Giovedì, 18 aprile 2024 - ore 20.06

''Il Brasile è tornato''. Rivince Lula, ma sarà dura

''Il nostro impegno più urgente è porre fine di nuovo alla fame. Il Brasile e il pianeta hanno bisogno di un'Amazzonia vivente''

| Scritto da Redazione
''Il Brasile è tornato''. Rivince Lula, ma sarà dura

Alla fine Luiz Inácio Lula da Silva, presidente del Partido dos Trabalhadores (PT) e a capo di una coalizione di sinistra/centro, ce l’ha fatta a tornare ad essere per la terza volta presidente del Brasile: con il 100% percento dei voti scrutinati ha ottenuto più del 50,9% (60.345.999 di voti) contro il presiente uscente, il neofascista Jair Bolsonaro, che si è fernmmato al  49,1% (58.206.354 voti). Una vittoria di misura che Lula ha conquistato soprattutto negli Stati del nord-est, nelle grandi città, nelle favelas e tra i poveri e le minoranze etniche. Ma governare sarà dura perché il Parlamento non gli garantisce una maggioranza affidabile, Bolsonaro non ha riconosciuto la vittoria della sinistra e la destra invoca un golpe militare per rimettere a posto le cose e gli straccioni comunisti, i neri, i gay e le lesbiche che festeggiano per le strade,

No a caso, dopo aver conosciuto i risultati definitivi, Lula ha pubblicato sul suo account Twitter la scritta “Democrazia”, ​​accompagnata dall’immagine della bandiera brasiliana e, sempre su Twitter,  il suo prossimo vicepresidente, il centrista Geraldo Alckmin, ha trato un sospiro di sollievo: «Ce l’abbiamo fatta».

Non a caso Lula nel suo primo discorso ai militanti della coalizione progressista come presidente eletto del Brasile, ha detto che «Il popolo è stato l’unico vincitore del secondo turno delle elezioni presidenziali, tra le più importanti nella storia del Paese. Qui non siamo stati di fronte a un candidato, siamo stati di fronte alla macchina dello Stato brasiliano al servizio del candidato, per cercare di impedirci di vincere le elezioni. Siamo giunti al termine di una delle elezioni più importanti della nostra storia Un’elezione che ha portato due progetti opposti faccia a faccia e che oggi ha un unico e grande vincitore: il popolo brasiliano. Governerò per tutto il popolo del Brasile.  Questa non è una vittoria per me, né per il PT, né per i partiti che mi hanno aiutato in questa campagna elettorale, è la vittoria di un immenso movimento democratico che si è formato al di sopra dei partiti politici, delle ideologie, affinché la democrazia potesse essere vincente. La mia vittoria è un esempio delle carenze dissimili subite dal popolo brasiliano nei settori della democrazia, dell’alimentazione, della salute, dell’istruzione, della casa e dell’inclusione sociale.  In questo giorno storico, la maggioranza del popolo brasiliano ha chiarito che vuole più e non meno democrazia, vuole più e non meno inclusione sociale, più e non meno mancanza di rispetto tra i brasiliani, vuole più libertà, uguaglianza e fraternità».

Un discorso di sinistra, ancorato alla voglia di metà Brasile di giustizia sociale e di voltare pagina con l’autoritarismo di Bolsonaro. E Lula ha ricordato che «Il Brasile è il terzo produttore di cibo al mondo e il primo di proteine ​​animali, mentre milioni di brasiliani non hanno nulla da portare in tavola. Questo problema sarà una delle priorità del mio governo, il nostro impegno più urgente è porre fine di nuovo alla fame. Non possiamo accettare che milioni di persone non abbiano cosa mangiare o che consumino meno del necessario» e ha annunciato: «Non accetteremo che le famiglie siano costrette a dormire per strada. Riprenderemo il programma “Minha Casa, Minha Vita” con la priorità per le famiglie a basso reddito e riporteremo i programmi di inclusione che hanno sollevato milioni di famiglie dalla povertà».

Ma Lula ha riconosciuto che per riuscire a far questo «E’ necessario ricostruire un Paese in tutte le sue dimensioni, ricostruire l’anima di questo Paese» a partire dal clima di odio e discriminazione che è stato la cifra del governo Bolsonaro: «Affrontare con forza il razzismo, l’intolleranza, la discriminazione, affinché bianchi, neri e indigeni abbiano gli stessi diritti e le stesse opportunità. A nessuno interessa vivere in una famiglia piena di discordie. E’ giunto il momento di unire la famiglia divisa dalla diffusione di odio».

Nel il suo successivo discorso sull’Avenida Paulista, il presidente eletto del Brasile ha rivelato che Bolsonaro non lo aveva chiamato per riconoscere la sua vittoria al ballottaggio: «Ovunque nel mondo, il presidente sconfitto avrebbe già chiamato l’altro e riconosciuto la sua vittoria. Finora non mi ha chiamato. E non so se chiamerà e non so se la riconoscerà». Si teme uno scenario trumpista, con Bolsonaro che già prima del ballottaggio gradava a possibili brogli. Solo che il Parlamento di Brasilia potrebbe non essere assaltato da una banda di scalmanati come quelli aizzati da Donald Trump ma dalle autoblindo dell’esercito che è stato l’ossatura portante – insieme alla Bancada Ruralista dei fazendeiros – del governo neofascista di Bolsonaro.

E Lula nel suo primo discorso non ha fatto un passo indietro nel faccia a faccia con il blocco sociale che ha sostenuto Bolsonaro e ha annunciato che  istituirà il ministero dei Popoli Originari «In modo che a queste comunità non verrà più mancato di rispetto, così che non saranno mai più trattate come cittadini di seconda classe». Poi ha detto che  ripristinerà il ministero della Cultura perché «Ci teme la cultura non ama le persone, non gli piace la libertà. Voglio che sappiate  che recupereremo il Ministero della Cultura e creeremo il Comitato statale per la cultura (…) in modo che diventi un’industria per generare posti di lavoro e reddito».

E, in politica estera, il presidente eletto Lula ha sottolineato l’importanza di riportare il Brasile alla posizione che aveva  come fondatore di alleanze regionali e internazionali come i Brics (Brasile, Russia, India, Cina Sudafrica): «Riporteremo il Paese nella sua posizione internazionale. Diciamo al mondo che il Brasile è tornato. Mi batterò per una nuova governabilità globale, per l’inclusione di più nazioni nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e per porre fine al diritto di veto».

E Lula ha chiuso il suo discorso programmatico segnando una netta discontinuità con il negazionismo climatico e le politiche antiambientaliste di Bolsonaro: «Il Brasile è pronto a riprendere il suo ruolo da protagonista nella lotta alla crisi climatica, proteggendo tutti i nostri biomi, in particolare la Foresta Amazzonica. Nel nostro governo siamo riusciti a ridurre dell’80% la deforestazione in Amazzonia, riducendo notevolmente le emissioni di gas che causano il riscaldamento globale. Ora, combattiamo per la deforestazione zero in Amazzonia. Il Brasile e il pianeta hanno bisogno di un’Amazzonia vivente. Un albero in piedi vale più delle tonnellate di legno raccolte illegalmente da chi pensa solo a un facile profitto, a scapito del deterioramento della vita sulla Terra. Un fiume di acqua limpida vale molto di più di tutto l’oro estratto utilizzando il mercurio che uccide la fauna e mette a rischio la vita umana. Quando un bambino indigeno muore assassinato dall’avidità dei predatori dell’ambiente, una parte dell’umanità muore insieme a lui. Pertanto, riprenderemo il monitoraggio e la sorveglianza dell’Amazzonia e combatteremo qualsiasi attività illegale, sia garimpo, mineraria, disboscamento o occupazione agro-zootecnica illecita. Allo stesso tempo, promuoveremo lo sviluppo sostenibile delle comunità che vivono nella regione amazzonica. Dimostreremo ancora una volta che è possibile generare ricchezza senza distruggere l’ambiente. Siamo aperti alla cooperazione internazionale per preservare l’Amazzonia, sia sotto forma di investimento che di ricerca scientifica. Ma sempre sotto la guida del Brasile, senza mai rinunciare alla nostra sovranità. Ci impegniamo per le popolazioni indigene, gli altri popoli della foresta e la biodiversità. Vogliamo la pacificazione ambientale. Non ci interessa una guerra per l’ambiente, ma siamo pronti a difenderlo da ogni minaccia».

Ma la verà conclusione di Lula è stato un emozionante impegno a realizzare un Brasile diverso: «Il nuovo Brasile che costruiremo dal 1° gennaio non interessa solo al popolo brasiliano, ma a tutte le persone che lavorano per la pace, la solidarietà e la fraternità, ovunque nel mondo. Mercoledì scorso papa Francesco ha inviato un messaggio importante al Brasile, pregando affinché il popolo brasiliano sia libero dall’odio, dall’intolleranza e dalla violenza. Voglio dire che vogliamo la stessa cosa e lavoreremo instancabilmente per un Brasile in cui l’amore prevale sull’odio, la verità vince la menzogna e la speranza è più grande della paura. Ogni giorno della mia vita ricordo il più grande insegnamento di Gesù Cristo, che è l’amore per il prossimo. Pertanto, credo che la virtù più importante di un buon governante sarà sempre l’amore, per il suo Paese e per il suo popolo. Per quanto dipende da noi, l’amore non mancherà in questo Paese. Ci prenderemo molta cura del Brasile e del popolo brasiliano. Vivremo in un tempo nuovo. Di pace, di amore e di speranza. Un tempo in cui il popolo brasiliano ha il diritto di tornare a sognare. E le opportunità per realizzare ciò che sogna. Per questo, invito tutti i brasiliani, indipendentemente dal candidato per cui hanno votato in queste elezioni. Più che mai, stiamo camminando insieme per il Brasile, guardando più a ciò che ci unisce che alle nostre differenze. Conosco la grandezza della missione che la storia ha in serbo per me e so che non sarò in grado di compierla da solo. Avrò bisogno di tutti: partiti politici, lavoratori, uomini d’affari, parlamentari, governatori, sindaci, persone di tutte le religioni. Brasiliani che sognano un Brasile più sviluppato, più giusto e più fraterno. Ripeto quello che ho detto durante la campagna elettorale. Quella che non è mai stata una semplice promessa di un candidato, ma una professione di fede, un impegno di vita: “O Brasil tem jeito”. Tutti insieme saremo in grado di risanare questo Paese e costruire un Brasile delle dimensioni dei nostri sogni, con l’opportunità di trasformarli in realtà. Ancora una volta, rinnovo la mia eterna gratitudine al popolo brasiliano. Un grande abbraccio, e che Dio benedica i nostri giorni».

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