La Brianza condivide con Varese il triste primato dell’epidemia di Covid in Lombardia, zone rosse già prima del Dpcm del 4 novembre.
La scorsa primavera, l’onda in piena della pandemia aveva travolto i territori più a est, Bergamo e Brescia. Nella provincia di Varese tra marzo e aprile i casi di Covid censiti raramente hanno superato il 5 per cento del totale regionale. Adesso invece il numero dei positivi al tampone si è moltiplicato: dai 150 dei primi sette giorni di ottobre a quota 7 mila nella settimana che si è chiusa il primo novembre.
Anche nella provincia di Monza e Brianza la curva si è impennata: i contagi registrati ogni sette giorni sono aumentati di oltre 30 volte, dai 250 di un mese fa fino agli 8 mila della settimana del 2 novembre.
La sera del 2 novembre una coda di auto di un chilometro si allungava all’ingresso del nuovo centro tamponi allestito dalla protezione civile fuori Varese.
A Merate, 14mila abitanti in Brianza, il piccolo ospedale locale aveva accolto i malati da Bergamo ma durante l’estate era diventato un centro “free”, libero dal Covid: è rimasto tale pochi mesi. Ora si sta trasformando per ospitare in tutti i suoi 140 letti, persone che hanno bisogno d’ossigeno a causa del virus.
«Nell’ultima settimana abbiamo dovuto smontare un reparto ogni mattina per convertirlo a Covid e ricoverare i 40 nuovi pazienti che arrivano ogni giorno al Pronto Soccorso», racconta Mario Alparone, il direttore generale dell’ospedale San Gerardo di Monza.
A Varese, l’ospedale di Circolo, scelto dalla Regione come Covid-hub, durante la prima ondata aveva accolto decine di malati provenienti dalle altre province lombarde.
In questi giorni invece medici e infermieri devono gestire l’ondata dei contagi del centro-nord, dal confine svizzero al Verbano e più a sud lungo la valle del fiume Olona.
Il 22 ottobre si contavano un centinaio di ricoverati. Una settimana dopo erano già raddoppiati e martedì 3 novembre i letti destinati ai malati di Covid hanno raggiunto quota 406 con 30 degenti in terapia intensiva. «Ancora qualche giorno e qui non ci sarà più spazio per nuovi ricoveri», prevede un infermiere. Restano una cinquantina di letti, non di più.
«In questo momento abbiamo 250 operatori assenti perché in malattia; 250 su 4.800 dipendenti dell’ospedale. Sono contagi in ambiti familiari», dice il direttore: «Ma l’impatto sulla struttura è evidente». I letti per i nuovi malati si possono in qualche modo rimediare, almeno per i pazienti che non sono destinati alla terapia intensiva.
A Varese attendono a giorni i neolaureati del corso in scienze infermieristiche.
Una trentina di giovani, ovviamente inesperti, che dovrebbero prendere i posti lasciati liberi dai colleghi trasferiti nei reparti Covid. Intanto, da giorni ormai, il personale in servizio si alterna su turni di 12 ore.
Intanto la Regione, invece di inviare rinforzi,assume personale per il padiglione della Fiera di Milano destinato alle terapie intensive voluto a tutti i costi dal presidente Attilio Fontana e dall’assessore al Welfare, Luigi Gallera.
Dall’ospedale di Varese già in grande affanno, sono partiti 20 infermieri, sette anestesisti e cinque specializzandi guidati dal primario di cardiorianimazione. Dovranno gestire 14 postazioni di terapia intensiva, con l’aiuto di un’altra squadra di professionisti.
Monza invece ha mandato 16 medici e 50 infermieri che si occuperanno di 16 letti.
Tutti diretti al padiglione Fiera Milano, sottraendo risorse preziose agli ospedali delle altre province.
Tutti i territori provano ad arruolare medici di base e aumentare gli investimenti per infermieri di famiglia e personale di contatto.
Ma il problema resta sempre lo stesso: la carenza di personale.
Senza controllo del contagio - attraverso le scelte di politica pubblica, e finché non saranno disponibili vaccini o cure solide in tempi certi - non ci sarà mai servizio o struttura capace di far fronte da sola il virus.
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