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Un ergastolano scrive ad Agnese Moro

| Scritto da Redazione
Un ergastolano scrive ad Agnese Moro

Cara Agnese, ho letto il tuo articolo su “Famiglia Cristiana” dal titolo “Giustizia, perché sono contro l’ergastolo” e il mio cuore ti dice grazie delle tue umane parole e di avere avuto il coraggio di aderire nel sito www.carmelomusumeci.com a “Firma contro l’ergastolo”, proposta di iniziativa popolare per l’abolizione della pena dell’ergastolo.

Agnese, ti confido che a volte mi sento come se non esistessi. Da un po’ di tempo le giornate mi sembrano più corte e le notti più lunghe. E il fatto che dopo tanti anni di carcere mi sento ancora vivo spesso mi sembra una specie di maledizione. Ci sono delle notti che mi domando perché continuare a stare in questo strano mondo, perché ci sono dei momenti che mi sento l’unico abitante di questo pianeta. E mi viene difficile superare la solitudine con la sola forza di volontà perché quando mi sento in questo modo mi sembra che la cella si restringa a vista d’occhio.

Probabilmente è giusto che la società ci punisca e ci chiuda in una cella, ma se non vuole diventare una società crudele e cattiva forse è meglio che un giorno si ricordi di aprire le nostre celle.

Agnese, quando s’invecchia in carcere non si cerca più nulla, non perché non lo si desideri, ma perché non hai più nulla da cercare. Ormai la mia unica preoccupazione è di trovare il modo per fare sera,  e poi arrivare al mattino.

All’inizio della carcerazione speravo un giorno di poter uscire, ma poi gli anni sono passati, un giorno dopo l’altro. E ormai per me svegliarmi al mattino è sempre più faticoso. E mi viene tanta voglia di arrendermi,  perché alla mia età non posso aspettare più nulla di buono. Posso solo sperare di morire presto per finire la mia pena.

Agnese, per San Valentino alla mia compagna che mi aspetta da ventitré anni e che di me avrà solo il mio cadavere,  ho scritto: Amore Bello, ti penso sempre . Non mi è rimasto più nulla a parte il tuo amore. E anche se non posso stare con te mi dai tanta forza a sapere che ci sei. E continuo a  esserci perché tu mi fai esistere. Buon San Valentino. Tuo Carmelo. E ti confido che oggi ho pensato di dire alla mia compagna di arrendersi. E di riprendere a vivere senza di me, ma dopo tutti questi anni che mi aspetta, inutilmente, non ho avuto il coraggio di farlo,  anche perché ho paura che si arrabbi e che mi dia un pacco di botte al colloquio.

Agnese, il mio cuore ti dice grazie delle tue belle parole: Noi non buttiamo via nessuno, e rivogliamo tutti indietro. In questo progetto di vita l’ergastolo è decisamente un corpo estraneo, una contraddizione insanabile con la nostra Costituzione.

Ti voglio bene. E ti mando un abbraccio fra le sbarre. Carmelo.

 

Carmelo Musumeci

Carcere di Padova

www.carmelomusumeci.com

 

Questo è l'articolo a cui Carmelo Musumeci fa riferimento nella lettera:

http://www.famigliacristiana.it/articolo/agnese-moro-perche-sono-contro-lergastolo.aspx

AGNESE MORO: «PERCHÉ SONO CONTRO L’ERGASTOLO»

«È facile dire a chi ha perso qualcuno perché un altro essere umano gli ha tolto la vita: “Ti faremo giustizia; manderemo il responsabile in prigione per molti anni o per sempre, e tu sarai ripagato”. È una menzogna». La figlia dello statista, in questo suo testo scritto per Famiglia Cristiana, spiega che cosa può davvero “ripagare” chi ha subito la più tremenda delle violenze.

La democrazia repubblicana, così come la disegna la nostra bella Costituzione, non è solo un sistema politico. È anche – e forse soprattutto – un progetto di vita individuale e sociale. Esprime una speranza di giustizia e di pace, che viene dalle generazioni che ci hanno preceduto, che ci accompagna dando sapore alle nostre esistenze, che vorremmo poter trasmettere ai nostri figli e nipoti.

Alla base del progetto della nostra democrazia repubblicana c’è la persona; ci sono le persone reali, la loro dignità, le loro difficoltà, la loro unicità e la loro grandezza. Per l’ideologia fascista che ha preceduto la Repubblica lo Stato era tutto, le persone niente. Per la Repubblica (ovvero per tutti noi), invece, ogni persona è preziosa, e siamo impegnati, tutti insieme, a difenderne i diritti e la dignità.

Ed è per questo che quando uno di noi sbaglia, anche gravemente, noi lavoriamo per impedirgli di seguitare a sbagliare e gli infliggiamo una pena che non è una vendetta, ma che gli deve servire a cambiare e a ritornare tra noi. Dall’articolo 27 della Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Noi non buttiamo via nessuno, e rivogliamo tutti indietro. In questo nostro progetto di vita l’ergastolo è decisamente un corpo estraneo; una contraddizione insanabile con la nostra Costituzione. Perché fa della pena una punizione e basta; perché sancisce un allontanamento definitivo e senza appello dal resto della società; perché – come diceva mio padre Aldo Moro nei suoi scritti giuridici – è decisamente contraria al senso di umanità perché nega anche la speranza di poter tornare a vivere la dimensione della libertà che caratterizza così profondamente il nostro essere uomini.

Bisognerebbe avere anche l’onestà e il coraggio di affrontare il tema della giustizia. È facile dire a chi ha perso qualcuno perché un altro essere umano gli ha tolto la vita: “Ti faremo giustizia; manderemo il responsabile in prigione per molti anni o per sempre, e tu sarai ripagato”. È una menzogna. Le perdite subite non si risanano, e nessuna punizione può ripagare di un affetto che non c’è più.

Può invece aiutare – tanto – vedere che chi ha fatto del male ha capito quello che ha combinato, ne è realmente dispiaciuto, vorrebbe con tutte le sue forze non averlo fatto; che riprende a vivere in maniera diversa, cerca di essere utile alla società, porta il rimorso suo e anche il dolore delle proprie vittime.
È quanto di più vicino alla giustizia si possa chiedere. Ed è la saggia via proposta dalla nostra Costituzione.

2014-03-07

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