Martedì, 23 aprile 2024 - ore 18.19

Il capitalismo e la crisi o la crisi del capitalismo? | Rosario Amico Roxas

| Scritto da Redazione
Il capitalismo e la crisi o la crisi del capitalismo? | Rosario Amico Roxas

I difensori del liberismo tentano una interpretazione fantasiosa del rapporto tra capitalismo e la crisi, riproponendo le teorie di Schumpeter, come se l’alternarsi delle varie crisi nel capitalismo non fosse altro che il superamento di condizioni ormai superate, per promuovere un nuovo progresso; interpretazione credibile, ma non eterna, perché il tipo di progresso del capitalismo liberista non può durare all’infinito, perché arriva la saturazione che travolge lo spirito stesso dell’economia capitalista.

L’esasperazione del capitalismo liberista ha trasformato l’economia di mercato dilatandolo nella società di mercato, dove tutto si compra e si vende, secondo le regole della domanda e dell’offerta; la crisi economica, iniziata come crisi etica, si conferma  crisi etica venendo definitivamente annientati i valori umani, sostituiti dal prezzo attribuito a tutto.

Anche il pensiero di Schumpeter andrebbe analizzato alla luce dei fatti nuovi che hanno  determinato l’attuale crisi che non è più di crescita ma di interpretazione della realtà. Una crisi, quella attuale, che oltre l’economia, oltre la politica, coinvolge anche l’etica; ce lo dimostra il ritmo assillante delle corruzioni, delle appropriazioni indebite, dei traffici illeciti, dei falsi in bilancio, delle evasioni fiscali, dei capitali all’estero; tutti eventi che hanno trovato, nel governo che ha promosso e appoggiato il liberismo in Italia, il sostegno e leggi su misura, con condoni, sanatorie e scudi fiscali. 
Nel 1883 moriva Marx e nasceva Schumpeter, l’economista teorico massimo del capitalismo; questi rispose in anticipo alle accuse che sarebbero state rivolte, periodicamente, al capitalismo e cioè di essere in crisi . Le previsioni di Marx, circa la morte del capitalismo, che sarebbe inevitabilmente avvenuta, furono contraddette dalla storia; fu il sistema economico socialista a morire quando, superati gli schemi della contrapposizione ideologica democrazia/comunismo, si passò alla contrapposizione economica capitalismo/sistema socialista, che provocò la caduta del muro di Berlino, e con esso la fine della guerra fredda, il crollo dell’URSS e la restaurazione dei paesi ex satelliti.
Schumpeter non solo non negò che periodicamente il capitalismo sarebbe caduto in crisi, ma identificò lo stesso capitalismo con la crisi: il capitalismo è la crisi, se periodicamente non si verificasse tale situazione si fermerebbe il progresso. I processi di concorrenza, di innovazione continua, distruggono e creano allo stesso tempo, sconvolgono ciò che c’era e promuovono il cambiamento; il sistema capitalistico stimola il momento di crisi per modificare l’assetto precedente in una spirale di continua evoluzione; continua ma non eterna; è questa l’interpretazione liberale del capitalismo che serve il progresso. Con l’avvento del liberismo del “tutto è mercato” i termini vengono capovolti ed è il liberismo che si serve del progresso.
In questo processo evolutivo è estremamente importante essere alla testa di tale evoluzione, cioè essere i piloti del circuito crisi-rinnovamento-crisi , in tal modo tutto il sistema capitalistico deve adeguarsi o soccombere; non c’è spazio per i Paesi in via di sviluppo che non possono seguire tale genere di modificazioni con i ritmi imposti da chi tali modificazioni programma e promuove. 
Il detentore della tecnologia avanzata, che promuove le modificazioni, diventa il regista unico di riferimento. 
Il dilatarsi dell’uso  della robotica nelle officine ha determinato una espansione produttiva senza precedenti che ha necessitato di sempre nuovi mercati ai quali imporre i propri prodotti: è la globalizzazione dei mercati. 
Tutto ciò ha generato anche la delocalizzazione produttiva verso quei paesi che, per mancanza di tecnologie avanzate, sono rimaste indietro con la evoluzione che è stata imposta ai tempi tecnici dal capitalismo; la delocalizzazione produttiva è l’aspetto più disumanizzante, perché coincide con un nuovo e più aspro sfruttamento della manodopera a basso costo e del lavoro minorile, senza che venga lasciato nulla come valore aggiunto ai prodotti realizzati. Si tratta solamente di sfruttamento, quello imposto dalla globalizzazione, in alternativa all’integrazione fra i popoli. 
I Paesi del terzo mondo, sottosviluppati e alle soglie dell’indigenza assoluta, cos’altro possono offrire all’opulento mondo occidentale se non manodopera a basso costo ? 
La forbice economica tra la minoranza delle nazioni ricche e la maggioranza delle nazioni povere è destinata a dilatarsi sempre più. Il panorama che ci viene offerto è quello di un mondo di Paesi attenti alle innovazioni tecnologiche e Paesi impossibilitati a seguire il passo, destinati, quindi, a regredire sempre più e a subire quello sfruttamento che, almeno, consente loro di poter disporre dell’indispensabile per sopravvivere. 
La storia, così, divide il mondo in popolo dei vinti e popolo dei vincitori ,produttori e consumatori, creditori e debitori. Le eccezioni rappresentate dalla Cina, dall’India, dalla Corea  e dal Brasile hanno scardinato i progetti del pianeta Occidentale, determinando un evento non ancora ben analizzato  di miscellanee politiche apparentemente opposte, come la Cina che ha un governo comunista e una economia capitalista, con un GAP, nella popolazione, che non è economico, bensì politico.
All’Occidente-Europa si presentano due sole ipotesi di lavoro o due possibili panorami: 
1) associarsi allo sviluppo industriale e inseguire l’evoluzione della tecnologia, 
2) creare uno sviluppo autonomo dissociato dalla forsennata evoluzione dell’Occidente-America e realizzare in politica estera/interna una equivicinanza alternativa al capitalismo monopolistico sia con la nazione capofila della tecnologia avanzata che con tutti gli altri Paesi in via di sviluppo e/o sottosviluppati. 
Nel primo caso l’Europa sarebbe destinata a diventare succube degli USA e della sua corsa al tecnologicamente avanzato; finirebbe con il pagare il conto del susseguirsi delle crisi che lo sviluppo tecnologico crea per avanzare di livello. 
Nel secondo caso si tratterebbe di realizzare una nuova politica di dissociazione e effettuare una scelta di equivicinanza ai nuovi poli che sono stati creati, Occidente e mondo arabo-islamico e le nazioni emergenti citate,differenziando alla base l’Occidente-Europa dall’Occidente-America. 
L’integrazione fra i popoli può rendere più responsabili le nazioni più avanzate nei confronti delle nazioni sottosviluppate o in via di sviluppo, secondo l’itinerario del “crescere insieme”; è il concetto dell’umanesimo delle responsabilità descritto dalla Gaudium et Spes con una attualità che si rinnova costantemente; è la globalizzazione delle responsabilità, la globalizzazione dell’economia, laglobalizzazione dello sviluppo equilibrato, che contrasta la globalizzazione dei mercati che mira ad assoggettare intere popolazioni e intere culture alla logica dell’interesse materiale del più forte. 
Lo sviluppo dell’uomo non è più il problema prioritario della società civile che ha modificato anche la sua sociologia e la sua antropologia, perché ha favorito l’affermazione della nuova sociologia della tecnica , contro la sociologia del Nuovo Umanesimo . Il problema economico diventa così il problema esistenziale,diventa un problema antropologico; occorre una scelta di fondo per riprogrammare i termini dello sviluppo globale. 
*  Continuare sulla scia del progresso della tecnica, mortificando la centralità dell’uomo; in questo caso il primato americano soffocherà ogni tentativo di sviluppo equilibrato dell’intero pianeta. 
*  Cambiare totalmente la via fin qui percorsa e indirizzarsi verso scelte di utilità per dilatare la fruizione del necessario a tutti i popoli della terra (come sembra che Obama voglia fare, contrastato dai repubblicani, ancora legati alle follie di Bush), specie a quelli che, oggi, mancano dell’indispensabile. Il tema è quello di riprogrammare le mete a misura di uomo, per far cresce l’umanità su fondamenta comuni e contenere le disparità che dividono l’Occidente opulento e il resto del mondo. 
La politica e l’economia diventerebbero, così, antropologia e sociologia, naturalmente intrise di umanesimo; altrimenti sarà la sociologia a trasformarsi in un mero calcolo di maggior utile attraverso lo sfruttamento, fino all’implosione che stiamo vivendo, che non ha ancora completato la sua corsa.

 

Rosario Amico Roxas

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