L’11 marzo scorso, il quotidiano inglese The Guardian riportava il caso del processo alla attivista danese Lisbeth Zorning colpevole di aver accompagnato in auto una famiglia di siriani. Le è stata inflitta una multa di 22.500 corone danesi (circa tremila euro). Secondo l’articolo, la Zornig è una delle 279 persone accusate di aver violato le leggi sul traffico di esseri umani nella sola Danimarca, nel periodo compreso fra il settembre del 2015 e il febbraio di quest’anno.
A gennaio la polizia greca arrestava un gruppo di volontari spagnoli che soccorrevano i profughi sull’isola di Lesbo; gli arrestati rischiando fino a dieci anni di carcere.
In Francia, un militare inglese in pensione è stato processato per aver tentato il ricongiungimento fra una bambina afghana di quattro anni che si trovava nel campo profughi di Calais e la sua famiglia in Inghilterra. Un caso simile è accaduto anche in Norvegia.
È forse questa la prossima “soluzione” alla crisi dei rifugiati studiata dai governi dell’Unione Europea? Minacciare i volontari per indebolire il sostegno a soluzioni più umane?
Episodi del genere, amplificati dai media, favorevoli o contrari che siano a questo tipo di azioni, per la loro natura “spettacolare” si prestano a diffondere rapidamente il messaggio in maniera forte e chiara.
Ovviamente ci auguriamo che fatti del genere rimangano sporadici ed isolati. Purtroppo però, dall’attuale gestione della crisi migratoria in Europa abbiamo imparato che le cattive abitudini si diffondono in fretta, come nel caso dei muri di filo spinato innalzati l’estate scorsa dall’Ungheria lungo il confine sloveno, accolti in un primo momento da forti opposizioni e oggi presi a modello da molti paesi.
La criminalizzazione dei volontari mira innanzitutto a scoraggiare il coinvolgimento della società civile europea, e da ultimo a indebolire e dividere l’ultimo bastione contro una linea dura dell’Ue nei confronti dei rifugiati. È questa linea dura che sta portando anche alla chiusura sistematica di qualsiasi via d’uscita legale dalla Siria, intrappolandone la popolazione all’interno del paese. Come contrastare tali pratiche di intimidazione e dissuasione? Il caso francese può essere istruttivo.
Secondo Jennifer Allsopp -studiosa della politica di protezione in Francia e autrice del rapporto “Contesting fraternité”[1] dell’Università di Oxford- il rifugiato è toccato da una parte da politiche comunitarie di restrizionismo e dall’altra dalla solidarietà cittadini che lo vogliono affrancare socialmente e politicamente in nome del principio di fraternità e che per questo vengono penalizzati dalla politica.
Il rapporto sostiene che l’unico modo per contrastare la tendenza a criminalizzare quanti sostengono gli immigrati e i rifugiati dovrebbe passare da una mobilitazione costante e duratura della società civile del paese, che l’ha portata ad avere “una rete di protezione legale contro questi procedimenti fra le più estese e avanzate” oggi esistenti.
[1] Rapporto edito dal “Refuges Studies Center”, Università di Oxford
http://www.refworld.org/docid/55c9fac94.html