Venerdì, 29 marzo 2024 - ore 07.49

La delegazione più numerosa alla Cop26 è quella della lobby dei combustibili fossili

Centinaia di lobbisti delle multinazionali petrolifere invadono la COP26 Unfccc di Glasgow

| Scritto da Redazione
La delegazione più numerosa alla Cop26 è quella della lobby dei combustibili fossili

Global Witness, Corporate Accountability, Corporate Europe Observatory e Glasgow Calls Out Polluters, hanno pubblicato  un’analisi  dell’elenco provvisorio  dell’United Nations framework convention on climate change (Unfccc) dei partecipanti alla 26esima Conferenza delle parti in corso a Glsagow, un documento di ben 1.616 pagine che elenca tutti i delegati ammessi ai colloqui, individuando così quelli delegati che hanno dichiarato un’affiliazione con business groups che fanno parte della lobby dell’industria dei combustibili fossili.

L’analisi ha dimostrato che «Almeno 503 lobbisti dei combustibili fossili sono stati ammessi ai colloqui sul clima. aprendo loro la porta per continuare a ritardare, distrarre e deviare dall’azione di cui abbiamo bisogno per affrontare la crisi climatica, in gran parte causata dalla loro industria».

Per contestualizzare questo numero, significa che alla COP26 Unfccc di Glasgow i lobbisti dei combustibili fossili sono il doppio rispetto a quelli dell’indigenous peoples organizations (IPO) una delle constituency riconu osciute dall’Unfcccc e che i lobbisti dei combustibili fossili come blocco superano in numero la più grande delegazione nazionale alla COP26 e superano il numero dei delegati messi insieme delle 8  delegazioni dei Paesi  più  colpiti dai cambiamenti climatici negli ultimi 20 anni: Puerto Rico, Myanmar, Haiti, Filippine, Mozambico, Bahamas, Bangladesh e Pakistan.

Global Witness commenta: «Sapevamo che la COP di quest’anno sarebbe stata probabilmente una delle più diseguali di sempre, con enormi barriere alla partecipazione, disparità di vaccini e costose restrizioni di viaggio che tengono lontane molte persone. Ad esempio, diversi piccoli Stati e territori insulari del Pacifico avevano  avvertito  che era improbabile che fossero in grado di inviare funzionari governativi ai colloqui. Il livello della lobby dei fossili alla COP evidenzia il netto contrasto questo accesso ineguale».

Rachel Rose Jackson. direttrice climate research e policy di Corporate Accountability aggiunge: «Gli architetti della crisi climatica non possono costruire un futuro vivibile e giusto quando hanno già bruciato la casa. Con i grandi inquinatori all’interno dell’edificio e così tanti di coloro che sono in prima linea lasciati fuori a causa dell’apartheid vaccinale, la COP26 è compromessa. Sono le persone in prima linea in questa crisi, non gli inquinatori, ad avere la zattera di salvataggio di cui abbiamo bisogno in questo momento».

E nell’analisi le 4 ONG non hanno incluso i negazionisti climatici o i numerosi lobbisti di altri settori strettamente legati ai combustibili fossili o fortemente implicati nella crisi climatica come l’industria finanziaria, le grandi imprese agricole o l’industria petrolchimica che  partecipano alla COP 26.

Sono stati individuati delegati di oltre 100 compagnie dei combustibili fossili che hanno dichiarato apertamente la loro affiliazione che partecipano alla COP26  come parte delle delegazioni nazionali o con business groups. Le Ong fanno l’esempio della Federazione Russa per la quale 1 su 8 dei 300 delegati proviene dall’industria dei combustibili fossili, ma lobbisti fossili sono inclusi anche nelle delegazioni ufficiali del Canada e Brasile e in altre 24 delegazioni ufficiali dei Paesi.

Murray Worthy, leader della campagna Gas di Global Witness, ha dichiarato: «Con il mondo che sta rapidamente esaurendo il tempo per evitare il disastro climatico, questa COP deve assolutamente essere un successo. L’occasione per un’azione globale significativa non deve essere deviata da un festival di inquinatori e dei loro portavoce, che non hanno interesse a vedere i cambiamenti di cui abbiamo bisogno per proteggere le persone e il pianeta. La presenza di centinaia di persone che vengono pagate per spingere gli interessi tossici delle aziende di combustibili fossili inquinanti, aumenterà solo lo scetticismo degli attivisti climatici che vedono questi colloqui come un’ulteriore prova dell’indecisione e dei ritardi dei leader globali. La portata della sfida che ci attende significa che non possiamo perdere tempo a essere distratti dal greenwashing o da promesse corporative prive di significato e non mantenute. E’ tempo che i politici dimostrino di essere seriamente intenzionati a porre fine all’influenza dei grandi inquinatori nel processo decisionale politico e si impegnino per un futuro in cui le voci di esperti e attivisti siano al centro della scena».

Ma la realtà è che le compagnie di combustibili fossili sono fortemente embedded in business groups e associazioni di categoria che fanno lobbing alla COP26, come il principale consigliere per il clima della Shell, David Hone, che  partecipa ancora una volta ai negoziati climatici  nella della delegazione di 100 persone dell’International Emissions Trading Association (IETA). Hone fa parte del   consiglio di amministrazione della IETA e nel 2018 si è vantato di  aver contribuito, insieme alla IETA, a inserire nell’Accordo di Parigi misure che consentono alle compagnie dei combustibili fossili di acquistare crediti per la riduzione delle emissioni altrove invece di ridurre le proprie emissioni.

La scorsa settimana, l’amministratore delegato di Shell, Ben Van Beurden, ha dichiarato di ritenere che Shell non fosse la benvenuta alla COP 26: «Ci è stato detto che non eravamo i benvenuti, quindi non ci saremo», ma la presenza di Hone e di altri 5 delegati Shell dimostra che la multinazionale potrebbe cercare di mantenere un basso profilo mentre cerca ancora attivamente di condizionare i negoziati sul clima.

Global Witness, Corporate Accountability, Corporate Europe Observatory e Glasgow Calls Out Polluters denunciano: «L’industria dei combustibili fossili ha passato decenni a ingannare l’opinione pubblica sui cambiamenti climatici e ad alimentare il negazionismo. Oggi, mentre la maggior parte delle compagnie petrolifere e del gas riconoscono la minaccia del cambiamento climatico, continuano a  ritardare l’azione sulle proprie emissioni, spingono  per soluzioni tecnologiche discutibili  che consentirebbero loro di continuare con il business as usual o a fare greenwashing delle proprie azioni concentrandosi sul green o sugli sforzi ambientali da parte delle companies mentre continuano a dedicare la stragrande maggioranza della loro attività ai combustibili fossili inquinanti».

Solo pochi giorni fa gli executives  di Shell, BP, Chevron ed Exxon sono stati accusati dal  Congresso Usa di aver nascosto i dati si

Pascoe Sabido, ricercatore e attivista di Corporate Europe Observatory, fa notare che «La COP26 viene venduta come il luogo per aumentare le ambizioni, ma brulica di lobbisti dei combustibili fossili la cui unica ambizione è quella di rimanere in attività. Artisti del calibro di Shell e BP sono all’interno di questi colloqui nonostante ammettano apertamente di aumentare la loro produzione di gas fossile. Se vogliamo seriamente aumentare l’ambizione, allora i lobbisti dei combustibili fossili dovrebbero essere esclusi dai colloqui e dalle nostre delegazioni nazionali. Invece, sono i governi e le comunità dei paesi più colpiti dai cambiamenti climatici che si trovano esclusi, nonostante il Regno Unito affermi di aver assicurato un vertice sul clima di persona e inclusivo. Chiaramente questa ambizione si estende solo fino all’industria dei combustibili fossili. Abbiamo bisogno di una politica fossil free».

Global Witness conclude: «L’industria dei combustibili fossili ha un conflitto di interessi fondamentale: finché il loro modello di business dipende ancora dalla vendita di prodotti inquinanti, allora un’azione adeguata sulla crisi climatica è una minaccia per i loro profitti. Semplicemente, i lobbisti dei combustibili fossili non dovrebbero avere un posto nei negoziati sul clima. Proprio come i lobbisti del tabacco sono stati esclusi dai colloqui sulla salute pubblica, dobbiamo cacciare questi inquinatori dalla politica climatica.  Insieme ai nostri partner crediamo che questi risultati dimostrino perché abbiamo bisogno di una politica sul conflitto di interessi   per i negoziati sul clima delle Nazioni Unite che escluda chiaramente le organizzazioni che hanno interessi finanziari o acquisiti che richiedono loro di emettere grandi quantità di gas serra per continuare a massimizzare i profitti. In definitiva, se vogliamo anteporre i bisogni delle persone e del pianeta ai profitti degli inquinatori, abbiamo bisogno di una  politica fossil free».

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