Giovedì, 28 marzo 2024 - ore 11.20

Le lezioni mancate del Muro di Berlino

Le lezioni mancate del Muro di Berlino

| Scritto da Redazione
Le lezioni mancate del Muro di Berlino

La caduta del muro di Berlino il 9 novembre 1989, o almeno, l’inizio del suo smantellamento, rappresenta una pietra miliare nel cambiamento e nel passaggio dal complesso, stratificato e spesso mal concepito mondo bipolare, a quello ancora più complesso, caotico e spesso incompreso mondo multipolare.

Per quanto i processi storici, sociali e geopolitici che hanno portato al crollo dell’URSS, siano stati lunghi e complicati, a partire dalla perenne rincorsa economica con il principale sfidante dell’egemonia sovietica, gli Stati Uniti d’America, fino a depauperanti sforzi come quello militare in Afghanistan a cavallo degli anni ’80, il crollo del muro ha rappresentato, contemporaneamente, il crollo di quella visibile divisione tra i due mondi, quello dell’Est e quello dell’Ovest. Poco conta che i muri fossero già porosi, attraversati da dissidenti, spie, esuli, da ambo i lati della Cortina di Ferro. Conta che, nel momento in cui il primo martello sfondò il cemento pesante del grande, vandalizzato, Muro di Berlino, di fatto il mondo fece un passo epocale in avanti, in un mondo dove tanto per l’Occidente sotto l’egida del falco americano, che per i paesi del Patto di Varsavia, tutto divenne meno deciso e più sfumato.

Non che il mondo sia divenuto il paradiso. Conflitti, proxy e no, hanno continuato a infiammare tutta la decade che ha diviso la caduta del muro dal successivo evento epocale, l’attentato alle Torri Gemelle. Una decade che ha visto da un lato la creazione di nuove entità pseudo-democratiche, come i paesi dell’Est Europa, l’unificazione delle due Germanie, così come il conflitto nei Balcani, l’avvento di nuove tecnologie e l’insorgere del caos tanto in Somalia quanto in Congo, o nel Sud-Est Asiatico, per citare qualcuno dei tanti avvenimenti che han colpito gli ultimi dieci anni del secolo ventesimo.

Un mondo che sicuramente è cambiato, e ha percorso la distanza che separava il bipolarismo dal multipolarismo e dal mondo multipolare, quello dove attori statali si miscelavano in maniera spesso poco sapiente con attori transnazionali, sia politici, che economici – i giganti gargantueschi che sono, ad esempio, i contemporanei conglomerati tecnologici.

Un mondo dove organizzazioni come l’Unione Euroea hanno cominciato ad assurgere a un ruolo sempre più prominente, in mondo che ha cercato inizialmente nuovi appigli, prima di lentamente lasciarsi rigurgitare dalle più salde e sicure forme nazionali. Perché quello che la caduta del Muro ha rappresentato, soprattutto, è la fine di un’epoca che, ad oggi, ci appare chiara, limpida, a modo suo salda e sicura. Non sicura nel senso più classico del senso, ma sicura nelle sue forme. Un mondo a due, dove esistevano l’URSS e gli USA, ciò che li cingeva e ciò che, in quel dato momento, sfuggiva particolarmente alle loro orbite. Un mondo in cui il confine tra amico e nemico era disegnato con chiarezza, dall’appartenenza ideologica e partitica, o nazionale o etnica.

Si erano già cosparsi, negli anni precedenti a cavallo tra il Secondo conflitto mondiale e la fine del mondo bipolare, i semi del futuro. La Comunità Europea aveva preso forma, trasformandosi pian piano lentamente nella moderna e attuale Unione Europea. Strumenti che, però, erano stati pensati e adattati a un mondo che, con tutte le sue particolarità, è poi sparito e dissolto con la fine del mito della divisione di Berlino.

Fondamentalmente, il muro, la sua caduta, ci ricorda che se il mondo è cambiato, organizzazioni come l’Unione Europea non lo hanno fatto completamente. Hanno mosso timidi passi verso un diverso futuro, in cui lo scudo americano è divenuto via via più flebile, le minacce trasversali e invisibili, i nemici confusi con la propria stessa popolazione e i pericoli per la democrazia non erano più proclami di lontani dittatori, ma di parlamentari ben radicati nelle aule del potere.

La lezione di Berlino dell’89 è stata che i muri, per quanto possano essere facilmente eretti e per quanto possano sembrare indistruttibili, sono per lo più destinati a cadere. È anche il messaggio del federalismo, l’idea che le barriere economiche, sociali, politiche, etniche, nazionali, siano destinate a frantumarsi dinanzi un destino più grande che vede le popolazioni convergere verso sempre maggiore unità. Eppure, nonostante l’incipit positivo, questo impulso che Berlino e il crollo della cortina di ferro han dato al mondo, i segnali sono spesso contrastanti, spesso scoraggianti. Il mondo contemporaneo sembra un mondo decisamente incamminato verso divisioni alimentate da attori politici – ma non solo – interessati al proprio tornaconto personale, per lo più, o anche chiusi in ideologie oramai vetuste che hanno il falso sapore della sicurezza.

I passi in avanti, come abbiamo accennato, sono stati fatti. Ma sono abbastanza? È logico pensare di no, che per quanto si sia fatto, sono numerosi i cambiamenti che ancora l’Unione Europea, e il mondo, devono affrontare per continuare sulla via in qualche modo lanciata dalla popolazione che festante ha iniziato a smontare quel muro poroso. Come tutti i confini, l’apparente solidità era in realtà accompagnata da una reale scarsa capacità di dividere i popoli. Lo stesso possiamo dire oggi per tanti attori divisori, per questi muri di Berlino umani, o aspiranti tali, che credono in superiorità della razza o di un popolo o di una nazione ma che, nonostante i loro proclami, non possono dividere davvero il mondo tra “noi” e “loro”, concetti che sempre di più appaiono senza significato.

Il mondo contemporaneo deve rischiare, come fu rischioso lasciar cadere l’URSS e il Patto di Varsavia. Rischiare verso nuovi passi, che sono in Europa fondamentalmente il passo federale, quel passo in più che renderebbe l’Unione qualcosa di reale, tangibile, non un mero insieme di strumenti alla mercé dei poteri nazionali, ma un ulteriore sistema democratico al servizio dei suoi cittadini. Berlino ha insegnato che, spesso, il rischio ripaga. Di certo, che il rischio che l’ignoto rappresenta vale sempre più delle false sicurezze della solidità del passato. Resta da vedere se tale coraggio mancherà ancora a lungo o se, invece, i semi piantati a Ventotene e nelle tante tappe del percorso unitario europeo troveranno presto acqua e terra fertile in cui germogliare. Ci sono degli spiragli, ma andranno colti perché possano diventare davvero un solido punto d’appoggio.

(Davide Emanuele Iannace, Eurobull cc by nd)

 

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