Pianeta migranti Cremona Libia, morire di pandemia, di guerra o in mare?
In Libia, la guerra si è intensificata e la fuga via mare dal paese è in crescita. Le parti in conflitto sfruttano la pandemia per sferrare attacchi, terrorizzare i civili chiusi in casa e attaccare gli ospedali già al collasso. E’ divenuto impossibile trovare un posto sicuro sia per i libici che per i tanti migranti chiusi nei centri di detenzione.
Chi vive a Tripoli e in altre zone della Libia ha davanti a sé due tremende possibilità: stare chiuso in casa per evitare il contagio da coronavirus e subire i bombardamenti, o scappare rischiando di contrarre il virus. La guerra cominciata 6 anni fa, nonostante la tregua stabilita all’arrivo del coronavirus anzi, è divampata con più ferocia. Si bombardano zone altamente abitate da cittadini chiusi in casa per la pandemia e il coprifuoco; si bombardano ospedali, senza risparmiare quelli che sono addetti a curare il coronavirus. La pioggia di missili che si abbatte su Tripoli spinge a fuggire, ma nessuno sa dove trovare un posto sicuro per il rischio di finire ammassati nei campi per sfollati dove il contagio non ha misure di contenimento. L’UNHCR sostiene che la guerra e la pandemia spingono molte persone sulla via del mare, rischiando la vita. Nei primi quattro mesi di quest’anno, la Guardia Costiera Libica ha recuperato 3.078 rifugiati e migranti in mare, contro i 1.126 dello stesso periodo dell’anno scorso.
Più di 46.000 rifugiati e richiedenti asilo sono attualmente registrati in Libia: molti si trovano ad affrontare insicurezza, terribili condizioni economiche, sfruttamento e abusi da parte di bande criminali e gruppi armati.
Significativa al riguardo la storia di Siddik, sudanese di 18 anni, raccontata dal giornalista Tarik Argaz sul sito https://www.unhcr.it/news/storie/il-conflitto-e-la-pandemia-in-libia-spingono-sempre-piu-persone-a-rischiare-la-vita-in-mare.html
“Siddik era molto piccolo quando i combattimenti nella regione del Darfur in Sudan hanno costretto la sua famiglia a fuggire; aveva solo sette anni quando ha perso la madre a causa del conflitto. Da bambino studiava sperando di frequentare l’università e di poter provvedere ai suoi tre fratelli e al padre cieco. Ma quando dei gruppi armati sono venuti nella sua scuola per reclutare a forza gli studenti per farli combattere, è scappato lasciando definitivamente la scuola.
Alla disperata ricerca di un modo per mettere cibo sulla tavola della famiglia, Siddik ha lasciato il Darfur all’età di 16 anni. Aveva pochi soldi in tasca e un unico obiettivo: trovare presto un lavoro. Il suo viaggio l’ha portato in Libia, dove però è stato arrestato. Nel luglio 2019, Siddik si trovava nel centro di detenzione di Tajoura quando l’hangar dove viveva con oltre 150 altri uomini è stato colpito da una serie di attacchi aerei. Molti dei suoi amici sono stati uccisi o feriti. In totale, più di 50 morti.
Una notte di alcune settimane fa, Siddik si è trovato a tremare nell’oscurità, mentre il fragile gommone su cui era salito con più di 70 persone veniva gettato in mare. Per giorni interi si sono aggrappati alla vita, disidratati, affamati e spaventati.
Dopo cinque giorni in mare, una nave è venuta in loro aiuto, ma la loro euforia si è trasformata in disperazione perché era una nave della Guardia Costiera libica che li avrebbe riportati a Tripoli insieme ad altri 150 migranti già a bordo.
Giunto di notte al porto di Tripoli, Siddik si è trovato in mezzo a dei terribili bombardamenti. Ha cercato inutilmente di fuggire ma è stato catturato e portato in un centro di detenzione da quale in seguito è riuscito a fuggire.
Ora, Siddik vive con molti altri migranti in un’unica stanza nella città vecchia di Tripoli ma è pessimista sul suo futuro.
Video al link https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2020/04/30/libia-guerra-pandemia