Venerdì, 29 marzo 2024 - ore 03.26

IL PRODE ORLANDO ED UN BAMBINO CURIOSO “RACCONTINI” DI AGOSTINO MELEGA (Cremona)

Storia delle immedesimazioni dell’Autore. La mediazione del burattinaio Turtiróol di Annicco e dei suoi “figli di legno” durante una magica infanzia.

| Scritto da Redazione
IL PRODE ORLANDO ED UN BAMBINO CURIOSO “RACCONTINI” DI AGOSTINO MELEGA (Cremona)

IL PRODE ORLANDO ED UN BAMBINO CURIOSO “RACCONTINI” DI AGOSTINO MELEGA (Cremona)

Storia delle immedesimazioni dell’Autore. La mediazione del burattinaio Turtiróol di Annicco e dei suoi “figli di legno” durante una magica infanzia.

  Quanto l’amavo quell’album di figurine che mi parlava degli Indiani d’America! Per raccogliere le piccole tessere colorate, che mi facevano sentire amici e compagni di gioco Geronimo, Toro Seduto e Kocise, e cavalcare con loro in modo sconfinato dal Nuovo Messico al Nord Dakota, avevo dovuto mangiare una quantità infinita di surrogati di cioccolato “Ferrero”, a quindici lire lo spicchio. Dalla quale confezione, appunto, si staccavano le stupende immaginette della collezione.  

  Ebbene, nonostante tale metodica applicazione, di merende l’una uguale alle altre, non potei resistere, in quell’ormai lontanissimo 1957, di scambiare quel mio tesoro di praterie, bisonti e Manitù, con un giocattolo d’irresistibile fascino dell’amico Cesare: un burattino, il più bel burattino del teatro de Turtiróol (di Tortiroli), di quell’uomo misterioso che di sera trasformava la sua bottega d’artigiano nel tempio dell’immaginario, della fantasia e della risata collettiva. E riusciva a portare in quel camerone uno spazio di fantasia incredibile, sito in un vicolo di un piccolo paese padano, Annicco, un borgo che per me rappresentava nient’altro che il centro del mondo.

  Già, lo scambio che mi offriva Cesare era un’occasione d’oro, irripetibile. Quel burattino stupendo era lì a portata di mano e di semplice e veloce baratto. Avrei dovuto perdere solo uno sgualcito album d’ormai inutili figurine. Quel burattino era nientemeno che quello di Orlando, di Orlando in persona, figlio di Milone d’Aglante  e di Berta, sorella di Carlo Magno.

 Sì, Orlando e gli altri suoi fratelli burattini, mi avevano letteralmente estasiato ed estraniato, negli anni ’54 e ’55; loro, i “figli di legno” di Turtiróol, i paladini di Francia, così coinvolgenti in una serie di sequenze emozionanti, capaci di farti immedesimare in loro. Così era avvenuto nella rocambolesca nascita di Orlando, fino alla tragica “Rotta di Roncisvallle”. Lui, infatti, Orlando “ero” io; e Rinaldo, l’altro paladino, un altro mio amico, Amilcare, seduto sempre di fianco a me, sulla sedia che bisognava portare da casa.

  La cosa più ingiusta, certo, era quando noi due dovevamo morire sulla scena. Ma di questo, del morire, non eravamo del tutto convinti, perché eravamo sicuri che mastro Tortiroli fosse nascosto là sotto il tendone, e che stesse facendo per finta, e che ci stesse manipolando con dei rantoli fin troppo esagerati. E poi eravamo matematicamente sicuri, io e Amilcare, o meglio Orlando e Rinaldo, che saremmo stati ancor più forti la sera successiva, contro il Sultano e i Mori, e contro la pagana Dama Ravanza. Avremmo combattuto, Amilcare ed io, non per finta, come Orlando e Rinaldo perdenti, ma sul serio, sì: proprio come Gioppino, il trigozzuto burattino col bastone randellante nelle farse finali.

  E’ ovvio che “noi” non appartenevamo al mondo della farsa, caratterizzato dalla voce de Turtiróol, a volte acrobata goffo nell’interpretare il dialetto bergamasco di Gioppino o quello bolognese del dottor Balanzone, o quello napoletano di Tartaglia.

  Il burattinaio annicchese era invece splendido quando spariva all’improvviso, non dando più segni di sé, quando insomma entravano in scena i cavalieri di Carlo Magno, proprio quando entravamo in scena “noi”.

 Purtroppo venne il giorno fatidico dell’Apocalisse dei burattini, e fu quando all’improvviso il signor Tortiroli chiuse i battenti del suo teatro dei bei legni animati. Non mi rimase allora come consolazione che il cioccolato, o meglio il surrogato con le figurine degli amati Indiani lontani.

E, stranamente, incredibilmente, il destino volle che, di lì ad un anno, il prode Orlando tornasse da me, ed io a lui, grazie alla mediazione di Cesare, il figlio del sarto del paese. Ma rimanemmo, Orlando ed io, come una parte l’uno dell’altro, solo per poco. Il sipario stava ormai calando intriso di nostalgia sulla mia fantastica infanzia.

AGOSTINO MELEGA (Cremona)

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