Lunedì, 06 maggio 2024 - ore 05.53

L’intervento di Gianni Cuperlo all’assemblea dei deputati e senatori Pd

Il problema vero per noi è il profilo della nostra opposizione se l’obiettivo è costruire – insisto, prima di tutto nel paese – una alternativa credibile alla destra

| Scritto da Redazione
L’intervento di Gianni Cuperlo all’assemblea  dei deputati e senatori Pd L’intervento di Gianni Cuperlo all’assemblea  dei deputati e senatori Pd L’intervento di Gianni Cuperlo all’assemblea  dei deputati e senatori Pd

L’intervento di Gianni Cuperlo all’assemblea  dei deputati e senatori Pd

Il problema vero per noi è il profilo della nostra opposizione se l’obiettivo è costruire – insisto, prima di tutto nel paese – una alternativa credibile alla destra.

Ieri si è tenuta l’assemblea. Metto qui le cose che ho detto.

Queste settimane hanno visto una ripresa di fiducia e un orgoglio che le ultime stagioni avevano incrinato. Diciamo che il cambio di clima è evidente (sia nelle piazze che nella risposta di una platea tutt’altro che scontata come nel caso del congresso della Cgil).

Sono segnali positivi che si riflettono nei sondaggi, ma soprattutto mi sembrano confermare un aspetto che riguarda il nostro lavoro: ed è che quando i rapporti di forza politici (dentro le istituzioni) sono sfavorevoli alla sinistra – al campo progressista – il modo migliore per creare un’opposizione efficace è modificare i rapporti di forza sociali nel paese.

E con quelli le alleanze culturali, ideali, capaci di configurare una alternativa alla destra (al fondo l’Ulivo fu questo: l’incontro di culture radicate nella storia del paese e disposte a un percorso e una visione comuni).

Se volete è una valutazione conseguente ai numeri prima che ad altro, nel senso che in questa legislatura è difficile immaginare che leggi simbolo per noi (dal salario minimo allo Ius soli all’abolizione della Bossi-Fini, al fine vita o al Ddl Zan) possano essere approvate.

Altra cosa è alimentare fuori da queste Aule quelle spinte dal basso capaci di incalzare il governo e il Parlamento su una agenda di riforme vissute come necessarie e urgenti.

In fondo è sempre stato un po’ così: tutte le più grandi riforme politiche, sociali, civili (quelle che hanno cambiato la costituzione materiale del paese) hanno sempre avuto una matrice, un’origine, in forti movimenti destinati a crescere nelle stagioni che quei diritti, quelle conquiste, rivendicavano come possibili.

Di volta in volta potevano essere la classe operaia, i giovani, le donne o le avanguardie sul versante dei diritti della persona.

Credo che come partito noi oggi abbiamo bisogno di assumere precisamente questo ruolo: mettere la destra di fronte alle sue contraddizioni (dalle promesse mancate alle uscite scomposte di questi mesi) e allo stesso tempo lavorare perché si allarghi nel paese il perimetro dei soggetti (delle forze più o meno organizzate) che incarnano risposte alternative a quelle offerte dalla destra (che si tratti di mercato del lavoro, migranti, sanità, scuola, fisco).

Il nodo politico per noi è che la maggior parte di queste realtà conduce le sue battaglie (avanza le sue rivendicazioni) in forme separate da quelle degli altri.

In questo senso il tema non è riaffermare il principio per cui i diritti non sono divisibili: questo direi che è un dato scontato.

L’ostacolo vero per il nostro partito non è come unificare culturalmente quei diritti, ma come unificare socialmente e politicamente i mondi (le persone) che per quei diritti si spendono e si impegnano.

Perché poi questa è la funzione che spetta alla principale forza dell’opposizione: offrire una struttura che tenga assieme la dimensione della politica, del civismo migliore, con le radici che hanno dato vita al Partito Democratico.

Ora, perché questo discorso si presenta oggi con tutte le difficoltà che registriamo?

Penso per più ragioni, ma dovendo indicarne una direi per lo stato di salute della nostra democrazia (soprattutto se collocata in una cornice più ampia).

Lo dico perché se mettiamo in fila le tensioni dell’America minacciata dal tratto eversivo del suo ex presidente; la rivolta in Israele contro la riforma della giustizia di Netanyahu; i disordini francesi e le spinte per archiviare la Quinta Repubblica; la debolezza del governo tedesco sotto l’incubo di una crisi dei suoi giganti bancari; la recessione inglese con il pentimento popolare sulla Brexit; il quadro che esce è davvero la conferma di democrazie aggredite e fragili sino dentro il cuore dell’Occidente.

È come se il collasso della classe media dopo il 2008, e a seguire i due anni della pandemia e gli effetti della guerra in Ucraina avessero ipotecato la tenuta di quegli assetti democratici e istituzionali che pure avevano retto l’urto di crisi economiche e fenomeni eversivi per tutti gli ultimi sette-otto decenni di storia sulle due sponde atlantiche.

Penso che la nostra opposizione deve fare i conti con questo contesto e dobbiamo sapendo che questa destra è parte di quella torsione reazionaria in atto un po’ ovunque e che aggredisce le democrazie liberali nei loro fondamenti.

Non credo che nel nostro caso tutto ciò rappresenti un pericolo: per gli anticorpi che l’Italia possiede e per il presidio che continua a svolgere Sergio Mattarella (con una funzione di supplenza rispetto a un governo a tratti pericoloso e latitante sui dossier più delicati).

Il problema vero per noi è il profilo della nostra opposizione se l’obiettivo è costruire – insisto, prima di tutto nel paese – una alternativa credibile alla destra.

Per parte mia credo si collochi qui il tema degli assetti e dei gruppi dirigenti che avranno il compito di guidare questa nuova stagione.

Come voi ho letto le rassegne stampa di questi giorni (i retroscena – le ricostruzioni sul dialogo tra la segretaria e Stefano Bonaccini – le ipotesi su gestioni unitarie, equilibri post-congressuali, in una rappresentazione – che mi auguro non sia veritiera anche se può apparire verosimile – di tutto quanto di più vecchio noi abbiamo ereditato dai 16 anni di vita di questo partito).

Ecco, io mi auguro solamente che le scelte che faremo siano espressione non del morto che afferra il vivo, ma dell’idea di partito e di politica di cui abbiamo bisogno da qui ai prossimi anni.

E c’è poco da fare, questo lo si fa a due condizioni: se valgono (e io penso valgano molto) le parole di Elly e Stefano e di tutti noi sul bisogno di non ricercare falsi unanimismi, di non premiare facili trasformismi.

E di valorizzare, invece, un vero pluralismo che in questo partito esiste – non da oggi – e che è molto più ricco della cattiva prassi di transitare indenni da una stagione all’altra mantenendo sempre posizioni e ruoli privilegiati (che si stia al governo o all’opposizione).

Questo per me significa introdurre delle novità che siano tali per davvero.

Significa stoppare una volta per tutte i doppi e tripli incarichi (fosse solo perché la giornata è fatta di 24 ore).

Significa, infine, aprire veramente la nuova stagione ai troppi affluenti che negli anni abbiamo tenuto ben lontani temendo che potessero ridurre gli spazi di manovra di chi c’era già.

Personalmente sono ottimista: penso che questa svolta la si possa volere e realizzare davvero.

E comunque sarà sulla coerenza tra parole e azioni che ciascuno di noi maturerà serenamente il suo giudizio.

Gianni Cuperlo

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