Lunedì, 06 maggio 2024 - ore 12.39

Il punto di Rosario Amico Roxas. Il capitalismo liberista

Il nostro opinionista parte dal recente scandalo Volkswagen

| Scritto da Redazione
Il punto di Rosario Amico Roxas. Il capitalismo liberista

Perché meravigliarsi se oggi capitalisti, imprenditori, manager, finanzieri non sono più quelli di una volta?

Perché meravigliarsi se una delle più grandi aziende automobilistiche del mondo, come la Volkswagen, si è rivolta alla truffa generalizzata pur di vendere il suo prodotto e mantenere un primato mondiale?

La Volkswagen, e tutto ciò che le sta attorno che è esploso come un bubbone, è il frutto di una logica sistemica prodotta dalla distorsione del liberalismo, diventato liberismo capitalistico, che ha già colpito, negli Stati Uniti, con lo scandalo miliardario della Enron, una delle più grandi multinazionali statunitensi, operante nel campo dell’energia e fallita nel 2001. Indagando a fondo si scoprì che la Enron innanzitutto manteneva alto il livello dei suoi redditi con trucchi contabili, ma anche ottenendo agevolazioni da parte del governo, ottenute in cambio di aiuti nelle campagne elettorali o donazioni a numerosi uomini politici in denaro o in pacchetti azionari. Comportamenti di questo tipo non erano adottati a vantaggio solo di esponenti del partito repubblicano, ma anche di quello democratico; ciò rappresenta un capitalismo entrato nella sua terza età, che ha rinnegato il sistema democratico per accedere al liberismo sfrenato, svincolato dal controllo delle Istituzioni.

Perché «entrato nella sua terza età»? Ricapitolando:

· fase 1 o eroica (che tocca il culmine nel XIX secolo), dove si affermano i capitani d’industria, le cui attività portano alla formazione di grandi imprese, come le corporation americane;

· fase 2 o dei diadochi (che si generalizza nella prima metà del secolo XX), dove gli eredi dei grandi imprenditori passano la mano a manager e proprietari azionisti;

· fase 3 o speculativa (che dopo un primo sviluppo negli anni Sessanta giunge solo oggi a completa maturazione), dove i principale azionisti, non confidando nei manager, iniziano, come si dice in gergo, a non mettere tutte le uova nello stesso paniere, diversificando gli investimenti per distribuire i rischi.

Nascono così i manager di portafoglio, la cui funzione è assolta da venditori istituzionali e intermediari finanziari (fondi di investimenti, società finanziarie ecc.), ma anche da finanzieri e imprenditori privi di scrupoli… Il “gioco” finisce così per riguardare solo chi decide di offrire capitale e chi decide come investirlo. E quel che conta per entrambi non è più la bandiera o il carisma imprenditoriale, ma la redditività di un capitale investito, che a causa della crescente instabilità dei cambi e del progresso tecnologico, diventa sempre più speculativo. È perciò ovvio che in tale situazione proliferino avventurieri di ogni genere.

Il capitalismo sembra tornato alle sue origine piratesche. Ma personaggi come Drake erano intrepidi spadaccini e furbissimi pirati, mentre le figure attuali che emergono nel pianeta del capitalismo sono a dir poco patetiche: da capitalismo in disarmo. Come finirà?

Schumpeter riteneva che il capitalismo generasse una forma mentis ipercritica, giovevole al progresso economico (la cosiddetta distruzione creatrice), ma non a quello sociale, perché l’“ipercriticismo”, dopo aver distrutto l’autorità morale delle altre istituzioni, si sarebbe rivolto contro le proprie, come l’attuale scandalo della Volkswagen dimostra nel dettaglio. Il sistema appariva proiettato, già negli anni Quaranta del secolo scorso, verso l’esaurimento delle risorse morali. E i continui scandali di oggi, le corruttele generalizzate, come gli appelli retorici al rispetto delle “regole”, indicano che Schumpeter aveva ragione.

Del resto, come tutte le istituzioni sociali, anche il capitalismo è “mortale”, anche se a coloro che vi sono nati e vissuti può apparire eterno. Non si capisce allora perché anche il capitalismo, come sistema politico, economico e sociale, non possa subire la stessa sorte di altre grandi istituzioni come l’Impero Romano, giudicato altrettanto eterno dai suoi contemporanei. Ecco, allora, che figure, in fondo patetiche, come quelle degli attuali capitalisti/liberisti, possono ricordare quelle degli ultimi imperatori romani d’Occidente, ad esempio Giulio Nepote e Romolo, detto Augustolo, dediti in modo infantile alle proprie questioni private ma ignari che il mondo politico e sociale circostante era sul punto di svanire per sempre.

Rosario Amico Roxas

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