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25 aprile,il discorso di Torchio a Soresina

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25 aprile,il discorso di Torchio a Soresina

25 aprile,il discorso di Torchio a Soresina
Questo XXV aprile, “rara avis” avrebbe detto l'indimenticabile maestro e collega prof. Vittorino Gazza, coincide con il Lunedì dell'Angelo, occasione particolarmente festosa a Soresina che rinnova la tradizionale rassegna mercantile del tempo della Pasqua.
Consentitemi un ringraziamento particolare al Sindaco, Giorgio Armelloni, e all'Amministrazione Comunale per il cortese invito ed al Vostro Arciprete per quanto ci ha detto nella celebrazione liturgica che vorrei amabilmente collegare ad un ricordo personale perchè, giusto un anno fa, Don Angelo celebrava, con accenti che rimangono scolpiti nella mente e nel cuore, il rito esequiale della mia cara mamma.
E, nel 150.mo dell'Unità d'Italia, nel 66.mo della Liberazione Nazionale voglio partire proprio da qui per riferirmi alle guerre, ai contributi di sangue delle nostre terre, della nostra, così prossima ai martiri di Belfiore, a Curtatone, Montanara, San Martino della Battaglia, Solferino a quelle tante battaglie che si combattevano a cavallo di stalle, campi e fienili e nelle quali accanto ai fucili roteavano talvolta se non proprio i forconi forse i tridenti ed altri attrezzi contundenti di origine agricola, una sorta di battaglia cruenta all'arma bianca e di aiuti e soccorsi in cascina. Guerre sovente dipinte dalla retorica come un'epopea, ma sempre lavate con il sangue della povera gente.
Gente umile e poco acculturata che ha scritto l'amor patrio color rosso sangue. Cosa è stata allora l' "unità nazionale": un passaggio importante e decisivo per superare il concetto di “mera espressione geografica” legata all’Italia nel Trattato di Pace di Vienna, ma anche un dovere e per tanti un obbligo, quasi una camicia di forza che, dopo lo stato Piemontese, il Regno di Sardegna, faceva conoscere la nuova entità nazionale ai malghesi e pastori delle nostre valli fino ai “cafoni” del nostro Meridione con la cartolina precetto e con la cartella delle tasse, come scrisse acutamente il priore di Barbiana, don Lorenzo Milani, nel 1965: “La luce elettrica a Barbiana è stata portata quindici giorni fa, ma le cartoline di precetto hanno cominciato a portarle a domicilio fin dal 1861”.

Questo percorso di condivisione e insieme di fatiche, di sacrifici sovrumani, di percorsi e passaggi stretti attraverso la dittatura, ci porta agli anni delle Guerre Mondiali e della Resistenza. Le vorrei legare ai miei ricordi di ragazzo sui cimiteri dove mamma, ultima di otto fratelli, col papà emigrato a Santa Fé in Argentina, mi portava per onorare la memoria degli zii Ilario e Giorgio, morti nel secondo conflitto mondiale o a quelle immagini infiammate del deserto libico a Tobruk o a  El Alamein, tornate alla tremenda ribalta delle cronache odierne, dove lo zio paterno Luigino, con migliaia di italiani, fu fatto prigioniero per poi finire a lavorare con i Boeri in Sud Africa e ritornare dopo sette lunghi anni: idealmente li unisco ai caduti di Cefalonia, dei Balcani, della Russia. E così Rodolfo, mio messo comunale, orfano di guerra; o ancora i ricordi lontani di nonno Giuseppe, malmenato dalla milizia perchè accusato di nascondere il figlio diciassettenne Renzo dopo la fuga da Monzambano e dalla Repubblica Sociale Italiana.
Quante storie e quante vicende legate a quegli anni nelle nostre case e nelle nostre vite! I ricordi di Saulle Peschiera, bergamino e partigiano della Garibaldi del mantovano, che mi raccontava l'impegno di Don Primo Mazzolari in quel di Bozzolo, con i giovani martiri partigiani Arini e Pompeo Accorsi. Quel prete, non dimentichiamolo, insignito della massima onorificenza Israeliana di "giusto tra le nazioni" per avere salvato tanti ebrei dai campi di concentramento. L’organizzazione clandestina aveva una struttura militare, appoggiata o comunque tacitamente permessa dal parroco di Bozzolo. Come motivare un atteggiamento di palese esposizione? E che dire dell’utilizzo delle armi? Decisioni sofferte, che non possono limitarsi a quella “resistenza spirituale” che emerge dal carteggio tra don Primo e monsignor Guido Astori. La Resistenza è stata solidarietà nella lotta per la Liberazione, e insieme occasione per costruire quella rivoluzione cristiana che Mounier in Francia aveva prospettato contro il disordine costituito.
La lotta resistenziale coinvolge un movimento di massa intorno a valori cristianamente condivisi: libertà, giustizia, democrazia, redenzione dell’uomo da sopraffazioni razziste. Mazzolari e tanti altri se ne fanno interpreti: la disobbedienza per ordine morale è il modo autentico per costruire il bene comune. Qualche anno dopo, lo avrebbe scritto don Milani, nella sua “Lettera ai Cappellani militari”, sottolineando che non poteva dire ai suoi ragazzi che l’unico modo di amare la legge fosse quello di obbedire. Formare il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani è custodire la coscienza come sacrario di umanità in relazione con gli altri uomini.

Altri ricordi, altre umane vicende mi vengono dalle memorie del suocero Guglielmo Agosti che non nascondeva vicende spinose - come l'uccisione del giovane cattolico Boccoli in quel di Pessina - senza per questo mai generalizzare o peggio gettare nell'oblio il significato autentico e complessivo della Resistenza come momento unificante di un Paese che, comunque, dopo l'8 settembre 1943, aveva già deciso di lasciarsi il fascismo alle spalle.
Potrei ricordare con Agosti la cascina Ca' de' Caggi di Torre Picenardi dove il giovane Angelo Duchi partecipava attivamente alle operazioni clandestine come ha scritto Marco Allegri nelle pagine del libro "il contributo dei cattolici cremonesi alla Lotta di Liberazione".
Ma quante pagine anche qui, a Soresina, da Guido Miglioli cosi fortemente impegnato nel riscatto contadino ad Amos Zanibelli, sindacalista e deputato, ed ai suoi rapporti con don Primo; e ancora al prof. Borelli, indimenticabile Sindaco e mio compagno di banco in Amministrazione Provinciale, ai martiri soresinesi ricordati da don Angelo: da quelle esperienze e da quelle battaglie ha potuto nascere e crescere la nostra storia di paese libero. Grazie a quelle battaglie, alla Conferenza di Pace di Parigi, Alcide De Gasperi poté affermare “Tutto, salvo la vostra personale cortesia, è contro di me”, sapendo di poter contare su un comportamento di resistenza da parte di centinaia di migliaia di italiani.

Come la Resistenza ci unì, è oggi l’ora di una memoria condivisa, senza alcuna monopolizzazione. Le polemiche di oggi sulla Carta costituzionale non ci appartengono così come non riguardano la stragrande maggioramza degli italiani. Tuttavia, come leggere in concreto l'Art. 1 "La Repubblica è fondata sul lavoro"? Come declinarlo oggi con il 40% di disoccupazione giovanile accertato e tenuto conto che rispetto alla mia generazione solo la metà dei giovani oggi si affaccia al mercato del lavoro? Come recuperare al Diritto Europeo del Lavoro la quasi totalità dei nuovi contratti che invece vi sfugge? Come non pensare al Welfare di domani se i giovani avranno un trattamento previdenziale così povero e se per gli anziani come ci dicono i Comuni dell'Anci, i sindacati e le stesse case di riposo, cominciano a farsi sentire tagli significativi sull'area della non autosufficienza?

La cittadinanza va coniugata al rispetto delle leggi dello Stato, che vengono prima delle stesse fedi religiose; così come il diritto al lavoro e il diritto del lavoro (lo Statuto dei lavoratori), o la parità uomo-donna e l’emancipazione femminile, vengono prima del fondamentalismo, sapendo che la democrazia è la “magna charta” a cui ispirarci anche nei rapporti con le minoranze etniche, che potranno affacciarsi alla cittadinanza solo dopo un adeguato percorso di educazione civica. E che oggi si abbia a che fare con qualcosa di complesso e di diverso dal nostro percorso democratico lo si può desumere dalla stessa vicenda dello sciopero nell’area logistica di Soresina, nel quale i lavoratori stranieri avevano accerchiato gli scioperanti.

Vorrei concludere il mio intervento con una delicata poesia dialettale di Mara Soldi Maretti, inviata da Casalbuttano all’Associazione Partigiani Cristiani di Cremona il 17 aprile 1983.

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