Una risposta alle critiche|RAR
Proseguo nel mio itinerario di comunicare le critiche che piovono e le risposte che ho il diritto di dare, non fosse altro che per legittima difesa.
Mi sono permesso di criticare il libro di Marcello Pera, definendolo “libercolo” e identificare con “discutibile” la presentazione scritta da Ratzinger e firmata nella qualità Benedetto XVI, come si volesse proteggere lo scritto con i crismi della infallibilità. Identificare il liberismo capitalista “secondo Berlusconi” sarebbe da definire blasfemo, altro che discutibile; evidentemente il rispetto della forma che ho voluto usare non è bastata a neutralizzare le critiche, che si sono sovrapposte, dove viene vantata la coerenza filosofica dell’uomo, che lo stesso Berlusconi aveva prima esaltato, quindi defenestrato. La vita politica di Marcello Pera è tutta un continuo ripensamento, partendo dall’estrema sinistra, fino a giungere a FI, il tutto con plateali ripensamenti e contraddizioni.
Ma i commenti arrivati non mi hanno colto di sorpresa, né impreparato, perché la figura di Marcello Pera è emblematica per dimostrare quanto miracolose siano tanto la via di Arcore quanto Via della Conciliazione, avendo lo stesso Pera percorso entrambe le vie al seguito di Berlusconi e di Ratzinger, nella missione di unificare il liberalismo berlusconiano con la Teologia canonica, al fine di motivare l’autoritarismo laico auspicato da Berlusconi e l’autoritarismo spirituale predicato da Ratzinger.
Ritengo doveroso esaminare l’iter filosofico, politico, culturale di Marcello Pera per chiarire le esaltazioni
La biografia ufficiale ci parla di Pera ragioniere che diventa filosofo; qui l’itinerario sarà inverso: il filosofo che ritorna ad essere ragioniere.
Il filosofo Marcello Pera corre alla ricerca di una identità, di un inserimento nel pianeta che conta, così si prospetta come un integerrimo interprete della legge e del senso comune.
Come commentatore de “La Stampa” offre il meglio di sé, che diventerà, poi, il peggio, quando si ritroverà nella condizione di doversi contraddire sull’intera linea.
Ai tempi di Mani pulite, diventa perentorio, assiomatico senza se e senza ma e afferma:
«Come alla caduta di altri regimi, occorre una nuova Resistenza, un nuovo riscatto e poi una vera, radicale, impietosa epurazione... Il processo è già cominciato e per buona parte dell'opinione pubblica già chiuso con una condanna» (La Stampa, 19 luglio 1992).
Il filosofo Pera è giustizialista, perentorio, inquisitorio, affermando:
«Il garantismo, come ogni ideologia preconcetta, è pernicioso» (Ibidem 29 marzo 1993).
«I giudici devono andare avanti. Nessuno chiede che gli inquisiti eccellenti abbiano un trattamento diverso dagli altri inquisiti» (Ibidem 5 marzo 1993).
Nella difesa della magistratura diventa aggressivo:
«No e poi no, onorevole Bossi. Lei deve chiedere scusa... I giudici fanno il loro dovere... Molti magistrati sono già stati assassinati per aver fatto rispettare la legge... Lei mette in discussione i fondamenti stessi dello Stato di diritto» (Ibidem 24 settembre 1993).
Non disdegna il ruolo giacobino:
«la rivoluzione ha regole ferree e tempi stretti» (Ibidem 26 settembre 1993).
Ma poi, con la folgorazione sulla via di Arcore, emerge il rag. Marcello Pera, memore dei suoi prioritari studi fa un po’ di conti, facili come quelli della serva, e aderisce a Forza Italia, si scaglia contro gli stessi magistrati di Mani Pulite, del pool di Palermo e auspica che i magistrati vengano fermati, teorizzando il progetto piduista della separazione delle carriere per vanificare gli approfondimenti delle indagini, sgradite al suo datore di lavoro.
Acquista, così, il credito necessario per meritare un seggio al senato, pur recuperato con i resti, e diventa il responsabile della giustizia di FI.
E’ ancora una figura di secondo piano quando inventa una “Convenzione per la giustizia”, un partito-non-partito, inconcludente, ma utile per ottenere miliardarie sovvenzioni a “Il Foglio” di Giuliano Ferrara, di proprietà dell’allora seconda moglie del premier, diventando fedelissimo difensore della “voce del padrone”.
Ormai la carriere politica del rag. Pera è tutta in discesa: beati monoculi in terra coecorum
Ben nota la sua personale filippica contro i magistrati che indagavano sul fratello del suo datore di lavoro Paolo detto berluschino, a proposito di una discarica in Lombardia, la superpattumiera di Cerro Maggiore con annesse speculazioni, truffe, all’ombra di un omicidio, con una condanna finale che costò al berluschino il pagamento di 50 milioni di euro, al fine di evitare la legittima galera.
(v. http://www.mediconadir.it/rass_stam_74.htm).
Nelle more Silvio divenne presidente del consiglio e Pera presidente del Senato; fu così che il rag. Pera prevalse sul filosofo Pera, diventato anche il portavoce laico (ateo e razzista), nonché l’ispiratore culturale del nuovo pontefice Ratzinger.
Ma di questo blasfemo connubio sarà meglio parlarne in seguito e più a lungo .
Così Marcello Pera si autoridimensionò a ragioniere (con tutto il rispetto per i ragionieri che esercitano correttamente la loro professione non trasformata in mestiere).
L’abito del filosofo è riservato agli incontri vaticani, dove godeva di una credibilità formale che cercava, con patetico impegno, di accreditarlo come ispirato mentore delle evoluzioni sociali di papa Ratzinger.
Prima di imboccare la via della nuova redenzione che porta ad Arcore, l’indeciso Marcello Pera aveva affermato:
Poi la folgorazione lungo le due vie: Via della Conciliazione e la Strada per Arcore, lastricate di incarichi politici, gratuite pubblicazioni da parte della casa editrice del datore di lavoro e benessere, e l’assidua frequentazione con il cardinale Ratzinger, in piena fase di allenamento per diventare pontefice.
Lo sforzo culturale partorito dall’incontro con l’allora cardinale Ratzinger, generò quel “Senza radici”, scritto a quattro mani con il nuovo e autorevole amico, nel quale l’intera Europa, intesa come faro dell’Occidente, avrebbe nel cristianesimo la fonte di tutte le ispirazioni, trattandosi di un cristianesimo selettivo che scevera i buoni dai cattivi, in forza di una religiosità diventata caratteristica antropologica, identificatrice della razza superiore, che respinge gli emigranti in nome e per conto di una pretesa superiorità culturale che diventa razziale.
E’ il medesimo Marcello Pera, diventato oculato amministratore di se stesso, che dirà:
In Europa la popolazione diminuisce, si apre la porta all'immigrazione incontrollata, e si diventa "meticci" (...). Non c'è altra strada: o ci impegniamo ad integrare gli altri facendoli diventare cittadini della nostra civiltà - con la nostra educazione, la nostra lingua, la conoscenza della nostra storia, la condivisione dei nostri principi e valori - oppure la partita dell'integrazione è perduta.
( Discorso pronunciato da Marcello Pera il 21 agosto del 2005 in apertura del meeting di Rimini di Comunione e Liberazione).
Affermazione espressa con l’autorevolezza della seconda carica dello Stato, nel meeting di CL , quindi con l’apostolica benedizione del pontefice, insediato da pochi mesi.
L’integrazione quindi passerebbe per l’annullamento delle altri culture, delle altrui religiosità, dentro una incondizionata e immediata accettazione di quanto verrebbe loro imposto, in alternativa il rischio del meticciato.
Non è occasionale che ci tornano in mente analoghe affermazioni provenienti da un altro pulpito, che riportiamo con grande preoccupazione:
La nostra salda opinione che l’incrocio con gli Africani sia un attentato contro la civiltà europea perché la espone a decadenza (...) Dal meticciatorifuggiamo consci dei pericoli che trascina con sè, ma al tempo stesso cerchiamo senza illusioni l’elevazione degli indigeni nell’interesse loro e nostro, e per averli utili dipendenti nello sfruttamento delle aziende coloniali.
(scritto nel 1938 da Lidio Cipriani, antropologo e teorico delle politiche razzista del regime fascista, sul numero sei di una rivista che non a caso si chiamava “La difesa della razza”.
Le analogie sono estreme e gravissime, specialmente se sovrapposte alle affermazioni del volumetto “Senza radici” che trova nel cardinale Ratzinger, che diventerà vicario di Cristo, l’avallo e la fidejussione al libitum.
Mi fermo qui per lasciare ampio spazio alla riflessione, prima di proseguire nell’approfondimento degli aforismi di Marcello Pera,
- sia come filosofo, remoto imitatore di Karl Popper, del quale ha distrattamente letto solo ciò che è riuscito a capire, trascurando di valutare opere come La società aperta e i suoi nemici e Miseria dello storicismo, dove critica quello storicismo dentro il quale lo stesso Ratzinger vorrebbe catapultare la fede,
- che come oculato ragioniere, la cui piaggeria culturale nei confronti del datore di lavoro da una parte e del manutengolo teorico dall’altra gli farà affermare un altro dei suoi aforismi, peraltro, senza tema di cadere nel ridicolo:
Ancora un aforisma del rag. Pera.
E’ l’aforisma (v. http://aforismi.meglio.it/aforismi-di.htm?n=Marcello+Pera) che meglio di qualunque altro identifica la malafede del rag. Marcello Pera, quando vuol far credere di indossare i panni del dotto filosofo.
L’interpretazione del termine “laicista” è del tutto personale e vorrebbe sfruttare una pretesa autorevolezza culturale per imporre una visione personalizzata, acritica e fuorviante della stessa storia.
Il laicismo è l'atteggiamento filosofico, politico e sociologico di chi propugna la totale separazione tra Stato e Chiesa (date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio), ovvero l'assenza di interferenze religiose o confessionali, dirette o indirette, nell'ambito legislativo, esecutivo e giudiziario di uno Stato e più in generale nella vita civile di una comunità umana e nei suoi aspetti di obbligatorietà.
Il corrispondente aggettivo è "laicista"; il laicismo sostiene la piena autonomia dello Stato e dei suoi principî rispetto alle autorità e alle confessionireligiose: si può definire Stato laico quello che agisce mantenendo un atteggiamento imparziale nei confronti delle fedi religiose dei cittadini, siano queste maggioritarie o minoritarie.
Ma questa interpretazione finisce con il ritrovarsi in rotta di collisione con le aspirazioni, diventate fin troppo evidenti, di trasformazione autoritaria dei poteri, sia religioso che politico; la nostalgia dell’Inquisizione che emerge in Benedetto XVI e la vocazione autoritaria di Berlusconi, necessitano di un puntello ideologico che il rag. Pera si presta ad offrire, indossando, occasionalmente, gli abitini del dotto filosofo.
L’interpretazione offerta da Pera nel suo aforisma, finirebbe con il condannare ogni forma di laicità dello Stato, per propugnare un fondamentalismo cristiano, lontanissimo dagli insegnamenti di Cristo. Il fondamentalismo cristiano a sua volta fornirebbe credito e autorevolezza al potere politico, a condizione che si presti ad una progettazione ossequiente ai dettati del potere religioso, trasformandosi in braccio secolare del potere religioso: ripetizione e doppione di quanto déjà vu nei più bui secoli dell’Inquisizione.
Potere politico e potere religioso diventerebbero i due ubriachi che si sostengo a vicenda per non sbattere il muso per terra.
L’avallo a simili interpretazioni allontana i cittadini dalla democrazia e i cattolici dalla Fede.
Rosario Amico Roxas
2014-03-01