Venerdì, 08 novembre 2024 - ore 15.26

(CR) Pianeta Migranti. Cop 28 le foreste africane nel mercato dei crediti di carbonio

I crediti di carbonio sono un nuovo imponente strumento per trarre profitto dal furto delle terre africane calpestando le popolazioni locali.

| Scritto da Redazione
(CR) Pianeta Migranti. Cop 28 le foreste africane nel mercato dei crediti di carbonio

(CR) Pianeta Migranti. Cop 28 le foreste africane nel mercato dei crediti di carbonio

I crediti di carbonio sono un nuovo imponente strumento per trarre profitto dal furto delle terre africane calpestando le popolazioni locali. Una nuova forma di colonialismo.

 Gli attivisti climatici avevano criticato la scelta di Dubai come sede della  Conferenza Onu sul clima, come pure la nomina a presidente del sultano Ahmed Al Jaber, amministratore delegato della Abu Dhabi National Oil Company, la più grande compagnia petrolifera statale dell’emirato.

Ora, fanno presente che Cop 28 ha spianato la strada alla tendenza già in atto, di accaparrarsi il carbonio intrappolato nelle foreste dell’Africa, a vantaggio in particolare di una società di Dubai.

Di fatto, sei paesi africani hanno concesso il controllo dei loro territori forestali per un’estensione superiore a quella del Regno Unito alla Blue Carbon, una società di Dubai patrocinata da un membro della famiglia reale, lo sceicco Ahmed Dalmook Al Maktoum che vende crediti di carbonio ai paesi del Golfo, consentendo così a loro di continuare a puntare sui combustibili fossili.

I crediti di carbonio sono dei certificati equivalenti a una tonnellata di CO2 non emessa o assorbita attraverso il finanziamento di progetti di forestazione, o progetti compensativi di tutela ambientale. Le aziende o le istituzioni che non riescono o non intendono ridurre le proprie emissioni di CO2 hanno la possibilità di acquisire questi particolari titoli da enti certificati a finanziare progetti compensativi di tutela ambientale. E’ un sistema introdotto dal Protocollo di Kyoto e confermato dalla Cop di Parigi nel 2015.

Un  articolo pubblicato dalla CNN lo scorso novembre, sostiene che la Blue Carbon di Dubai ha firmato un accordo per acquistare crediti di carbonio con sei paesi africani: Liberia, Angola, Zimbabwe, Zambia, Kenya e Tanzania. Il territorio interessato ha complessivamente un’estensione di 25 milioni di ettari, superiore a quella del Regno Unito, e rappresenterebbe una percentuale significativa di quello dei paesi coinvolti. Sia in Tanzania che in Zambia, Blue Carbon assumerà il controllo di oltre 8 milioni di ettari, mentre la Liberia ha concesso diritti esclusivi su 1 milione di ettari di foresta pluviale – un decino del territorio – per un periodo di 30 anni. Foreste, pascoli, savane, boschi di mangrovie e tanto altro… sono considerati una fonte potenziale di introiti enormi che vari paesi africani guardano con interesse, entrando così nel mercato del carbonio.  

La conseguenza è che le comunità locali perdono il controllo delle loro terre e vengono anche scacciate, mentre  i governi stranieri che hanno acquistato i crediti di carbonio possono continuare a inquinare avendo coi crediti compensato le loro emissioni.

Amnesty International, Human Rights Watch e Survival International il giorno dell’apertura di COP28 hanno denunciato episodi di violazione dei diritti delle comunità locali (in Kenya) in nome dei crediti del carbonio. Hanno sottolineato che “ogni iniziativa di conservazione della foresta, connessa con lo sfratto forzato di popoli indigeni è illegale; che  i crediti di carbonio rappresentano una minaccia per le terre degli africani grande quanto il taglio del legno e le attività minerarie che distruggono il loro ambiente. E’ un sistema che apre la porta al land grabbing e alla violazione dei diritti umani e alla corruzione”. Una nuova forma di colonialismo destinata a produrre esodi e migrazioni. Survival international in un suo rapporto parla di “carbonio sanguinante”.

Rispetto al clima, i crediti di carbonio rappresentano la foglia di fico che copre la volontà di continuare ad emettere gas serra, una forma di greenwashing.

 

 

 

 

 

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