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L’ANGOLO DEL DIALETTO CREMONESE (2) | Agostino Melega (Cremona)

Continua da parte di Agostino Melega la rassegna l'Angolo del Dialetto Cremonese (2)

| Scritto da Redazione
L’ANGOLO DEL DIALETTO CREMONESE (2)  | Agostino Melega (Cremona)

“L’ANGOLO DEL DIALETTO CREMONESE ” (2)  | Agostino Melega (Cremona)

Continua da parte di Agostino Melega la rassegna l'Angolo del Dialetto Cremonese (2) 

GALLERIA DEI POETI CONTEMPORANEI: MAGDA BODINI

Dopo la figura di Renzo Bodana andremo qui ad incontrare i verseggiatori Carla Magda Bodini e Silvano Bottoni. La prima dei due è stata descritta da Gianfranco Taglietti come una donna dall’animo solare con una “femminilità esuberante, creatrice di emergenti immagini, vena poetica sincera e pulita”.

  Lo stesso Taglietti annota che la signora Carla Magda, non più giovane, sonava il pianoforte e che ricordava bene il suo dialetto, imparato in via Solferino, nel centro della città, dove il padre era orefice.  Tant’è che essa era diventata poetessa del dialetto con risultati di valore.

  Anche Mario Muner l’aveva apprezzata riportando nella sua antologia, Cento e un anno di poesia Cremonese, alcune sue composizioni, fra le quali Töt cun 50 fràanch, scritta il 10 dicembre del 1966, in cui viene descritto lo scomodo tragitto dei passeggeri, durante un giorno d’autunno,  pigiati su di una vettura filoviaria della città,

  In questo testo  lo stesso Muner nota l’impegno vivo della Bodini “di usare il dialetto secondo la sua attitudine a raffigurare incisivamente i dettagli”.

  Quello descritto dall’Autrice è veramente un tragitto descritto in modo minuzioso e ridondante di ansia per l’attesa del filobus, e di gente che si ammucchia prima e dopo nel salire sul mezzo di trasporto. E’ un verseggiare quello dell’Autrice che trasmette, in modo particolareggiato, la condizione di un disagio provato, fra gomitate ricevute ed occhiate di traverso e spintoni fra gente accalcata, schiacciata e ferma sul filobus e nel contempo frettolosa di giungere a destinazione.

  E così, fra guidatori indaffarati nel traffico e controllori sospettosi, al fianco di bigliettai dalla rabbia congenita, esce un quadretto pittoresco di viaggi urbani dell’epoca, in un tramestio pagato con cinquanta lire di moneta.

TÖT CUN 50 FRÀANCH

Se spéta a na fermàada (che gh’è pö),

perché da ‘n pòo de dé i gh’à cambiàat)

e, dòpo na curìida, sèensa fiàat,

te pódet, finalmèent, andàaghe sö.

Ma gh’è d’i guài, gh’è sèen d’incunvenièent,

che fà pasàa la vója a tàanta gèent

e adès, per té, vói fàa, de ste viagèt,

mudernamèent, a màce, el so quadrèt.

 

Idéa malaügüràada

munéeda preparàada

spetàa tàant

rìva chél che ucùr mìia

spetàa altretàant

bàter bruchéta*                                   *rimanere in attesa

gèent che se möcia

uciàade

pasièensa scapàada

baterìa scaricàada

el rìiva!...

Avàanti amò ‘n tòch!?

Na curìida!...

Gumetàade

scaléen àalt

sutàane stripàade*                            *strappate

büdéle schisàade     

schisòon* in de le pòorte                *schiacciature

stòorte*                                                *distorsioni

equilìbrio pèers

sücòon*                                                   *urti con la testa

sbürlòon*                                                *spintoni

uciàade de travèers

paréer divèers

uràari scumbinàat

tròl  šó de pòst*                                   * distacco del tròl (“trolley in inglese”) (4)

guidadùur indafaràat

cuntrulùur suspetùus

bilietàari rabiùus

pòst ešaürìit

frèt,

càalt,

frenadìne

vèent che despeténa

gašaghèer* d’i stüdèent                  * chiacchiericcio confuso  

ciciaràade de la gèent

cunversasiòon cu’l guidadùur

“Parlèeghe mìia a lùur!”

fermàade

sbürlòon

gèent che vèen sö

gèent che và mìia šó

“Avàanti, per piašèer!!..”

nisöön se móof

fóora pióof

“Avàanti, lé in més!...”

Pistòon

“Pardòn!”

“Óo, nièent!” (suridèent)

“Acidèent!” (cun la mèent)

Surišèt de püteléen

el pòst a ‘n veciuléen

sbèerle in de ‘l capél

bùurse in de la schèena

la vetüüra ‘l è sèen pièena

“Avàanti, per piašéer!...”

Sbütòon*                                          *spintoni, urtoni

rabiòon

corèente mancàada

gèent che và šó

gèent che vèen sö

corèente rivàada

cunusèent che cunùs pö

gèent che impedìs

se déesfa àan i rìs

campanél guàst

fermàada pasàada

“Féerma!...”

 

E tra ‘n sbürlòon e ‘n gómet in de ‘n fiàanch,

‘ndùm šó sturdìit... töt cun cinquàanta fràanch!

 

TUTTO CON CINQUANTA LIRE.

Si aspetta ad una fermata (che non c’è più)/ perché da un po’ di giorni hanno cambiato)/ e, dopo una corsa, senza fiato,/ puoi, finalmente, andare su./ Ma ci sono dei problemi, ci sono sempre degli inconvenienti,/ che fanno passare la voglia a tanta gente/ e adesso, per te, voglio fare, di questo viaggetto,/ modernamente, a macchie, il suo quadretto.// Idea malaugurata/ moneta preparata/ attendere molto/ arriva quello che non serve/ attendere altrettanto/ rimanere in attesa/ occhiate/ pazienza scappata/ batteria scaricata/ “Arriva!”.../ Avanti ancora un pezzo!?/ Una corsa!.../ Gomitate/ scalini alti/ sottane strappate/ budella schiacciate/ schiacciature nelle porte/ distorsioni/ equilibrio perso/ urti con la testa/ spintoni/ occhiate di traverso/ pareri diversi/ orari scombinati/ “trolley” distaccati/ guidatori indaffarati/ controllori sospettosi/ bigliettai rabbiosi/ posti esauriti/ freddo/ caldo/ frenatine/ vento che ti spettina/ chiacchiericcio (fastidioso) degli studenti/ chiacchierate della gente/ conversazioni con l’autista/ “Non parlate proprio, a loro!”/ Fermate/ spintoni/ gente che viene su/ gente che non va giù/ “Avanti per piacere!!...”. Nessuno si muove/ fuori piove. “Avanti, lì in mezzo!.../ Pestoni/ “Pardòn!”/ “Oh, niente!” (Sorridente)/ “Accidenti! (Con la mente)/ Sorrisetto di  bambinetto/ il posto a un vecchietto/ sberle nel cappello/ borse nella schiena/ la vettura è sempre piena/ “Avanti, per piacere!.../ Spintoni/ grandi rabbie/ corrente mancata/ gente che va giù/ gente che viene su/ corrente tornata/ conoscenti che non si riconoscono/ gente che intralcia/ si disfano anche i ricci/ campanello guasto/ fermata persa/ “Ferma!...”/ E tra uno spintone e un gomito nel fianco,/ andiamo giù storditi... tutto (questo) con (sole) cinquanta lire! (Traduzione nostra).

ALCUNE ESPRESSIONI PARTICOLARI

Nella composizione vi sono alcune espressioni e termini particolari per non dire desueti, come ad esempio bàter bruchéta (rimanere in attesa), sücòon (urti con la testa), sbütòon (spintoni, urtoni), tròl, voce significante due cose:  a) il rullo per battere il terreno e per altri usi agricoli; b) la mazzeranga, arnese di legno colmo, piano nel fondo, cerchiato di ferro, con due manichi in cima, con cui si picchia e si pareggia il selciato fatto di fresco, o con cui si batte la terra per spianarla e per rassodarla.

SILVANO BOTTONI, UOMO DAL MULTIFORME INGEGNO

Silvano Bottoni (1923-1989), poeta ed attore nel tempo libero, fu tra i fondatori della Fiera Campionaria di Cremona e, nonostante questo suo ruolo di prestigio, un giorno confessò ad un amico un amaro cruccio: “Quando mi spegnerò, nessuno parlerà di me”. 

Oggi siamo qui, invece, per smentire volentieri questa sua profezia. Come abbiamo appena accennato egli fu, a ventitré anni d’età, l’organizzatore, il segretario generale, il propulsore della Fiera di Cremona proposta la prima volta nel 1946 alle Colonie Padane.  E attraverso questa Fiera, della quale egli costituì di fatto l’anima, venne a favorire lo sviluppo della zootecnia cremonese.

  A questo proposito,  Gianfranco Taglietti ha aggiunto un pensiero sul Bottoni che vale come dell’oro fuso: “I Presidenti si succedevano ma egli rimaneva al suo posto, senza appoggi partitici, da uomo libero. In tanti anni di servizio, fino all’ultimo giorno della sua vita (era il 4 agosto 1989) non servì mai nessuno”. Aveva servito la causa in cui credeva, mai gli uomini. Mai aveva abdicato alla propria personalità”.

  Per quanto riguarda il dialetto, lo stesso Taglietti attesta che il Bettoni lo conoscesse molto bene: “Era la lingua della sua infanzia – scrive il critico cremonese – e sapeva piegarla alle necessità della sua espressione, trovando in essa lo strumento della propria autenticità, della sua umanità”.

  Il nostro Autore scrisse in vernacolo varie opere, una di queste insieme a Giovanni Chiappani: “En sórèch de campàgna e ‘n sórèch de cità”, dove il primo topo era rappresentato dal suo amico sindacalista, d’origine contadina, ed il secondo sorcio era lui medesimo. Il Bottoni si dilettò pure a scrivere sonetti sulla gastronomia, editi su due volumi a cura degli “Amici della Cucina Cremonese”: Pàan e sapièensa e l’altro Cui pée sóta al tàaol. Inoltre Silvano Bottoni fu pure presidente, per diciotto anni, del Circolo dei Filodrammatici di Cremona.

  Le sue composizioni in dialetto sono ricche soprattutto di umanità, in cui il salace arguto umorismo della superfice  – commenta sempre il Taglietti – “cela un animo sensibile e pensoso, per nulla alieno dal valutare vizi e virtù dei suoi concittadini e degli uomini tutti”.

  Presentiamo qui una sua composizione, in cui l’Autore disegna in rima  il lungo periodo storico dagli anni Venti in poi, indicata dalla locuzione Dal vìint al dé d’incóo, che il prof. Riccardo Magri avrebbe invece scritto con precisione grafematica Da’l vìint a’l dé d’incóo, modalità questa che noi ci sentiamo di seguire, precisando che gli anni trascorsi dagli anni Venti ad oggi non sono più sessanta come scritto nel primo verso della composizione quaranta anni fa, ma ormai cento nel corrente 2020.

 

DA’L VÌINT A’L DÉ D’INCÓO.

Da’l vìint a’l dé d’incóo, gh’è sesant’àn

che bèen ricòorda chìi gh’àa la me età:

vinticìinch àn de Fàasio, cu’l so dàn,

pò trentacìinch de pièena libertà.

Se póol fàa ‘n paragòon? Alùura i guài,

e adès a sùura ‘l cöönt gh’ùm mìs i gài!

 

Ma ‘ndóm bèl bèl, perchè de ste questiòon

ghe n’è amò tàanti che na póol parlàa.

Chél che purtàava in téesta ‘l aquilòon

e che ghe piašìiva sèemper cumandàa

e chél che stàava sóta, sèemper schìs

próot a cambiàa la pél, tàa’ me fàa i bìs.

 

Sé, perché quàan’ el Fàasio ‘l è cascàat,

per en miràcol töti i Cremunées

da ‘n dé cun ‘l àalter i s’è radupiàat,

cušé che i cìinch j è diventàat i dées!

Ma chéi che gh’éera cóontra – pàan a’l pàan –

alùura i se cüntàava sö na màan!

 

J è chéi che per difèender en penséer

i ‘ndàava dèent’ e fóora de galéera:

gèent che gh’àa fàt la fàm per en duvéer

e vìighe na divèersa primavéera;

che gh’à patìit viulèense e sacrifìsi

per dàane en móont divèers... e sèensa vìsi!

 

Signùur, ‘l è véera!, gh’ùm la libertà,

se dìis  chél che se vóol cóontra ‘l govèerno;

però a le dées de séera töti in cà,

a’l càalt d’estàat e a ‘l frèt quàan’ vèen ‘l invèerno!

 

E se gh’èsum de metìise a lauràa,

a fàase sö le màneghe, a stàa schìs*,                              *stare in silenzio

e àan ‘se gh’ùm ‘l às, andàa quàai vòolte a lìs*?          *giocare una carta senza valore

 

‘L è mìia che vóbia dàa sügerimèent,

perché de chéi n’ò pràan bišögn àan’ mé;

però se, in cunfidèensa, en bèl mumèent,

chéi che cumàanda, i gh’ès de piantàa lé

de fàane sèen’ la téesta ‘me ‘n balòon,

in stràada, in piàsa, a la televišiòon

per dìi che gh’è de fàa di sacrifìsi

sa se vóol chésta Itàlia tiràa sö,

sarès mìia mèj che a tóone ste pendìsi*                         *seccatura

àan’ lùur i gh’ès de lauràa de pö?

Pulìtich che divèenta marengòon...

e dòpo... calaràala l’ inflasiòon?

 

DAGLI ANNI VENTI AL GIORNO D’OGGI

Dal Venti al giorno d’oggi, ci sono sessant’anni/ che ben ricordano quelli che hanno la mia età:/ venticinque anni di Fascio, col loro danno,/ poi trentacinque di piena libertà./ Si può fare un paragone?/ Allora i guai,/ e adesso per sovrapprezzo abbiamo aggiunto i debiti!// Ma andiamo pian pianino, perché su questa questione/ ce ne sono ancora tanti che ne possono parlare./ Quello che portava in testa l’aquilone/ e al quale piaceva sempre comandare/ e quello subalterno, sempre in silenzio/ pronto a cambiare la pelle, come fanno le bisce.// Sì, perché quando il Fascio è caduto,/ per un miracolo tutti i Cremonesi/ da un giorno con l’altro si sono raddoppiati,/ così che i cinque sono diventati i dieci!/ Ma quelli che erano contro (il regime) – pane al pane – allora si contavano sulla mano!// Sono quelli che per difendere una ideologia/ sono andati dentro e fuori di galera:/ gente che ha fatto la fame per un dovere/ ed ottenere una diversa primavera;/ che hanno patito violenze e sacrifici/ per darci un mondo diverso... e senza vizi!// Signore, è vero!, abbiamo la libertà,/ si può dire quello che si vuole contro il governo;/ però alle dieci di sera tutti in casa,/ al caldo d’estate e al freddo quando viene l’inverno!/ Cresce tutto; il pane, la carne, la verdura,/ e, soprattutto, cresce anche la paura.// E se dovessimo metterci a lavorare,/ a farci su le maniche, e stare in silenzio,/ e anche se abbiamo l’asso (di briscola),/ giocare  una carta senza valore.// Non è che voglia dare un suggerimento,/ perché di quelli ne ho molto bisogno anch’io;/ però se, in confidenza, un bel momento,/ quelli che comandano, dovessero smetterla/ di  farci (diventare) la testa come un pallone,/ in strada, in piazza, alla televisione/ per dire che ci sono da fare dei sacrifici/ se si vuole tirar su quest’Italia/ (non) sarebbe meglio che a toglierci questa seccatura/ anche loro dovrebbero lavorare di più?/ Politici che diventano falegnami.../ e dopo... s’abbasserà l’inflazione?// (Traduzione nostra)

 

INTERESSANTI VOCABOLI

Insieme all’elemento documentaristico, di una certa stagione politica e sociale italiana, nella composizione vi sono alcuni vocaboli di particolare interesse linguistico, i quali indicano molteplici significati, come ad esempio i termini schìs, lìs e pendìsi. Osserviamoli allora con la lente della curiosità.

  Vediamo infatti che il primo di essi, schìs, è possibile leggerlo sia come sostantivo e sia come aggettivo.  Il DDDC infatti ci dice: “sostantivo maschile, schizzo”, ed è altrettanto aggettivo per significare “schiacciato”, “rincagnato”..

  Stessa varietà semantica è data dal vocabolo lìs, che è interpretabile quale sostantivo maschile per indicare: a) un umore vischioso e attaccaticcio; b) il filo torto a uso di spago del quale si servono i tessitori per alzare e abbassare le fila dell’ordito, nel tessere le tele. Invece come aggettivo significa semplicemente “liscio”.

  Ricco è pure l’uso dello stesso termine nei modi di dire, come ad esempio andàa vìa lìs (fare qualcosa agevolmente); giugàa a lìs, modalità verbale usata nel gioco della briscola per indicare una carta di nessun valore; lìs ‘me ‘n bìs, ossia “molto liscio” ed altrettanto per dire “molto silenzioso” ed anche “l’essere senza soldi”.   

  Invece l’espressione “éser lìs ‘me ‘n ‘às de smujàa” (essere lisci come una asse per sciacquare) è riferita sia ad una ragazza poco prosperosa così come a chi è al verde senza soldi.

 

I prossimi Autori che verranno presentati nella nostra galleria sul dialetto d’arte cremonese saranno i poeti Eugenio Calvi di Rivolta d’Adda ed Umberto Carantani di Derovere.

23 novembre 2020

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