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Liberi e forti di Rosario Amico Roxas

E’ trascorso poco più di un secolo da quel 18 gennaio 1919 quando don Luigi Sturzo lanciò il suo appello agli uomini “liberi e forti”.

| Scritto da Redazione
Liberi e forti  di Rosario Amico Roxas

Liberi e forti  di Rosario Amico Roxas

E’ trascorso poco più di un secolo da quel 18 gennaio 1919 quando don Luigi Sturzo lanciò il suo appello agli uomini “liberi e forti”.

Dopo un secolo scopriamo i novelli (pretesi) eredi del pensiero sturziano che si materializzano in un fantomatico centrodestra  a guida leghista, con supporto   del liberismo berlusconiano e il neo-fascismo  della Meloni,  con identità le più diverse, tenute insieme dalla comune ansietà  di tornare a governare per riproporre  un       liberismo  che si trova agli antipodi del liberalismo, del quale usurpa  la somiglianza nel nome.

Secondo le nuove teorie degli economisti il «liberismo» si distinguerebbe dal capitalismo «liberale» di ieri per il fatto che, mentre rivendica, oggi come ieri, la funzione dello Stato come «capitalista collettivo» al servizio dell'economia nazionale, ripudia lo stato interventista nell'economia privata. Ciò ha come primo risultato lo smantellamento dello stato sociale e la svendita dei servizi pubblici alle imprese private con lo scopo di trasformare quelli che erano considerati costi sociali in occasione di sfruttamento e realizzazione di profitti con relativo aumento dei costi a danno delle fasce più deboli.

La privatizzazione liberista non guarda in faccia nessuno: i servizi fondamentali, cioè  i trasporti, l'istruzione, la salute, l'energia e le telecomunicazioni, tutto ciò che fino a poco tempo fa era considerato, pur se demagogicamente, bene collettivo, viene sottomesso alla logica del mercato.

Non concordo con quanti assimilano liberalismo con liberismo, come se si trattasse di parenti stretti, oppure di discendenza diretta. Il liberalismo si è nutrito di capitalismo, ma nel rispetto delle regole, quando la società civile meritava di essere identificata come “civile”. L’antitesi tra liberalismo e liberismo non nasce in epoca remota, ma si è accentuata con la disgregazione dell’ideale liberale, quando le differenze si fecero tali da porre i loro contenuti in antitesi fra  loro.

Fu Benedetto Croce ad avviare un dibattito tra liberalismo e liberismo, allo scopo di  differenziare le libertà economiche dalle libertà civili, attribuendo alle seconde un rango nettamente superiore alle prime. La distinzione iniziale fu di carattere culturale, ma con dichiarata supremazia delle libertà civili, nel rispetto dell’altrui libertà che non deve essere sopraffatta in nome del mercato.

Il liberalismo perse  i suoi contorni quando fu fagocitato dal nuovo liberismo berlusconiano, che fece scempio della libertà individuale, trasformata in libertinaggio, e del rispetto delle altrui libertà, per dare spazio alla legge del più forte, del  meno dotato di scrupoli, con lo stimolo all’evasione fiscale, con l’abolizione del reato di falso in bilancio, con le turbative d’asta diventate metodo di attribuzione, con la concessione di amnistie, condoni e scudi fiscali, provvedimenti tutti dedicati ad un capitalismo aggressivo, che non ha generato posti di lavoro, stimolo ai consumi, ma solamente guadagni finanziari improduttivi.

Il liberalismo può  (e dovrebbe !) ancora partecipare, a pieno diritto, ad un nuovo risorgimento economico, politico, sociale ed etico, ma deve dialogare con le parti che fin ora sono state identificate come avversari, sollecitando una sempiterna “lotta di classe” a vantaggio della classe più opulenta.

Oggi assistiamo ad una pericolosa e rischiosa ripresa della destra liberista, coordinata nel fantasioso centrodestra; pericolo aggravato dall’indispensabile alleanza  tra FI con la Lega estremista e con FDI di stampo neo-fascista. Le politiche sociali rimangono nell’ombra del disinteresse venendo privilegiate le politiche personalistiche di potere.

Torniamo al documento sturziano, che inadeguate espressioni di una politica di accaparramento vorrebbero fagocitare.  L’esordio del documento non poteva che auspicare «una pace giusta e durevole» dopo la tragica esperienza della prima guerra mondiale. Auspicio che inciampò nel fascismo di Mussolini prima e successivamente nel nazismo di Hitler; ma rimase quell’appello che oggi si sta dimostrando il più attuale e il più urgente. La seconda guerra mondiale coinvolse tutta l’Europa, acquistando, successivamente, una dimensione planetaria che travolse le aspirazioni alla pace tra i popoli. Il documento  secolare di don Sturzo sta dimostrando una grande attualità a fronte, oggi, di una realtà carente di ideali. Il documento indica anche la via da seguire, che consisterebbe «nell’attuare gli ideali di giustizia sociale per migliorare le condizioni generali del lavoro e sviluppare le energie spirituali e materiali di tutti i paesi, uniti nel vincolo solenne della Società delle Nazioni, attraverso un “programma politico-morale”».

Oggi mancano proprio i programmi, si vive alla giornata, seguendo suggerimenti che scaturiscono da sondaggi di opinione incapaci di proiettare la nazione verso il futuro, inseguendo un presente sfuggente e aleatorio, elaborato secondo interessi di parte. Il testo di don Sturzo ha anticipato le risposte che uomini come De Gasperi, Einaudi, Croce seppero dare a una nazione uscita distrutta dalla seconda guerra mondiale. Fu la democrazia liberale con ampie adesioni socialdemocratiche che riuscì a promuovere quello che fu definito «miracolo economico», frutto proprio di una progettualità «politica e morale». Politica, perché capace di sollecitare una ripresa economica generalizzata con investimenti produttivi e la creazione di posti di lavoro; morale perchè il progresso sollecitato coinvolgeva indistintamente tutte le classi sociali. Il liberalismo, per attualizzarsi, necessita di un sistema democratico, ma quando si è affermato, se non sorretto da uomini «liberi e forti», allora scatena interessi individuali, travolgendo i principi liberali e trasformandosi in un liberismo di parte, negatore dello Stato Sociale e degli interessi legittimi delle fasce più deboli e bisognose.

Non è più il momento di cercare scelte politiche che finiscono sempre per agevolare i soliti noti; ormai è il momento delle scelte sociali e morali, da effettuare tramite «Associazioni individuali di scopo», dove lo scopo andrebbe individuato in un programma operativo di sviluppo e di fiscalizzazione in grado di favorire una equa distribuzione delle ricchezze nazionali. Un associazionismo di scopo, effettuato da «uomini di buona volontà», affinché «lo Stato sia la più sincera espressione del volere popolare», capace di una progettualità indirizzata al “Bene Comune” attraverso una capacità dialettica in grado di mediare diverse condizioni ideologiche per promuovere la solidarietà di una sola classe, quella “umana”, esorcizzando le varie “lotte di classe” che hanno fermato il progresso, dilatando la sperequazione economica tra i pochi che possiedono molto e la stragrande maggioranza che manca spesso dell’indispensabile. Sappiamo che il 15% della popolazione italiana possiede il 70% della ricchezza nazionale, e ciò non rappresenta certamente l’espressione del volere popolare  e della tutela del “bene comune”.

Rosario Amico Roxas

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