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La Costituzione italiana e il Magistero sociale della Chiesa | RAR

| Scritto da Redazione
La Costituzione italiana e il Magistero sociale della Chiesa | RAR

Questo scontro-incontro con i miei amici virtuali, il cui indirizzo è inserito nella mia rubrica, comincia a diventare sempre più interessante, anche se qualcuno si spinge oltre alla semplice dialettica, scivolando nella polemica, come se la critica garbata, ma solo raramente fuori dalle riga, volesse nascondere un messaggio che mi invita a cambiare opinione. Così non è.  Anzi mi si è aperta una linea di ricerca  che credo abbastanza originale, per svolgere la quale anticipo che chiederò il sostegno di un costituzionalista; la ricerca è già iniziata, anche se involontariamente, con l’analisi paritetica del concetto di Bene Comune, come lo identifica la Costituzione Italiana, rigorosamente elaborata dal vice presidente emerito della Corte costituzionale Paolo Maddalena, alla quale, senza voler entrare in competizione con un maestro del diritto, ho solo aggiunto il medesimo argomento descritto nell’enciclica Populorum Progressio.

L’accusa più bonariamente rivoltami è quella di esprimermi da “curiale”; non ho ben capito tale accusa, avendo sempre scritto da laico che riconosce al Magistero sociale della Chiesa l’autorevolezza per discutere di problemi sociali. La Chiesa quando parla e agisce di finanza, combina  e ha combinato sempre giganteschi casini, non capendo nulla della finanza odierna dominata dalla dottrina liberista che si oppone all’ideologia liberale.

Il momento più “basso” di tali interventi è rappresentato da quella discutibile presentazione al libercolo di Pera “Perché dobbiamo dirci cristiani”, sottoscritto da Benedetto XVI, quindi nella qualità, dove il liberismo veniva assimilato al cristianesimo , come se Cristo non avesse mai cacciato i mercanti dal Tempio, anzi si sarebbe associato ad essi per lucrare l’8 per mille.

Ma quando si tratta di aspetti sociali, la Chiesa è la più esperta e, quindi, in pieno diritto di intervenire.

Spero che nessuno mi interpreti più come “curiale”.

Voglio, adesso, andare a vedere se ci sono altri punti di contatto tra la Costituzione italiana e il Magistero sociale della Chiesa; è chiaro che mi rivolgerò ai punti più salienti della Costituzione, quelli che ne hanno fatto una delle migliori Costituzioni del mondo democratico.

Per cominciare mi lancio da solo, avendo svolto l’argomento che segue, anche se limitatamente al Magistero della Chiesa.

Non si può non iniziare con l’arti 1 della Costituzione che tutti conosciamo che recita:

L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.”

In merito al lavoro alcuni anni addietro svolsi una ricerca, partendo dalla Laborem Exercens, pubblicata dal papa Giovanni Paolo II il 14 settembre 1981 e che tratta del lavoro umano nel 90º anniversario della Rerum Novarum. Ma cercai anche in altre encicliche, in omelie, articoli sull’Osservatore romano.

Ciò che segue è testualmente ripreso dai testi ufficiali che trattano dello Sviluppo del Magistero sociale della Chiesa.

“In una Democrazia compiuta  la politica  trova  nella società civile e democratica  la fonte della sua convinzione che il lavoro costituisce una fondamentale dimensione dell'esistenza umana.

Nel nostro tempo diventa sempre più rilevante il ruolo del lavoro umano, come fattore produttivo delle ricchezze immateriali e materiali; diventa, inoltre, evidente come il lavoro di un uomo si intrecci naturalmente con quello di altri uomini. Oggi più che mai lavorare è un lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri: è un fare qualcosa per qualcuno. Il lavoro è tanto più fecondo e produttivo, quanto più l'uomo è capace di conoscere le potenzialità produttive della terra e di leggere in profondità i bisogni dell'altro uomo, per il quale il lavoro è fatto.
Nel progetto  della Democrazia politica  ogni uomo è chiamato al suo sviluppo, e, coerentemente lo sviluppo umano di ciascun uomo costituisce e deve costituire il progresso, che resta così vincolato allo sviluppo.

Dotato d'intelligenza e di libertà, l’uomo è responsabile della sua crescita, così come del suo sviluppo. Aiutato, e talvolta impedito, da coloro che lo educano e lo circondano, ciascuno rimane, quali che siano le influenze che si esercitano su di lui, l'artefice della sua riuscita o del suo fallimento: col solo sforzo della sua intelligenza e della sua volontà, ogni uomo può crescere in umanità, valere di più, essere di più, affermarsi sul suo essere, senza lasciarsi condizionare dalle parvenze dell’apparire.
L'attività umana individuale e collettiva, ossia quell'ingente sforzo col quale gli uomini nel corso dei secoli cercano di migliorare le proprie condizioni di vita, corrisponde al disegno dell’uomo, alla sua storia, al suo destino.

L'uomo deve soggiogare i mezzi di produzione e non restarne soggiogato, deve dominare il progresso, perché non arrivi a contrastare lo sviluppo.

Come persona, l'uomo è quindi soggetto del lavoro.

Come persona egli lavora, compie varie azioni appartenenti al processo del lavoro; esse, indipendentemente dal loro contenuto oggettivo, devono servire tutte alla realizzazione della sua umanità, al compimento della vocazione ad essere persona, che gli è propria a motivo della stessa umanità.
L'uomo deve lavorare per riguardo agli altri uomini, specialmente per riguardo alla propria famiglia, ma anche alla società, alla quale appartiene, alla nazione, della quale è figlio, all'intera società umana, di cui è membro, essendo erede del lavoro di generazioni e insieme co-artefice del futuro di coloro che verranno dopo di lui nel succedersi della storia. Tutto ciò costituisce l'obbligo morale del lavoro, inteso nella sua ampia accezione. Quando occorrerà considerare i diritti morali di ogni uomo per riguardo al lavoro, corrispondenti a questo obbligo, si dovrà avere sempre davanti agli occhi l'intero vasto raggio di riferimenti, nei quali si manifesta il lavoro di ogni soggetto lavorante.

I Padri costituenti furono molto concisi indicando nel lavoro il momento edificante di una Repubblica democratica; la Chiesa ha preferito scendere più in particolare, dove l’uomo recita la sua parte centrale  ed elettiva nel lavoro “per sé e per gli altri”.

Lascio, a quanti avranno la bontà di leggere, la valutazione sulla sovrapponibilità delle due descrizioni, come se una volontà univoca avesse deciso di assimilare il destino dell’uomo sul rigore della legge laica, sostenuta dal commento spirituale.

Altro articolo della Costituzione, che ho preso in esame e inerente sempre il lavoro, è l’art. 36, che così recita:

Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.

Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.

Ed  ecco ciò che ho ripreso dalla lezione magistrale della Chiesa:

“Il principale tra i doveri dei datori di lavoro è dare a ciascuno il giusto compenso. Il determinarlo secondo giustizia dipende da molte considerazioni: ma in generale i capitalisti e i padroni ricordino che le umane leggi non permettono di opprimere per utile proprio i bisognosi e gli infelici, e di trafficare sulla miseria del prossimo. Defraudare poi la dovuta mercede deve essere considerato una colpa grave, che spetterà agli Organismi competenti di contrastare e, ove necessario, anche punire.  Da ultimo è dovere dei ricchi non danneggiare i piccoli risparmi dell'operaio né con violenza né con frodi né con usure manifeste o nascoste; questo dovere è tanto più rigoroso, quanto più debole e mal difeso è l'operaio e più sacrosanta la sua piccola sostanza.”

Rosario Amico Roxas

2014-02-28

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