Sabato, 20 aprile 2024 - ore 03.08

Una politica globale per la finanza globale | U.Intini

| Scritto da Redazione
Una politica globale per la finanza globale | U.Intini

La battaglia contro la speculazione finanziaria  è nell'interesse generale, non solo della sinistra
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La grande stampa spiega che Bersani rappresenta la continuità con la tradizione di una sinistra storicamente conservatrice mentre Renzi introduce finalmente la moderna linea liberale. Manifesta il timore che l’alleanza con Vendola acuisca l’ipoteca vetero massimalista. Angelo Panebianco, sul Corriere della Sera, aggiunge che la parentesi innovatrice e, appunto, liberale, del PSI craxiano è stata definita di destra da un PCI a quel tempo in grado di appiccicare questa etichetta “a chi non mostrasse sudditanza culturale e psicologica nei suoi confronti”.
È vero soltanto l’ultimo punto. In effetti, a partire dalla seconda metà degli anni ’70, il PSI scandalizzò i comunisti lanciando la politica del socialismo liberale con la formula liberalsocialista “Lib-Lab” (liberal-labour). Così in anticipo sui tempi che tutti gli altri socialisti europei arrivarono dopo e in parte vi si ispirarono.
Il PSI di oggi, ancorché piccolo, è l’erede di quella politica, è alleato del PD esattamente come Vendola e può certificare dunque alcune verità: a volte ovvie, a volte apparentemente (solo apparentemente) provocatorie.
Almeno nella versione data dai media, il “renzismo” non è liberalsocialismo e neppure liberalismo vero. E’ un patch work di retorica nuovista e di luoghi comuni dell’estremismo liberista oggi di moda. Il programma di Bersani non è affatto ispirato alla vetero sinistra, ma la copia esatta di tutti i programmi (assolutamente liberalsocialisti) dei PS europei (da quello francese, che ha appena vinto le elezioni, a quello inglese, che probabilmente le vincerà, o tedesco, che potrebbe l’anno prossimo realizzare un governo di unità nazionale con la Merkel).
Il famoso Noam Chomsky, con una battuta non priva di un fondo di verità, ha osservato che in America oggi Nixon sarebbe di sinistra. Craxi, in Italia (e sul serio) sarebbe di estrema sinistra. Certamente anche l’ex segretario del Partito liberale, quello vero, Valerio Zanone (non a caso sino a ieri senatore del PD) sarebbe più a sinistra dei sedicenti liberali di oggi.
Purtroppo si è passati in Italia da un estremo all’altro. Alla egemonia comunista degli anni ’70 è seguita infatti una egemonia iper liberista, ideologica e quasi fanatica che ignora le lezioni più dure dei fatti: prima tra tutte la catastrofe economica (dal costo di una guerra mondiale perduta, si è calcolato) provocata esattamente dalla finanza senza freni e senza regole.

Il liberismo ideologico, accecato, si accanisce sulle pagliuzze

Ciò spiega perché chi è rimasto fermo dov’era (come i socialisti liberali di formazione craxiana) fosse considerato trent’anni fa di destra e oggi sia di sinistra.
Il liberismo ideologico, accecato, si accanisce sulle pagliuzze, ma non vede la trave e cioè che oggi i protagonisti della finanza internazionale sono immensamente peggio dei “padroni delle ferriere” ai primi del ‘900. Quelli, i padroni, credevano nell’etica del lavoro. Questi, i finanzieri, nella filosofia del gatto e della volpe, i quali spiegano a Pinocchio che le monete d’oro crescono dalla pianta delle monete stesse. Quelli producevano beni o servizi, questi creano una finta ricchezza di carta. Quelli rischiavano denaro proprio, questi, se vincono le loro scommesse in Borsa arricchiscono, se perdono e finiscono sull’orlo della bancarotta, si fanno salvare con i soldi dello Stato perché, come lamenta Obama, sono “too big to fail” (troppo grossi per fallire). In fondo sono per metà come i vecchi comunisti, dei “nazionalizzatori”. Anche loro: privatizzano gli utili e “nazionalizzano” le perdite. Quelli, i padroni, puntavano sulla crescita del loro Paese e della Borsa, questi non hanno patria, puntano spesso al crollo della Borsa e al disastro economico, perché per ottenere profitti giocano indifferentemente al rialzo o al ribasso. Quelli giocavano soldi che avevano, questi giocano soldi che non hanno perché, grazie al meccanismo del “leverage” (leva) puntano dieci se posseggono uno. Un rischio e un imbroglio che neppure al casinò di Macao sarebbe consentito. Quelli pagavano le tasse, questi spesso no, perché le loro società stanno in Stati peggiori degli Stati canaglia: Stati inesistenti (dalle Caiman all’Isola di Man) , inventati non da dittatori criminali, ma dagli studi legali di Londra e New York (immensamente dannosi per l’economia mondiale). Quelli (i padroni) puntavano a condizionare la politica. Questi vogliono privatizzare, oltre che l’economia, anche la politica, sostituendosi ai dirigenti politici stessi, relegandoli nella marginalità se non, come in Italia, nella delegittimazione e nel ridicolo.
Ha dunque ragione Vendola? La battaglia contro un certo tipo di finanza non è solo della sinistra, dei lavoratori e dei sindacati, ma anche degli imprenditori veri, quelli che producono beni e servizi, anziché giocare d’azzardo in quel casinò senza frontiere in cui sono state trasformate le Borse. Solo vincendola si eviterà che l’economia di carta distrugga, come è già in parte successo, l’economia reale, fondata come è sempre avvenuta e sempre avverrà sul lavoro, l’intelligenza, il sacrificio, la creatività.
Il PSI tuttavia, dai tempi di Nenni e del primo centro sinistra, ha imparato che “la politica è l’arte del possibile”. La battaglia non si può vincere e neppure tentare in un solo Paese, che ne rimarrebbe stritolato. L’orizzonte minimo è quello di una Europa che diventi finalmente politicamente unita.

La sfida di una nuova generazione di leader

E forse non basterà, senza il concorso degli Stati Uniti. La finanza internazionale è senza frontiere, “globale”, e può essere obbligata ad accettare regole soltanto da una politica altrettanto “globale”. Anzi, il diventare globale è per la politica la premessa indispensabile se vuole tornare a governare davvero. Questa è la sfida di una nuova generazione di leader. Nel frattempo, perché l’Italia, appunto, non resti stritolata, si deve seguire proprio l’agenda Monti. Ciò che farà qualunque governo, inevitabilmente. E che farà meglio con una base di consenso larga, tale da comprendere non solo la sinistra, ma anche il centro.
Certo, l’agenda Monti andrà seguita con una ben maggiore elasticità mentale e con la conoscenza della psicologia nazionale, conservando il contatto con il popolo. Ciò che non si può chiedere a un professore della Bocconi e tanto meno a molti dei suoi ministri: professori ( o più modestamente funzionari) come lui, ma non del suo spessore. L’agenda va perseguita in definitiva non dai tecnici, bensì dai politici democratici, consapevoli che si tratta di una via obbligata, ma capaci anche di indicare prospettive e speranze.
Qualcuno pensa che solo i tecnici e i numeri contino? Angela Merkel ha appena dichiarato che, come diceva il cancelliere Erhard, grande economista e successore di Adenauer, in economia la psicologia conta per il 50 per cento. Se si considera che la psicologia è soprattutto condizionata dalla politica e che le scelte politiche decidono un’altra parte del rimanente 50 per cento, si comincia a capire quanto sia dissennato immaginare che il timone di una Nazione possa essere affidato a tempo indeterminato a professori e funzionari

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