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Il fantasma della democrazia

| Scritto da Redazione
Il fantasma della democrazia

È apparso il 24 maggio, in una Tribuna organizzata di pomeriggio su RaiDue. Sotto al lenzuolo bianco c'era il segretario di Radicali Italiani Mario Staderini, con un cartello con scritto “fantasma della democrazia, della legalità, dei referendum, dell’informazione”.
L’ultima volta che il fantasma della democrazia era riuscito ad entrare negli studi Rai fu nel 1997.
Sotto il lenzuolo c'era Marco Pannella.
Anche allora si trattava di referendum; anche allora a venti giorni dal voto non c’era informazione
né si prevedeva di farne in maniera adeguata.
Nonostante il fantasma, quel monito cadde nel vuoto e per la prima volta nella storia repubblicana un referendum non raggiunse il quorum.
Da allora, non è mai stato più raggiunto, anche perché in 14 anni la distruzione dello Stato di diritto si è completata.
Questa volta stanno ripetendo lo stesso gioco: prima la Commissione di Vigilanza approva il regolamento quando già sono volati via due terzi della campagna, poi la Rai predispone un calendario fatto apposta per impedire agli italiani di sapere.
Per ciascun referendum, infatti, sono state previste solo cinque tribune della durata di trenta
minuti e tre contenitori di messaggi autogestiti da 12 minuti; tutto in fasce di bassissimi ascolti: le 17.15 su RaiDue le Tribune, le 9 di mattina i messaggi su RaiTre.
In pratica, saranno 2 milioni gli ascolti medi di tutte le tribune messe insieme e 1 milioni quelli dei vari contenitori di messaggi.
Decine di milioni di italiani non avranno quindi alcuna conoscenza.
E badate bene, tutto ciò avviene contro la legge scritta: lo stesso Regolamento tardivo della Commissione di vigilanza imponeva alla Rai una collocazione degli spazi referendari in fasce orarie di massimo ascolto, prima o dopo i notiziari di tutte le reti.
Si possono chiamare votazioni democratiche? Siamo una democrazia? Nel frattempo in Parlamento tirano fuori una leggina da azzeccagarbugli per far saltare il referendum contro il nucleare, quello che più di tutti motiverebbe le persone al voto, come ha dimostrato il referendum regionale in Sardegna svoltosi due settimane fa e che ha fatto registrare il 59,49% di partecipazione e il 97,14% di Sì.
Poi se il referendum nazionale si terrà o meno non conta, l’importante è che prosegua la confusione, vero modo per tenere a casa gli indecisi.
La verità è che il Regime italiano ha sempre avuto paura dei referendum, perché non può tollerare che il popolo possa conoscere prima di scegliere e quindi di votare.
Il furto della scheda referendaria si è compiuto praticamente dall’inizio della storia repubblicana:
dapprima aspettando venticinque anni prima di attuare la Costituzione, poi sciogliendo le Camere per cinque volte (1972, 1976, 1987, 1996, 2008) in modo da evitare il voto referendario, sino ai ripetuti blitz della Corte costituzionale che ha cancellato decine di referendum
scomodi al Palazzo.
L’arma finale, da sempre, è comunque l’utilizzo del servizio pubblico radiotelevisivo
per impedire informazione e conoscenza.
Se ci fosse un vero dibattito sul nucleare, infatti, non si potrebbe evitare di parlare anche delle
politiche energetiche italiane e delle oligarchie che le condizionano a loro esclusivo vantaggio.
Allo stesso modo, parlare di acqua e di servizi pubblici locali significherebbe aprire il vaso di Pandora del consociativismo municipale, con i suoi sprechi, le clientele e gli imprenditori
d’area che fiutano l’affare.
Che fare? Intanto sui referendum facciamo di tutto per portare le persone a votare, per informarle
e farle informare da chi deve per legge.
Ma, da subito, teniamo presente che la democrazia si conquista ogni giorno, e di anni persi ne
abbiamo tanti.
Sergio Ravelli
(segretario dell'associazione radicale Piero Welby di Cremona)

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