Venerdì, 26 aprile 2024 - ore 22.13

Il punto di Rosario Amico Roxas. Croce ed Einaudi

Raxas: «Con la fine di Berlusconi finisce il liberismo di mercato»

| Scritto da Redazione
Il punto di Rosario Amico Roxas. Croce ed Einaudi

In un dibattito come questo è importante capire e farsi capire, quindi l’itinerario può farsi anche sdrucciolevole, purchè chiaro. Nella mia precedente nota Che cos’è la libertà mi sono soffermato su Croce, ritenendolo il più importante intellettuale del secolo scorso. Correttamente, mi viene posta da alcuni lettori, sulle pagine de L’Espresso nella rubrica di Stefania Rossini, l’esigenza di guardare anche a Einaudi, proponendo una commemorazione negativa a fronte di quella positiva formulata per Croce.

L’argomento mi sollecita, ma bisogna dilatare il discorso prima di lanciarsi in assoluzioni o in condanne (non ne avrei il titolo). Con Croce parliamo di liberalismo, magari erede delle cultura di fine ottocento, quella cultura che impose a Croce una scelta di opposizione quando si trattò di votare l’inserimento nella Costituzione del Concordato del 1929; di contro, e la cosa meravigliò molti, ci fu l’approvazione da parte di Togliatti, con una scelta di alta strategia politica e diplomatica. In quel caso l’erede del liberalismo ottocentesco dovette seguire l’impegno culturale laico con punte anticlericali, mentre Togliatti aspirata a entrare, di forze e con convinzione nella sfera governativa. Già fin da allora apparve la distinzione tra “liberalismo” e “liberismo”, distinzione che toccherà il massimo della contraddittorietà con i governi Berlusconi, falsamente presentati come “liberali”. Non concordo con quanti, ipocritamente, assimilano liberalismo con liberismo, come se si trattasse di parenti stretti, oppure di discendenza diretta. Il liberalismo si è nutrito di capitalismo, ma nel rispetto delle regole, quando la società civile meritava di essere identificata come “civile”. L’antitesi tra liberalismo e liberismo non nasce in epoca remota, ma si è accentuata con la disgregazione dell’ideale liberale, quando le differenze si fecero tali da porre i loro contenuti in antitesi tra di loro.

Il liberalismo voleva e vuole educare gli uomini perché insegna ad autorealizzarsi, perché l’individuo si perfeziona solo se è libero di realizzarsi come meglio crede; nel liberalismo storico è nucleo centrale la meritocrazia che risulta strettamente connessa a un’economia di mercato. Esattamente l’opposto di quanto sostenuto dal neoliberismo targato Berlusconi.

Fu Croce ad avviare un dibattito tra liberalismo e liberismo, allo scopo di differenziare le libertà economiche dalle libertà civili, attribuendo alle seconde un rango nettamente superiore alle prime. La distinzione iniziale fu di carattere culturale, ma con dichiarata supremazia delle libertà civili, nel rispetto dell’altrui libertà che non deve essere sopraffatta in nome del mercato. Dopo questa premessa ecco evidenziarsi talune differenze tra Croce ed Einaudi, senza la pretesa di giudicare, assolvere o condannare, bensì semplicemente annotare; nessuno dei due avrebbe nemmeno immaginato di veder mortificato l’ideale liberale come è accaduto con la “discesa” in politica (il termine, usato dallo stesso Berlusconi, è proprio quello esatto, perché mai, pur nella millenaria storia di Roma, la politica è scesa così in basso, al punto da dover ricorrere a Caligola per trovare un parallelo credibile) di Berlusconi; fin dall’inizio del suo governo venne descritto come liberismo, volendo utilizzare un termine che è diventato dispregiativo e, per questo, antitetico al liberalismo.

Il liberalismo perse così i suoi contorni, fagocitato dal nuovo liberismo berlusconiano, che fece scempio della libertà individuale e del rispetto delle altrui libertà, per dare spazio alla legge del più forte, del meno dotato di scrupoli, con lo stimolo all’evasione fiscale, con l’abolizione del reato di falso in bilancio, con le turbative d’asta diventate metodo di attribuzione. La Stato promise (e mantenne la promessa) il suo disinteressamento, per lasciare libero il mercato di regolamentarsi da solo, ma fece di più per incoraggiare tutto ciò che uno Stato democratico avrebbe identificato come reato penale: il liberismo berlusconiano ha provveduto a tranquillizzare i suoi sostenitori, inventando sanatorie l’una dopo l’altra, condoni che premiavano gli evasori e punivano i redditi dipendenti, costretti a pagare alla fonte; quindi il massimo con lo scudo fiscale che permise il rientro dei capitali frutto di evasione fiscale e dei movimenti economici che hanno dilatato a dismisura il debito pubblico, garantendo il diritto all’anonimato ottenendo in cambio la gratitudine (e la protezione) di tutte le mafie, anche quelle rinnovate con i colletti bianchi.

Liberismo assume oggi una valenza dispregiativa, che ai veri liberali ortodossi e proiettati verso un liberalismo del terzo millennio, non conviene nemmeno ricordare. Oggi l’Italia intera è chiamata a pagare gli errori commessi in mala fede, che hanno arricchito pochi e depauperato la stragrande maggioranza del Paese.

Il liberalismo può ancora partecipare, a pieno diritto, a un nuovo risorgimento economico, politico, sociale ed etico, ma deve dialogare con le parti che fin ora sono state identificate come avversari, per promuovere una sempiterna “lotta di classe” a vantaggio della classe più opulenta, collocandosi al Centro della politica e in dialogo costruttivo con la destra conservatrice, purchè democratica, e con la sinistra socialdemocratica non marxista.

Con la fine di Berlusconi finisce il liberismo di mercato, dello Stato disattento, dei condoni e delle sanatorie, nonché delle leggi ad personam; finisce, praticamente il capitalismo liberista, che dovrebbe poter essere sostituito dal capitalismo sociale, che nasce dall’incontro (e non più dallo scontro) del capitale-denaro con il capitale-lavoro, disposti, entrambi, paritariamente, a collaborare nella solidarietà sociale.

Rosario Amico Roxas

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