autoinnaffiatrici che con grandi getti d’acqua gelata fanno scappare la gente stravaccata sulla piazza.

Anche a noi non resta che ritirarci. Abbiamo sete, una sete terribile. Quella pizza alla napoletana consumata a Berlino Ovest sta facendo i suoi effetti. Man mano che avanzano le autobotti, noi ci ritiriamo verso la porta di Brandeburgo. Ci troviamo all’improvviso vicino al fuoco perenne intitolato, credo, al milite ignoto. Il monumento è semplice: un cono con base ampia spezzato, con in cima la luce votiva. Sullo sfondo l’arco, davanti il cono con il fuoco perenne e alla nostra sinistra, in fondo, il muro. Non avevamo pensato di vedere il muro da ovest, lo vedevamo per la prima volta da est. Lo spettacolo è semplicemente terribile fari potentissimi, illuminazione come a giorno. Abbiamo subito notato tre file di VoPos armati. La prima fila è vicinissima al muro, dieci o quindici metri, tutti allineati su una riga rossa, distanti sette-dieci metri uno dall’altro. La seconda linea, gialla, è a circa venti metri dal muro ed i VoPos sono, sempre in fila, ma ancor più distanziati fra di loro, circa il doppio rispetto agli altri. Quelli della terza fila, a pochi metri da noi, sono più radi, ma sempre armati ed allineati su una linea bianca.

Sul muro, a distanza di un centinaio di metri, sono sistemate delle torrette unite tra loro da filo spinato. Il Pasqua urla “fascisti!”, il Migna scuote la testa, il Piso cerca di balbettare una giustificazione, io resto allibito. Il clima è glaciale, lo scenario allucinante: a destra si estende questa grande piazza vuota, ma piena di palchi ancora addobbati per la festa, a sinistra lo stato di guerra.

In lontananza i giovani scappano dalla piazza mentre i getti d’acqua avanzano verso l’arco. Capiamo subito che la regia è stata studiata bene. Le autobotti con il getto d’acqua si muovono da tre lati della piazza spingendo i giovani verso l’arco e oltre di esso. Questa moltitudine di persone colorate e gioiose passa incuriosita, impietrita, orgogliosa, schifata accanto alla prima fila di VoPos, quasi toccandoli. I VoPos portano un berretto di pelo nero con al centro una grande stella rossa. Sono tutti ragazzi giovani, con lo sguardo fisso, immobile, senza luce, lontano. Ho rivisto questo sguardo nelle guardie pontificie in Vaticano parecchi anni dopo. Lasciamo passare la moltitudine seduti contro un chiosco di bibite chiuso. I ragazzi e le ragazze trascinano sacchi a pelo bagnati, lo zaino su una spalla, hanno il passo svelto nonostante la stanchezza. Fuggono dai getti freddi del regime che li ha invitati a partecipare alla festa.

Il Pasqua si alza di scatto gridando che sarebbe andato a toccare il muro. Ci alziamo tutti e lo seguiamo con lo sguardo. Si avvicina, con il passo della pantera rosa, e pone un piede sulla prima riga, quella bianca. I VoPos rimangono immobili, ma sentiamo un clic-clac ripetersi più volte. Sempre con il passo della pantera rosa si avvicina lentamente alla riga gialla. Immediatamente il clic-clac si intensifica in un rumore sinistro. Chiamiamo il Pasqua ma non c’è nulla da fare, parte di corsa verso il muro. I VoPos però sono più svelti di lui: lo bloccano al volo sulla riga rossa. Gli saltano addosso almeno in cinque e strattonandolo lo riportano indietro. Nel frattempo si è formata una piccola folla. Quando i VoPos riportano il Pasqua oltre la linea bianca, scatta un applauso. Non ho mai capito se a favore dei poliziotti o del Pasqua. Il Piso aveva scattato delle foto con il flash. Un graduato si avvicina e con un semplice “please” si fa consegnare la macchina fotografica, sovietica, dalla quale toglie rapidamente il rullino. Ritornammo per anni su quell’episodio. Divenne anche il nostro metro di misura per criticare il regime sovietico e per sostenere l’ineluttabilità della caduta del muro che avvenne diciassette anni dopo, a quanto hanno descritto le cronache, proprio partendo da quella piazza e da quel monumento simbolo. Sono le sette del mattino, finalmente apre un bar. Facciamo una coda lunghissima per berci un caffè pessimo, del latte ottimo e mangiare del pane fresco con burro e marmellata. In albergo ci aspettano verso le otto. L’albergo, un grande ostello della gioventù, si trova poco distante dalla piazza. Ritroviamo la 128 gialla e con l’aiuto di una cartina alle nove siamo nella hall dell’ostello Carlo Marx.  Una donnona grande e grossa ritira la nostra prenotazione, i passaporti e i visti. Ci scrive su un foglio di carta il piano, il settimo, e il numero della stanza, venticinque. Alle nove e un quarto siamo tutti a letto, il Pasqua inizia subito a russare. A nulla valgono i nostri sforzi per farlo smettere.

Sono le tre, forse le tre e mezza, quando qualcuno bussa forte alla porta. Il Migna è sotto la doccia, gli altri due dormono ancora, tocca quindi a me aprire. Si presenta il donnone della hall con un giovane poliziotto che tiene in mano i nostri passaporti ed i nostri visti. Il donnone parla in tedesco con voce forte. Gli altri si svegliano e mi raggiungono in corridoio. Il poliziotto sta sempre zitto con in mano i nostri documenti. Capiamo solo una parola: “raus”, ripetuta più volte e a voce alta. Il donnone entra nella stanza, seguita dal poliziotto, apre un armadio, prende una valigia ed urlando “raus, raus” indica la porta. Il poliziotto annuisce. Capiamo al volo che dobbiamo sloggiare.

In fretta prepariamo le valigie ed in fila indiana seguiamo il poliziotto. Il donnone ci saluta a braccia aperte urlando non so che cosa. Il poliziotto, usciti dall’ostello, ci invita a seguirlo. Una macchina della polizia sta a fianco del nostro 128. I passaporti sono nelle loro mani, così come i visti. Seguiamo la macchina muti come pesci. In poco più di dieci minuti siamo al passaggio, il mitico Check Point Charlie, che abbiamo attraversato la notte prima. Si fermano, ci consegnano i nostri passaporti ed i visti, alzano la sbarra. In tre secondi siamo di nuovo a Berlino Ovest.

Non riusciamo a capire. Il Pasqua bestemmia, il Piso è bianco in viso (i visti li aveva preparati lui), il Migna scuote la testa, io propongo di andare alla pizzeria napoletana. Impieghiamo più di un’ora a trovarla. Il traffico è caotico. Arriviamo alla pizzeria verso le cinque, ma è ancora chiusa. Aspettiamo quindi in strada fino le otto, bighellonando e mangiando dei panini con crauti e wurstel acquistati in un chiosco. Finalmente aprono la pizzeria. Il commesso, un giovane napoletano, si mette a ridere. Ordiniamo delle birre e delle pizze e cerchiamo di farci spiegare che cosa era successo, visto che il soggiorno a Berlino Est era già stato regolarmente pagato. Dopo più di un’ora arriva un’anziana donna tedesca che parla un po’ di italiano e ci spiega, finalmente, che i nostri visti non sono di soggiorno ma di transito e che quindi possiamo, per una settimana, andare e venire da Berlino Ovest verso Berlino Est e viceversa ma non possiamo soggiornare all’est. Guardiamo tutti il Piso che diventa rosso. In coro gridiamo: ma vai!!!!!! ed ordiniamo altre birre.

Chiediamo se si può rifare il visto, ma è troppo complicato. Il pizzaiolo, assieme alla vecchia tedesca, ci trova immediatamente un alloggio vicino alla pizzeria. Avremmo frequentato il Festival andando su e giù in metropolitana. L’idea ci piace e siamo euforici.

Alle dieci di sera, quando i concerti sono in pieno svolgimento, siamo di nuovo in Alexanderplatz. Grande successo hanno i gruppi sudamericani, quelli cubani in particolare fanno esplodere la piazza. Ogni tanto qualcuno parla ad un microfono ma viene subissato da fischi e grida. Si riparte con i cantanti, si mangia quello che si trova ai banchetti. Le tedesche che ci servono sono splendide, anche se sembrano tutte uguali. Con il Pasqua decidiamo la strategia per conquistare le tedesche. Abbiamo davanti a noi cinque o sei notti, a quei tempi più che sufficienti.

La strategia consiste nel girare i banchetti e capire se si riesce ad incontrare lo sguardo di qualche tedesca, agganciarla con qualche parola, qualche risata, qualche interesse. Siamo convinti che anche loro stiano cercando agganci, amicizie, avventura.

La prima sera va buca. Alle quattro di notte, spinti dagli addetti alla pulizia, saliamo sulla metro e torniamo all’ovest. Finalmente la terza sera di appostamenti ottiene l'effetto sperato. Il Pasqua ed io abbiamo agganciato una biondona alta, grande, maestosa, che per errore ci aveva rovesciato addosso della birra. Parla appena l’italiano e ci chiede scusa, noi ci sbracciamo per dimostrarle che siamo felici di quella birra sui jeans. Il primo paletto è posto, bisogna solo attendere la chiusura e fare colpo. Nello stand si alternano sei o sette ragazze. Ne parliamo con il Piso e con il Migna. Decidiamo di acquistare una decina di mazzolini di fiori e di attendere la chiusura dello stand. Praticamente piantoniamo quelle ragazze per ore, mostrando un borsone e indicando che vi sono regali per loro. Funziona. Verso l’una di notte quella grande e bella che parla un pochino di italiano si avvicina a noi seguita da altre tre ragazze. Due bionde e una mora. Tutte belle, anche se non era vero. Consegniamo i mazzi di fiori presi nella piazza, loro sorridono e ringraziano. Il Pasqua è scatenato e parlando con la biondona, più alta di lui, le chiede di andare in un posto dove poter bere e ballare. La biondona capisce e ci invita a seguirla.

Gira a sinistra e tutti assieme sbuchiamo sotto la metropolitana che in quel punto è sopraelevata. Sotto quella struttura metallica si apre una porticina con la scritta “Night”. Il night scimmiotta quelli occidentali, ma a noi non interessa la musica. Paghiamo dieci dollari (quindi non in marchi della DDR) a testa. Una bella cifra per quel tempo. L’ambiente emana puzza di fumo e odore di donne. Moltissime ragazze e pochi uomini. Quelle ragazze sembrano tutte provenire dagli stand della piazza. Forse è vero, forse no. Ordiniamo dello spumante e ci buttiamo in pista. Io non so ballare ma mi dimeno lo stesso. Ci dimeniamo tutti, in verità, cercando di accoppiarci a qualcuna. La mia bionda si chiama Eva, forse, o forse Katia, non sono sicuro. Brindiamo con lo spumante russo all’Italia e a Napoli cantando "O sole mio”. Ad un certo punto faccio cenno a Eva/Katja di uscire. Lei mi sorride, ha denti bianchissimi e labbra rese viola dalla luce dei neon. Con il capo dice di sì. Mi prende per mano e mi accompagna all’uscita. Fuori è quasi mattina e fa freddo.

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Brano tratto da 'A spasso per il mondo di Gian Carlo Storti'

« Dans un monde idéal l’Humanité n’existerait pas » «  Nel mondo ideale l’Umaninità non esiste »

Praga, Berlino, Karlovy Vary, Dresda, Parigi, Helsinki,  Sarajevo, Nizza, Valencia, Filadelfia, Oslo 

 

 

 

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