Martedì, 19 marzo 2024 - ore 11.39

Cremona Pianeta Migranti. L’Africa cavia dei test atomici occidentali

I tanti esperimenti nucleari condotti a “casa loro” dagli Stati coloniali e le conseguenze radioattive ancora presenti sul suolo hanno spinto l’Africa a porsi in prima linea nel recente Trattato Onu per la proibizione delle armi nucleari.

| Scritto da Redazione
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Cremona Pianeta Migranti. L’Africa cavia dei test atomici occidentali è leader antinucleare mondiale.

I tanti esperimenti nucleari condotti a “casa loro” dagli Stati coloniali e le conseguenze radioattive ancora presenti sul suolo hanno spinto l’Africa a porsi in prima linea nel recente Trattato Onu per la proibizione delle armi nucleari.

Il 22 gennaio 2021 è una data storica. E’ entrato in vigore il Trattato che rende illegali a livello internazionale le armi nucleari. Un primo passo verso la loro eliminazione totale. Il Trattato è frutto di una mobilitazione mondiale di società civile organizzata nella Campagna ICAN, premio Nobel per la pace 2017. Per ora è stato ratificato da oltre 50 Stati, ma non dalle potenze atomiche o dai Paesi che ospitano testate nucleari come l’Italia -che a Ghedi ed Aviano ha 40 bombe nucleari di ultima generazione-.

L’Africa, al contrario, è stata in prima linea nel fronte antinucleare ed ha esercitato una leadership internazionale a favore del Trattato Onu. Una scelta legata al fatto di aver sopportato gli effetti devastanti dei test nucleari dell’Occidente durante la corsa alle armi atomiche, al tempo della Guerra Fredda. Gli Stati africani, allora, erano ancora considerati una sorta di proprietà privata dei Paesi colonizzatori, nonostante l’indipendenza acquisita dalla madrepatria, ed erano ritenuti laboratori adatti agli esperimenti atomici.

Il 1960, ha segnato la data del primo test nucleare della Francia nella parte centro-meridionale dell’Algeria, seguito nei sei anni successivi da altri test, in totale 17. “Esperimenti - scrive la rivista Nigrizia-  per decenni insabbiati nel deserto, di cui sono emerse però nel luglio 2020 nuove prove dal report Radioactivity Under the Sand, pubblicato da ICAN France (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons) e dall’Observatoire des armements, secondo cui sarebbero ancora presenti scorie radioattive nei territori interessati dalle esplosioni”.

Il ripetersi di questi test aveva allertato i leader africani e alcuni influenti panafricanisti, come Kwame Nkumah, primo presidente del Ghana indipendente e Ali Mazrui, eminente studioso kenyota associavano le armi nucleari all’imperialismo e al razzismo. In un discorso tenuto nel 1960 il leader ghanese affermava: “Noi, in Africa desideriamo vivere e svilupparci… non ci stiamo liberando da secoli di imperialismo e colonialismo solo per essere menomati e distrutti dalle armi nucleari“.

Questo approccio disegnava il futuro di un’Africa denuclearizzata, anticoloniale, non allineata alle grandi potenze e metteva anche in discussione i rapporti di forza tra Stati, Nazioni, leader, con i territori sfruttati per l’estrazione dell’uranio, materia prima per gli ordigni atomici. 

Nel 1964 l’Unione degli Stati Africani, per tenere lontana l’intrusione nucleare degli Stati coloniali, aveva adottato un documento per la denuclearizzazione dell’Africa. Una presa di posizione che si è rinforzata nel tempo ed ha portato la maggior parte degli Stati africani a promuovere il “Trattato di Pelindaba” (ratificato nel 2009) che vieta agli Stati di condurre ricerche, sviluppare, fabbricare, accumulare scorte, acquisire, possedere o avere il controllo di qualsiasi ordigno nucleare. Vieta pure di ricevere assistenza per la ricerca o lo sviluppo di tali armamenti e di avere dispositivi ‘terzi’ di esplosivo nucleare sul proprio territorio.

Il “Trattato di Pelindaba” ha segnato il passo di tutto il movimento antiatomico mondiale ed ha preceduto di 11 anni il recente Trattato di proibizione delle armi nucleari entrato in vigore il 22 gennaio.

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