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Canale navigale e porto di Cremona.Triste storia del '900| G. Azzoni

| Scritto da Redazione
Canale navigale e porto di Cremona.Triste storia del '900| G. Azzoni

Se c’è un argomento che non ha mai smesso di impegnare, far discutere, illudere e deludere Cremona per tutto il ‘900 senz’altro questo è la navigazione sul Po, il porto, il canale per Milano. Può essere interessante ripercorrere, sia pure per sommi capi, i momenti salienti di queste vicende con i loro risultati positivi e le loro frustrazioni. Per questo argomento più che per altri è opportuna  una premessa. Per Cremona la navigazione del fiume ed il porto non sono artificiose estemporanee “trovate” bensì una naturale storica vocazione che ha dato per secoli un ruolo alla città davvero rilevante. Rimando alla lettura del libro di Fiorino Soldi ”La capitale del Po”- recentemente ristampato- per le descrizioni dei periodi storici in cui maggiori furono i traffici fluviali che facevano capo a Cremona ed al suo porto e per la illustrazione delle situazioni che ad un certo punto della nostra storia hanno interrotto l’utilizzo del Po come grande via di comunicazione. Un abbandono durato a lungo come a lungo sono durate le occupazioni straniere e le divisioni fra stati e staterelli che hanno spezzato il grande fiume in tanti segmenti impedendone un utilizzo unitario. Basterà ricordare che col congresso di Vienna del 1815 veniva sottoscritto tra i “restaurati” regimi europei un accordo per la libera navigazione sui fiumi. Un accordo rispettato e ben utilizzato dappertutto meno che in Italia e quindi nella valle padana, dove alcuni nobiliari casati restaurati - a partire dal Ducato di Modena - vanificavano con proibizioni, dazi, gabelle ed altre interruzioni ai loro confini, la convenzione sulla navigazione sul Po concordata fra Milano e Venezia.

L’unità d’Italia, spariti i vari staterelli, e le forti esigenze di trasporto indotte dalla rivoluzione industriale avrebbero dovuto, così come era avvenuto in tutta Europa, far riprendere l’utilizzo della via d’acqua fluviale come grande opportunità e risorsa. Così non è stato: nell’ultimo scorcio dell’ottocento le classi dirigenti si mostrarono ben lontane da questa problematica. Il tema si è riaffacciato con una certa forza nei primi anni del novecento: ebbe allora inizio quella altalena di entusiasmi, progetti, avvio di lavori e successivo loro abbandono che caratterizzerà il “secolo breve”. Vi giocano molti fattori: le caratteristiche naturali del fiume, le diverse valutazioni e soprattutto i diversi interessi economici (nessun potentato sponsorizzò l’acqua, a differenza del ferro e della gomma), una certa miopia rispetto alle grandi infrastrutture...
Soprattutto è sempre apparsa decisiva e clamorosa l’eterna mancanza di una visione e di una volontà complessiva che portassero ad una valutazione e ad una scelta coerenti.
Cremona è osservatorio privilegiato a questo proposito. Abbiamo toccato con mano che quando si discuteva sulla utilità di un impegno per trasportare merci sul fiume Po si diceva che non valeva la pena impegnare risorse a questo fine perchè non era sul Po l’area primaria di origine e destinazione delle merci. Quando poi si discuteva sulla utilità di impegnarsi per un canale di collegamento tra il Po e l’area milanese si diceva che non ne valeva la pena perchè tanto sul fiume non si navigava ... Quando da Cremona partivano i lavori del canale verso Milano a Milano prevalevano freddezza e disinteresse... E quando poi c’è stato un breve momento in cui  Milano dava qualche cenno di ripresa di interesse a Cremona si scatenava una incredibile campagna contro la prosecuzione di un opera che proprio la stessa Cremona aveva voluto ed iniziato. Quando un livello istituzionale (governativo, regionale, locale) mostrava qualche volontà positiva un altro si ritirava o si mostrava ostile... Se poi si metteva in campo qualche risorsa, in mancanza di un disegno certo e determinato  questa diventava un “malloppo”, oggetto di infinite trattative tra regioni e province per averne comunque una parte, con dispute paralizzanti e con motivazioni non sempre plausibili. Insomma si è dimostrata davvero determinante l’assenza di una chiara volontà di affrontare il problema valutandone in modo coerente i vari aspetti per trarne una scelta decisa in un senso o nell’altro. Scelta che poteva essere negativa o – come nel resto d’Europa ed altrove – positiva, sulla quale però definire e portare a termine azioni lucide e conseguenti. A Cremona alcune generazioni politiche si sono particolarmente cimentate su tutto ciò. La particolare sensibilità data dalla storia e dalla posizione della città ha dato modo qui più che altrove di vedere insieme i problemi della difesa idraulica, del fabbisogno e della qualità dell’acqua, dell’utilizzo del fiume a fini di trasporto ed energetico, quindi del collegamento con la metropoli. Da qui un impegno massiccio, la costruzione di organismi, proposte, progetti, qualche forzatura, qualche risultato e molte delusioni.
Esaurienti documentazioni sono a disposizione di chi volesse approfondire la materia. Cito solamente l’archivio dell’ARNI di Boretto, con il fondo carte di uno dei maggiori e più impegnati esperti di idrovie quale fu il compianto ing. Gabriele Della Luna, o la biblioteca della Comunità Padana presso la Camera di Commercio di Cremona, con le annate  della rivista specializzata “Navigazione interna”.

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Con una maggiore apertura a quanto si sta facendo nel resto d’Europa, con l’evoluzione economica e politica verso una modernizzazione del Paese, con l’affermarsi di forze politiche popolari più sensibili a quanto poteva significare lavoro e sviluppo, l’inizio del ‘900 porta con sé molte novità. Tra queste l’idea dell’uso del Po  per un moderno trasporto idroviario di merci. Già nel 1865 era stata approvata una legge sulla disciplina della navigazione interna, ad essa però nulla di concreto che avesse consistenza aveva fatto seguito. Un primo studio di livello nazionale sulla materia viene effettuato nel 1903. Nel 1906 viene istituito un Ufficio Genio Civile per il Po, con soli compiti di ispettorato e poco altro, comunque importante come primo episodio di interessamento e di considerazione unitaria della problematica del grande fiume. In Parlamento vengono presentate alcune proposte relative alla navigazione ed è del 1911 la trattazione ed approvazione in questa sede di un vero e proprio progetto per la navigazione padana. Progetto che Fiorino Soldi, nel suo “La capitale del Po”, riferisce essere partito da ambienti tecnici e politici cremonesi. In effetti a Cremona nel 1910 si era costituito il Comitato Cremonese per la Navigazione Interna, presieduto dall’Ing. Remo Lanfranchi. Si irrobustisce quindi la volontà di dare concreta attuazione a questi progetti.
L’Amministrazione comunale cittadina, presieduta dal Sindaco Attilio Botti, nel 1919 e ’20 appronta una banchina portuale in cemento sulla riva del fiume, appena a valle del ponte, e si crea contemporaneamente l’Azienda autonoma Porto di Cremona, per gestirne i traffici. Parallelamente a Milano, dove tra il 1902 ed il 1917 erano stati elaborati alcuni progetti per un collegamento tra l’area milanese ed il Po, anche utilizzando l’Adda, si istituisce l’Azienda portuale di Milano ed attorno al 1920 si acquisiscono le aree necessarie e si dà avvio ai lavori per il porto di Milano dal quale far partire un canale navigabile per il Po. La zona è quella della periferia sud della città ancora oggi denominata “Porto di mare”, come ci ricorda la stazione della metropolitana precedente quella di Rogoredo. Questa decisiva opera viene interrotta sul nascere con l’avvento del fascismo. Uno dei primi atti del nuovo potere è proprio, nel 1923, la sospensione di queste opere e lo scioglimento delle aziende portuali di Cremona e di Milano.
Dopo un lungo silenzio si torna a parlare del fiume nel 1932, in un congresso nazionale delle acque che si tiene a Cremona. Nel 1930 però erano state avviate alcune opere sul fiume in attuazione di un progetto – il progetto dell’Ing. Gordio – finalizzato ad una stabilizzazione dell’alveo di magra sia a scopo di difesa idraulica che per la navigabilità. La sponda cremonese è pienamente coinvolta nel progetto, di cui in quegli anni si vede solo l’avvio dato il profilarsi di eventi bellici che lo frenano. Il progetto sarà ripreso e concretizzato nel dopoguerra per il tratto tra la foce dell’Adda e quella del Mincio.
Un importante segnale di ripresa di interesse sul collegamento idroviario tra Milano e l’Adriatico è la legge 1044 del 24 agosto 1941 che istituisce il Consorzio del Canale Milano  Cremona Po. La legge dà la concessione governativa necessaria per costruire il Canale, opera per realizzare la quale si erano offerti gli Enti locali cremonesi e milanesi. La guerra naturalmente interromperà queste volontà, esse verranno rinverdite ed aggiornate nel dopoguerra, quando il Consorzio si attiverà ed in esso saranno presenti i Ministeri interessati con i Comuni e le Province di Milano e di Cremona.

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Dopo la Liberazione torna in primo piano, con la ricostruzione, l’esigenza di dotare l’Italia di grandi opere infrastrutturali moderne che, superando strozzature e ritardi, supportino un nuovo sviluppo di tipo europeo. Sono opere, peraltro, mettendo mano alle quali si possono dare utilmente risposte alla drammatica massiccia disoccupazione del momento. In questo ambito si colloca anche l’ambizioso progetto della navigazione interna. Se ne parla in particolare a Cremona, nei programmi delle forze politiche, nelle rivendicazioni sindacali per il lavoro,  nelle proposte elaborate dalle forze economiche. Il 30 luglio del 1946, nel Consiglio comunale del capoluogo l’assessore Bernamonti, che era anche parlamentare alla Costituente, riferisce di volontà espresse in sede governativa volte a riprendere il tema del Canale navigabile da Milano al Po. Si manifesterebbe anche interesse in ambienti svizzeri che vedrebbero la possibilità di un collegamento del loro Paese al mare attraverso il lago Maggiore e il Po.

Il Consiglio comunale di Cremona nella seduta del 12 luglio del 1947 delibera un investimento di 22 milioni di lire per riattivare la banchina sul fiume, dotandola di una gru, di un magazzino e di binari per carrelli. Nel relativo dibattito consiliare emergono i problemi da risolvere per la navigabilità del fiume e si sottolinea l’importanza di queste opere ai fini dello sviluppo economico e di un positivo utilizzo di forza lavoro disoccupata. La banchina sarà attiva negli anni successivi per trasporti di sabbia ed inerti, legname ecc. Per la sua gestione si costituisce il Consorzio cremonese navigazione interna.
A seguito della paurosa piena del 1951 riprende l’attenzione nazionale al fiume, prima di tutto per le arginature da rialzare e rafforzare, ma si parla anche di collegare i lavori sul fiume alle necessità della navigazione e degli altri usi idrici. Attorno al 1954 si constata un certo risveglio di interesse a livello governativo, su sollecitazione di vari territori interessati, al ripristino di vecchi porti e linee di navigazione interna. Questo interesse ha però carattere assai vago e dispersivo e non si traduce in una volontà politica precisa, finalizzata ad un disegno unitario e concreto. Si cerca di andare incontro con qualche provvedimento e finanziamento a questa o quella spinta locale, si avviano opere senza che siano chiare le idee circa il loro inserimento in un sistema funzionale ed addirittura circa la loro ultimazione. Altra caratteristica è la discontinuità di queste operazioni. Con questi gravi limiti qualcosa si muove e Cremona naturalmente vi è pienamente coinvolta. Nel marzo 1957 con grande enfasi rimbalza, anche a livello nazionale, la notizia che la motonave petroliera “Cisterna 1”, di 720 tonnellate di stazza, è arrivata dall’Adriatico a Cremona via fiume. Essa accosta alla riva e rifornisce la vicina raffineria “Italia” della Società Camangi tramite tubo. E’ la prima di un consistente traffico fluviale, che avverrà effettivamente ma che cesserà qualche tempo dopo essendo stati messi in opera appositi oleodotti.
L’arrivo della “Cisterna 1” è comunque l’epilogo di spinte presenti nella nostra realtà, dal dopoguerra ed in particolare dal 1953 – 54, di cui la stampa locale dà ampia testimonianza, con interviste, congressi e convegni, programmi elettorali, iniziative ed impegno dei parlamentari e degli amministratori locali. Sono spinte che fanno della navigazione sul Po e del collegamento idroviario con Milano un argomento di prima grandezza, intensamente perseguito a Cremona. Purtroppo esso non risulta interessare con pari intensità e continuità gli ambienti politici ed economici a Roma ed anche a Milano. Comunque l’avvio nel 1957 di un continuativo trasporto petrolifero contribuisce a ridare concretezza e fiato alla prospettiva della navigazione. La navigabilità del Po ed il problema dell’abbassamento del suo alveo di magra in quel periodo tornano ad essere oggetto di grande attenzione, fino a parlare di necessità di sistemazione e di possibile bacinizzazione.
Si mette a fuoco l’obiettivo di un nuovo porto a Cremona: non più una banchina a riva ma un vero porto interno con l’acqua a livello costante, collegato al fiume con apposita conca di navigazione. Un porto che deve essere il punto di partenza del canale per Milano, cioè per quell’area milanese il cui volume di traffici rendeva plausibile lo sforzo per conseguire la navigazione sul Po e la relazione dal mare a Milano. Nel luglio 1960 se ne parla anche in Senato. Il Consorzio del Canale si attiva e lavora attorno al progetto del porto di Cremona (progetto pronto nel 1959) e del canale. Questa volta, a differenza del 1920, l’opera si avvierebbe da Cremona con l’intento di utilizzare man mano i tratti completati. E già nel 1959 si avviano alcuni lavori preliminari per il porto e quindi il canale.
Tornando alla tematica relativa al fiume, nel 1960 viene presentata ai competenti organismi ministeriali una prima versione di un piano per bacinizzare il Po: il piano SIMPO. L’organismo ministeriale competente a valutarlo ne richiede, con osservazioni, una rielaborazione.
Lo stesso piano rielaborato è quindi ripresentato nel 1963. Si tratta di un progetto ambizioso che, similmente a quanto è stato fatto  su molti grandi fiumi di altri Paesi, si ripromette molteplici finalità: l’arresto dell’abbassamento dell’alveo (già allora rilevato) e della risalita della salinità marina; la razionalizzazione delle difese; il pieno utilizzo delle risorse idriche a scopi agricoli, industriali e civili; una buona produzione idroelettrica e naturalmente fondali in permanenza atti alla navigazione con chiatte di portata consistente.

Il piano SIMPO del 1963 per bacinizzare il Po prevedeva quattro sbarramenti a valle di Cremona (a Casalmaggiore, Borgoforte, Ostiglia e Pontelagoscuro), con relative opere di carattere ambientale e per assicurare la navigabilità e lo scarico delle piene oltre allo sfruttamento a scopo energetico del salto d’acqua. Si prevedevano anche due grandi serbatoi a monte con funzione di immagazzinamento di acque nei periodi di piena, moderandone gli effetti, da restituire in quelli di magra (casse di compensazione Barbera e Scrivia). Il piano SIMPO sarà oggetto di accanite e defatiganti dispute, ma non se ne farà niente. Il tema della sistemazione del fiume Po si ripresenterà continuamente in seguito. A risvegliarlo di volta in volta sarà l’allarme per l’abbassamento sempre più grave del letto di magra e per le grandi “secche”comportanti carenze di acqua e sospensione della navigazione. Questo tema è stato ancora al centro di un recentissimo studio commissionato alla “Compagnia del Rodano”, studio che sostiene (aggiornandone le ragioni e le modalità) la fattibilità, l’opportunità e la necessità di una sistemazione del fiume nel senso prima accennato.
Comunque, con l’avvio a Cremona delle opere relative al porto e al canale, riprende negli anni sessanta in grande stile il discorso dei collegamenti idroviari padano-veneti, discorso rafforzato dai grossi problemi già allora indotti dallo squilibrio abnorme del trasporto merci su strada e dalle difficoltà delle ferrovie. In effetti negli anni successivi il trasporto idroviario sempre di più viene visto non in contrapposizione ma in un disegno integrato ed intermodale tra l’acqua (il fiume come penetrazione e prosecuzione del fondamentale cabotaggio marittimo), la ferrovia e la strada.
In questa logica si lavorerà per i porti di Cremona e di Mantova. Pare che questi discorsi acquistino all’epoca un rilievo ed una importanza tale che il 2 ottobre del 1960 è con la solenne presenza del Presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, che si dà il primo avvio dei lavori per il canale e il porto. Lavori che inizieranno compiutamente nel 1962 mentre nell’anno 1965 vanno in appalto i primi 3 chilometri di canale. Canale che arriverà abbastanza rapidamente in quel di Spinadesco per poi fermarsi. Bisognerà attendere la seconda metà degli anni ’70 perchè, anche sulla forte spinta del Consorzio, supportato dalla Provincia e dagli altri enti cremonesi, venga finanziato e poi appaltato un altro tratto di Canale: si giungerà quindi, per poi fermarsi dove ancora oggi il canale si attesta,  alla Tencara di Pizzighettone. 
A Cremona naturalmente la spinta è continua, al limite della forzatura, si vede in queste opere anche un volano importante di sviluppo per un’area per altri versi emarginata. Non si contano le iniziative sul tema, l’impegno di parlamentari, sindaci, presidenti, forze politiche ed economiche, con petizioni, raccolte di firme, delegazioni, convegni e manifestazioni anche con esponenti di livello nazionale. A maggior ragione se ne parla negli anni settanta, quando il porto è costruito e diventa operativo ed il canale interrotto in aperta campagna reclama di essere concluso e reso utile. 
Ma a livello nazionale e negli stessi ambienti milanesi (salvo eccezioni come quella espressa da una personalità come Piero Bassetti), il discorso non decolla. Si sollevano perplessità, si danno altre priorità, sorgono opposizioni di vario genere sullo sfondo di uno scarso interesse di territori ed ambienti economici e politici che dovrebbero essere direttamente interessati e coinvolti. Recano danno e caduta di credibilità anche la confusione e la dispersione creata da disparate proposte di canali e di opere portuali assai improbabili. Si parla di opere napoleoniche da ripristinare nel bolognese, di navigazione del Po con chiatte fino a Torino, di raggiungere i laghi Maggiore e Garda e così via. Intanto non si risolvono nemmeno le più banali strozzature che assurdamente condizionano tutta l’idrovia, come un “mitico” ponte basso sul Po o una singola conca più stretta delle altre.
Più concreto e rilevante quanto avviene in quegli anni attorno al porto e al primissimo tratto di canale a Cremona. L’area viene dotata di una prima infrastrutturazione col raccordo ferroviario  ed il collegamento stradale. Iniziano ad insediarsi attività produttive e commerciali, in particolare tra il 1972 e il 74 si attivano il tubificio e l’acciaieria Arvedi. Dal 1977, grazie ad una iniziativa ben coordinata del Comprensorio 27, del Consorzio intercomunale e del Comune di Cremona con il Consorzio del canale navigabile e la Regione, viene individuata, acquisita e dotata dei necessari collegamenti e servizi una vasta area industriale sulla quale man mano si insedieranno numerose ed importanti attività con un consistente numero di occupati e notevole movimentazione di merci (anche se non sempre però svolta utilizzando l’idrovia).

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Nel 1970 erano nate le Regioni:  esse, col decentramento di funzioni prima attribuite allo Stato centrale, diventano competenti nella materia della navigazione interna. Da ciò cambiamenti che hanno comportato aspetti positivi ma anche qualche difficoltà per un governo unitario del bacino del Po (nasce a questo scopo l’Autorità di bacino, per la quale però la navigazione è materia piuttosto secondaria).
Con il 1980 la gestione del porto di Cremona, che era stato costruito ed avviato dal Consorzio canale navigabile, passa alla Regione Lombardia. Essa istituisce a questo scopo l’Azienda Regionale per i porti di Cremona e di Mantova, del cui organo di amministrazione sono chiamati a far parte anche i Comuni capoluogo, le Province e la Camere di Commercio di Cremona e di Mantova. Il Consorzio del canale prosegue nelle sue attività di manutenzione del tratto di canale costruito fino a Pizzighettone, collaborazione con l’Azienda dei Porti, gestione del consistente patrimonio di aree nel milanese e nel cremonese; naturalmente esso porta avanti elaborati e proposte circa la necessaria conclusione del canale stesso. Il Consorzio verrà sciolto nel giugno 2000. Nel 2006 anche l’Azienda Regionale dei porti ò stata sciolta e le sue competenze sono andate in parte alle Amministrazioni provinciali di Cremona e di Mantova (per gestire i relativi porti) ed in parte alla Azienda interregionale per il fiume Po (AIPO).
Dagli anni ‘80 l’Azienda a Cremona ed a Mantova  ha lavorato per rendere utili le opere idroviarie fatte. Per fare qualche esempio possiamo citare la funzionalità delle conche di accesso al porto, una razionalizzazione – con affidamento ad operatori del settore – della attività di carico e scarico delle merci, l’ampliamento degli spazi coperti destinati a queste attività ed a temporaneo deposito. Si è introdotto il discorso di una consistente navigazione turistica, fortemente potenziata con nuove grandi imbarcazioni anche da crociera gestite da importanti compagnie. Si è dato avvio alla realizzazione di magazzini nell’area del porto raccordati con la ferrovia ed ad un potenziamento, con operatori privati, delle attrezzature per la movimentazione. Si è cercato di favorire i traffici per acqua di GPL, di rottami e prodotti metallurgici, di cereali, di carichi eccezionali oltre che di inerti. Si è tentato, sinora senza successo per ragioni relative alle carenza complessive dell’idrovia, di introdurre il trasporto con container. Si è registrato l’insediamento di fortissima rilevanza a Cremona della Katoen, si sono migliorate strutture essenziali per l’agibilità del porto come le conche, si sono costruiti negli anni ‘90 edifici funzionali a partire da quello per la Dogana. Queste iniziative e relativi investimenti hanno però solo parzialmente ripagato le attese. Frequenti momenti di scarsa navigabilità, risposte solo tardive e parziali a problemi posti per favorire la navigazione o rimuoverne annosi ostacoli hanno demotivato potenziali investimenti nei mezzi di trasporto fluviomarittimi e fluviali e il relativo crearsi di consistenti relazioni di traffico. Una certa ripresa di fiducia che si era affacciata negli anni ’90 con provvedimenti come quelli intrapresi dal Min. Burlando  è tornata ad afflosciarsi.
In effetti non hanno fatto progressi le due questioni essenziali: la navigabilità del fiume e l’utilizzo ed il completamento del canale.

A questo proposito attorno al 1990 si è affacciata l’ipotesi di un completamento del canale fino all’area milanese. Una ipotesi perfezionata dal Consorzio Canale con un progetto tecnicamente aggiornato, ambientalmente ben calibrato e fattibile. Vi si prevedevano due possibili alternative di percorso e di terminale. La prima che correva a destra  dell’Adda, dopo averla attraversata con ponte canale presso Pizzighettone, prevedendo il porto nel sud milanese nei pressi di Lacchiarella. La seconda con un proseguimento del canale a sinistra dell’Adda, in territorio cremonese e cremasco, attraversamento a raso ed attestazione est milanese tra Truccazzano e Melzo. Intense le discussioni ai vari livelli, forti le contestazioni dal cremasco e dallo stesso cremonese, disinteresse ai livelli governativi e, come già abbiamo ricordato, nulla di fatto. Nulla di fatto nonostante il decreto 729 Ministero dei Trasporti del 1992 ed una deliberazione europea del 1996 prevedessero la presenza nel nord Italia di una rete idroviaria che servisse l’area metropolitana. Su prosecuzione e terminale del canale si sono poi presentate altre ipotesi: a Pizzighettone, a Bertonico, sul canale Muzza... Sempre però senza nulla decidere.
Stessa situazione a proposito della regimazione e quindi anche di una definitiva affidabilità per la navigabilità del fiume.

Non si registra alcun seguito reale allo studio redatto dalla Compagnia del Rodano sulla fattibilità e rilevanza positiva della sistemazione del fiume per molteplici fondamentali finalità, studio ripreso in positivo anche dal rappresentante della Giunta regionale lombarda al 4° Congresso nazionale sul Po (Piacenza, novembre 2007). Sarà finalmente oggetto di una scelta che ne consideri la necessità e l’utilità e quindi ne valuti i benefici come strategici e superiori ai forti costi? Certi lavori, che paiono già programmati, per dare alcune risposte di difesa e di navigabilità col fiume a corrente libera, si giudicano come alternativi o compatibili col progetto generale di regimazione?
Si proseguirà su queste tematiche anche nel XXI secolo con lo stile della incertezza, discontinuità ed inconcludenza che le ha caratterizzate nel “secolo breve”?
Le notizie più recenti, col riavviarsi di un trasporto continuativo di cereali con apposite chiatte e con la definizione da parte della Provincia di una bozza progettuale di organica sistemazione del fiume pare mantengano ancora aperto il discorso...
(giuseppe azzoni – il Piccolo, 2009 )

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