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I rischi che corre l’Italia nell’incestuoso connubio tra Renzi e Berlusconi

| Scritto da Redazione
I rischi che corre l’Italia nell’incestuoso connubio tra Renzi e Berlusconi

I fatti più recenti ci dimostrano le nostre preoccupazioni, che riguardano lo Stato Sociale e la sua distruzione, di cui abbiamo già visto le premesse.  La legge elettorale, che chiameremo “porcellinum”, è stata preannunciata come l’esordio negativo  dell’associazionismo con Berlusconi, infatti ha preteso:

1)      Niente voti di preferenza per non perdere la frusta che tiene nella mano destra, da usare con i nominati  per imporre il suo pensiero unico.

2)      Quoziente elevato per entrare nella rosa di quanti entrerebbero in Parlamento, per penalizzare non i partiti minori, bensì i partiti meno abbienti che non possono competere con chi possiede tre TV, più due nazionali  dove ha collocato suoi raccomandati, giornali, riviste, case editrici, tutte coinvolte nel conflitto di interessi.

3)      Tentenna ancora sull’ipotesi del ballottaggio perché sa bene che agli italiani bisogna evitare di riflettere e di concedere solamente il voto emotivo del momento, che il pregiudicato sa bene come stimolare, riflettendo prima del ballottaggio c’è il rischio che capiscano.

4)      Liste brevi, con il 50% donne e il 505 maschi, perché deve soddisfare le richieste delle amazzoni e, nello stesso tempo, tacitare le olgettine e le varie escort che bivaccano nelle Istituzioni e ottenerne l’omertoso silenzio.

Sarebbe lo Stato sociale la vittima sacrificale, vuoi che il pregiudicato vinca le elezioni, vuoi che lasci vincere un avversario comodo, il solo che continua, imperterrito, a fornirgli credibilità. Lo Stato Sociale è sempre stato il bruscolino negli occhi del liberista Berlusconi, che vorrebbe l’intera nazione nelle mani di un manipolo di miliardari a lui assoggettati perché garantisce loro sanatorie, condoni tombali, scudi fiscali, Stato leggero con il “laissaz-faire” come metro comportamentale. Si tratta di quella esasperazione negativa del capitalismo che non genera lavoro, produzione ricerca, competitività, ma affida alla speculazione finanziaria l’onere di produrre denaro: esattamente l’opposto del progresso e dello sviluppo. Non osa spiegare le radici della sua fanta-politica economica, e per confondere le carte in tavola, indica nel liberalismo le sue radici culturali; non parla  di liberismo, anche perché non saprebbe cosa dire. Non concordo con quanti assimilano liberalismo con liberismo, come se si trattasse di parenti stretti, oppure di discendenza diretta. Il liberalismo si è nutrito di capitalismo, ma nel rispetto delle regole, quando la società civile meritava di essere identificata come “civile”.

Il liberalismo educa gli uomini perché insegna loro ad auto realizzarsi, perchè l'individuo si perfeziona solo se è libero di realizzarsi come meglio crede; nel liberalismo è nucleo centrale la meritocrazia che risulta strettamente connessa a un'economia di mercato. Esattamente l’opposto di quanto sostenuto dal neo-liberismo targato Berlusconi.

Fu Benedetto Croce ad avviare un dibattito tra liberalismo e liberismo, allo scopo di  differenziare le libertà economiche dalle libertà civili, attribuendo alle seconde un rango nettamente superiore alle prime. La distinzione iniziale fu di carattere culturale, ma con dichiarata supremazia delle libertà civili, nel rispetto dell’altrui libertà che non deve essere sopraffatta in nome del mercato. Qui si evidenziano talune differenze tra Croce ed Einaudi, ma nessuno dei due avrebbe nemmeno immaginato di veder mortificato l’ideale liberale come è accaduto con la “discesa” in politica  (il termine, usato dallo stesso Berlusconi, è proprio quello esatto, perchè mai, pur nella millenaria storia di Roma, la politica è scesa così in basso, al punto da dover ricorrere a Caligola per trovare un parallelo credibile)  di Berlusconi; fin dall’inizio del suo governo venne descritto come liberismo, volendo utilizzare un termine che è diventato dispregiativo e, per questo, antitetico al liberalismo.

Il liberalismo perse così i suoi contorni, fagocitato dal nuovo liberismo berlusconiano che fece scempio della libertà individuale e del rispetto delle altrui libertà, per dare spazio alla legge del più forte, del  meno dotato di scrupoli, con lo stimolo all’evasione fiscale, con l’abolizione del reato di falso in bilancio, con le turbative d’asta diventate metodo di attribuzione. La Stato promise  (e mantenne la promessa) il suo disinteressamento, per lasciare libero il mercato di regolamentarsi da solo, ma fece di più per incoraggiare tutto ciò che uno Stato democratico avrebbe identificato come reato penale: il liberismo berlusconiano  ha provveduto a tranquillizzare i suoi sostenitori, inventando sanatorie l’una dopo l’altra, condoni che premiavano gli evasori e punivano i redditi dipendenti, costretti a pagare alla fonte; quindi il massimo con lo scudo fiscale che permise il rientro dei capitali frutto di evasione fiscale e dei movimenti economici  che hanno dilatato a dismisura il debito pubblico, garantendo il diritto all’anonimato ottenendo in cambio  la gratitudine (e la protezione) di tutte le mafie, anche quelle rinnovate con i colletti bianchi.

Liberismo assume oggi una valenza dispregiativa, che ai veri liberali ortodossi e proiettati verso “un liberalismo del terzo millennio”, non conviene nemmeno ricordare. Oggi l’Italia intera è chiamata a pagare gli errori commessi in mala fede, che hanno arricchito pochi e depauperato la stragrande maggioranza del paese. Sappiamo oggi che il 50% della ricchezza nazionale è nelle mani del 10% della popolazione. Il liberalismo può (e direi DEVE) ancora partecipare, a pieno diritto, ad un nuovo risorgimento economico, politico, sociale ed etico, ma deve dialogare con le parti che fin ora sono state identificate come avversari, per neutralizzare la sempiterna “lotta di classe” che si risolve a vantaggio della classe più forte ed opulenta, ma non certo la più rappresentativa.

Con la fine di Berlusconi, finirebbe il liberismo di mercato, dello Stato disattento, dei condoni e delle sanatorie, nonché delle leggi ad personam; finirebbe, praticamente “il capitalismo liberista” che dovrebbe poter essere sostituito dal “capitalismo sociale” che nasce dall’incontro (e non più dallo scontro)   del capitale-denaro con il capitale-lavoro, disposti, entrambi paritariamente, a collaborare nella solidarietà sociale. Tutte ipotesi sul “fattibile” e sul “futuribile”, ma è bastato Renzi a distruggere anche la speranza.

 

Rosario Amico Roxas

2014-01-31

 

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