Sabato, 27 aprile 2024 - ore 23.51

Il punto di Rosario Amico Roxas. Torna la lotta per le investiture

Roxas punta sulla distinzione, che tale deve rimanere, tra peccato e reato

| Scritto da Redazione
Il punto di Rosario Amico Roxas. Torna la lotta per le investiture

Nel basso Medioevo esplose lo scontro tra impero e papato, che la storia ci tramanda come “lotta per le investiture”. In pratica l’imperatore concedeva il titolo di conte con relativi feudi e vassallaggio, ai vescovi, al fine di evitare la diatriba sulla ereditarietà di tali feudi. Ma sorse subito il problema circa la priorità delle cariche. I vescovi nominati conti (da qui il titolo ibrido di visconti) sarebbero stati tenuti a tutelare gli interessi dell’impero con obbedienza all’imperatore. La Chiesa si ribellò, in quanto non intendeva perdere il diritto all’obbedienza da parte dei nuovi “visconti”, per cui vantava un diritto di prima nomina, trattandosi di vescovi e successivamente conti, per cui l’obbedienza spettava, innanzitutto alle gerarchie della Chiesa.

Sono trascorsi più di otto secoli e il problema si ripropone in tutta la sua assurda attualità. Non c’è più un imperatore che elargisce titoli e feudi, bensì tutta una serie di “imperatorelli” che garantiscono al candidato politico l’elezione, in cambio di fedeltà e obbedienza: dalle gerarchie della Chiesa che garantiscono appoggio elettorale ai vari capi mafia che barattano pacchetti di voti con la più devota sudditanza del politico. L’ultima boutade è del card. Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, che avrebbe voluto imporre al Senato della Repubblica italiana, nata dalla Resistenza al fascismo e costituzionalmente “laica”, il voto segreto sull’approvazione della legge sulle Unioni Civili, in modo da poter condizionare i parlamentari cattolici ai voleri da sacrestia.

Il Presidente del Senato Grasso è stato duro e deciso nel rispondere a tale pretesa, affermando che spetta al Presidente del Senato decidere al metodo della votazione e non al Presidente della CEI, affermando, così, la laicità dello Stato che ha l’obbligo costituzionale di garantire l’uguaglianza tra tutti i cittadini, escludendo l’ipotesi di penalizzare “cittadini di serie B”. Bagnasco non deve avere le idee chiare in proposito, per cui compie una confusione incredibile tra “reato” e “peccato”: il primo di pertinenza laica da parte dello Stato, il secondo di pertinenza confessionale da parte della Chiesa. Ma non si può e non si deve fare confusione tra i due, interpretando il peccato confessionale come un reato istituzionale, perché escludere le unioni civili dai benefici convessi alle unioni concordatarie genera una confusione di ruoli inconcepibile. Quando poi accade il contrario, e cioè ridurre a peccato quello che lo Stato Laico penalizza come reato penale, allora non si tratta più di confusione, bensì di collusione e connivenza con i criminali. L’esempio più cocente lo abbiamo con la pedofilia esercitata da sacerdoti, che Ratzinger pretendeva amministrare nel segreto delle sacrestie e assolvere con un paio di giaculatorie.

La lettera Crimen sollicitationis che l’allora card. Ratzinger inviò al clero americano, infangato da casi ripetuti di pedofilia, con la quale imponeva il silenzio sui casi scoperti (sarebbe più logico chiamarlo omertà), pena la scomunica, valse all’ardito cardinale una denuncia penale da parte di una corte distrettuale del Texas; tant’è che, dovendosi recare negli Stati Uniti, ebbe bisogno dell’accoglimento, da parte del Capo della Casa Bianca, allora Bush, del diritto all’impunità in quanto «Capo di Stato in carica» (contravvenendo all’insegnamento di Cristo «Il mio regno non è di questo mondo»).

Ora Bagnasco ribadisce in una unica soluzione entrambi gli errori, di intervenire nei confronti di una Stato laico imponendo proprie valutazioni e di confondere il peccato (unione civile) come se si trattasse di un reato da punire con l’esclusione delle coppie di fatto dalle misure che lo Stato Laico riconosce a tutte le coppie (di fatto o concordatarie che siano).

Rosario Amico Roxas

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