Un giovane suona il pianoforte in mezzo a una strada bombardata di Damasco. Suona per i suoi vicini, soprattutto per i bambini, per distrarli dalle atrocità della guerra: un’immagine che ha fatto il giro del mondo diventando un simbolo della catastrofe in Siria, ma anche dell’inestinguibile volontà dell’uomo di opporsi in ogni modo alla distruzione. Suona così forte, da trasformare il pianto dei bimbi in canto, in speranza, in vita e sogno di libertà. Il suono di quello strumento ha raggiunto e commosso milioni di persone nel mondo su YouTube.
Quel giovane è Aeham Ahmad e ha raccontato la propria storia in nell’autobiografia che non poteva che intitolarsi Il pianista di Yarmouk. Una storia che racconterà al Caffè Letterario di Crema lunedì 28 ottobre, in sala Bottesini del teatro San Domenico, conversando con la giornalista Cristina Marinoni (inizio alle 20,45 e ingresso libero).
La storia vera, raccontata in prima persona, di un pianista che ha sfidato le bombe e i terroristi in nome della sua musica, un caso mondiale, una commovente testimonianza di resistenza e fede nell’arte e nella sua capacità salvifica. Una presentazione di parole e musica: Ahmad intervallerà il racconto con l’esecuzione di suoi brani.
Come tutte le serate del Caffè Letterario, anche questa è stata resa possibile dal contributo delle aziende che sostengono l’associazione culturale:Associazione Popolare di Crema per il territorio, Banca Cremasca e mantovana, Comitato Soci Coop di Crema, libreria La Storia di Crema, Icas di Crema, il quotidiano La Provincia di Cremona e Crema, Teicos di Pandino e, naturalmente, la Fondazione San Domenico che ospita gli appuntamenti.
Ahmad, nato nel 1988 a Damasco, appartiene alla minoranza palestinese in Siria e ha vissuto nel campo rifugiati di Yarmouk con la sua famiglia. Ha iniziato a studiare il piano a 5 anni e ha continuato gli studi a Damasco e a Homs. Nel 2015 ha dovuto lasciare il suo paese e si è trasferito in Germania. Oggi vive con la sua famiglia a Wiesbaden e tiene numerosi concerti nel mondo. Nel dicembre 2015 ha ricevuto l’International Beethoven Prize for Human Rights.
Ahmad si racconta senza veli, parla della sua vita a Yarmouk, dove prima del 2011 vivevano circa 650 mila profughi palestinesi, dell’inizio delle rivolte, dellla guerra, della fuga e del suo arrivo a Wiesbaden. «Il mio libro - racconta - rappresenta un modo per lavare la mia colpa». Quella di essersi lasciato alle spalle i genitori, il fratello - sbattuto in carcere dal regime da oltre 4 anni e di cui non si hanno più notizie -, i suoi amici - tra cui Niraz Saied, l’autore dello scatto che lo rese noto in tutto il mondo - e le migliaia di siriani intrappolati in quell’inferno.
Aeham inizia a studiare musica controvoglia, come lui stesso scrive, ma spinto con tenacia dal padre che, malgrado la sua cecità, suonava il violino. «Noi siamo rifugiati», gli diceva. «Nella nostra terra non possiamo tornarci. Quindi tu devi essere internazionale». Per questo, lo iscrive alla scuola statale di musica della capitale, frequentata dalla borghesia benestante damascena, non certo un posto «per un lurido bambino palestinese di Yarmouk». Il tragitto, racconta l’autore nel suo libro, «durava un’ora e mezza per andare e un’ora e mezza per tornare. Lo percorrevamo insieme». Nel narrare della sua infanzia e della sua adolescenza, Aeham apre una finestra sulla vita nell’insediamento dove la sua famiglia era riuscita a costruirsi un certo benessere, fino alla spaccatura interna alla comunità con lo scoppio del conflitto, fra chi chiede la neutralità e chi appoggia Assad. Della musica Aeham ha fatto la sua vita - lavorando nel negozio di strumenti che il padre aprì a Yamouk per lui e nella fabbrica di liuti - e la sua salvezza, una volta uscito dalla Siria è grazie ai suoi concerti in giro per l’Europa che riesce mantenere la sua famiglia. Ma anche un simbolo di coraggio e speranza in mezzo al caos.