Sabato, 27 aprile 2024 - ore 05.45

Imperialismo e terrorismo due facce della barbarie capitalista

| Scritto da Redazione
Imperialismo e terrorismo due facce della barbarie capitalista
Perchè tanta paura delle parole che svelano ciò che si vorrebbe  nascondere?
Perché difendere il capitalismo e l’imperialismo, ritenendo di difendere  questo Occidente sconfitto da se stesso?
Perché difendere l’imperialismo della finanza dopo che ha dimostrato di essere autore della peggiore crisi economica, diventata planetaria?
Perchè illudersi che questo Occidente possa risollevarsi dalle sue ceneri utilizzando ancora l’imperialismo finanziario ?

 

E’ nella logica naturale delle cose che un’aggressione imperialistica favorisca la nascita del suo antagonista: un’opposizione i cui contorni politico-ideologici dipendono dal percorso storico nazionale, dal grado di forza e coesione della borghesia indigena e dal livello di lotta di classe, qualora si esprima nelle forme che le sono proprie. Sia l’aggressione imperialistica sia l’opposizione possono usare l’arma del terrorismo, senza per questo rinunciare al loro ruolo e al perseguimento dei loro fini.  Il terrorismo, infatti,  non ha un obiettivo da colpire, ma la popolazione da atterrire; e ciò è valido sia per il terrorismo degli aggrediti che per il terrorismo degli aggressori. Una bomba in un supermercato atterrisce tanto quanto un missile intelligente contro una moschea nel giorno della preghiera.  La recentissima storia, infatti,  ci ha insegnato che la pratica del terrorismo non è appannaggio soltanto di piccoli gruppi, d’organizzazioni integraliste, di moti partigiani, di guerriglia nazionalistica ma anche di stati, di regolari eserciti d’occupazione, nell’esercizio abusivo del diritto alla “guerra preventiva”, cioè alla certezza di una guerra per scongiurare l’ipotesi di una guerra

Il terrorismo è però estraneo alla prassi della lotta di classe, ai movimenti rivoluzionari, anzi, questo tipo di violenza non ha nulla a che vedere con la lotta di classe e con gli obiettivi rivoluzionari, semmai ne sono le vittime. Il terrorismo, nell’accezione corrente di attacco alla popolazione civile, agli inermi e ai più deboli, è prassi tutta interna all’ideologia borghese, qualunque sia lo scenario di riferimento: quello di una borghesia aggressiva che dispiega il suo attacco, o quello di una borghesia nazionale che si difende.

Un autentico moto rivoluzionario, dovrebbe innanzi tutto fare i conti con la presenza dell’esercito invasore. Nessun movimento rivoluzionario, anche se in nuce potrebbe fare a meno di impegnarsi contro l’aggressività dell’imperialismo. Contemporaneamente dovrebbe fare i conti con la sua borghesia e i suoi obiettivi nazionalistici e i suoi metodi di lotta, terrorismo compreso.

La violenza di classe non deve essere confusa con la barbarie borghese. La seconda è violenza che si esprime contro tutto e tutti, contro la popolazione civile, contro lo stesso proletariato se osa alzare la testa; è sinonimo di decimazione e rappresaglia, il tutto per imporre il suo potere politico a salvaguardia del suo interesse economico. La prima nasce all’interno del proletariato, attinge forza e credibilità in tutti i settori della popolazione, deve operare per proporsi forza politica dominante anche verso le stratificazioni sociali diverse — piccola borghesia proletarizzata, strati assimilabili al proletariato — che immediatamente non seguono la strategia e il programma rivoluzionari ma che ad essi devono essere conquistati.

Azioni di barbarie come quelle di sgozzare, magari in diretta televisiva, giornalisti, civili che lavorano in imprese straniere, lavoratori che, pur di sopravvivere, sono costretti a subire lo sfruttamento del capitale straniero, se hanno come immediato risultato di entusiasmare una stretta cerchia di fanatici, alienerebbero alla lotta di classe ampie stratificazioni popolari e consistenti frange dello stesso proletariato, oltre ad essere ripugnante come prassi, pur tenendo conto dell’ambiente in cui maturano.

L’altro aspetto che rende il terrorismo, qualsivoglia sia la giustificazione ideologica, estraneo alla prassi della lotta di classe è che a compierlo sono pur sempre organizzazioni borghesi che si muovono sul terreno nazionalistico. Nell’esperienza libanese, palestinese ed irachena, tutte le organizzazioni nazionalistiche che combattono contro la presenza dell’imperialismo e che usano talvolta la prassi del terrorismo, non contro il nemico, perché allora tale non sarebbe, ma contro una parte della loro stessa popolazione, si nutrono di un contenuto politico ed economico capitalistico. L’ideologia che li anima è oltretutto retriva, religiosamente opprimente, socialmente classista e con una propensione punitiva nei confronti del mondo del lavoro.

Se in un simile quadro di scontro tra un imperialismo che aggredisce e forze borghesi che si difendono, s’inserisse un’iniziativa di classe che avesse contemporaneamente l’obiettivo di combattere la presenza dell’imperialismo e di regolare i conti con la borghesia, sarebbe bersaglio del fuoco incrociato dalle due espressioni capitalistiche.

L’imperialismo si scatenerebbe contro un’alzata di testa da parte del proletariato perché la riterrebbe ancora più pericolosa di quella nazional-borghese. In gioco non ci sarebbe più soltanto la necessità di reprimere un movimento partigiano, bensì un esempio di lotta di classe che poterebbe innescare un processo domino in tutta l’area e che avrebbe come obiettivo non solo quello di rintuzzare l’aggressività dell’imperialismo, ma metterebbe in discussione la sua stessa base economica: il capitalismo.

Le varie frange della borghesia si comporterebbero analogamente, perché si vedrebbero rifiutare quell’aiuto militare e di sostegno sociale dei quali non poterebbero mai fare a meno nella lotta contro l’esercito occupante. Sfuggirebbe loro di mano la manovalanza, la carne da macello su cui costruire nell’immediato l’esercito nazionalista, e per il futuro, la base di consenso al potere politico. Sia perché vedrebbero, in un incipiente movimento proletario, al pari dell’im-perialismo, il nemico mortale da aggredire, da annientare con tutti i mezzi, prima ancora di rivolgere le armi verso il nemico esterno. In questo caso non lesinerebbero ferocia, massacri e pulizia etnica, stragi e decimazioni e atti di terrorismo nei confronti di quella parte della popolazione che sostenesse un movimento proletario pur non facendone direttamente parte. La storia della lotta di classe c’insegna che la violenza proletaria non è mai terrorismo, semmai la lotta di classe è oggetto di feroci prassi terroristiche sia da parte dell’imperialismo che da parte della sua borghesia.

 

Rosario Amico Roxas

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