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MOSTRA ''SOFONISBA ANGUISSOLA E LA MADONNA DELL’ITRIA''

Cremona, Museo Civico Ala Ponzone, 9 aprile – 10 luglio 2022

| Scritto da Redazione
MOSTRA ''SOFONISBA ANGUISSOLA E LA MADONNA DELL’ITRIA'' MOSTRA ''SOFONISBA ANGUISSOLA E LA MADONNA DELL’ITRIA''
Indagare gli anni siciliani di Sofonisba Anguissola, partendo dal suo capolavoro “La Madonna d’Itria”, dipinto per la chiesa del feudo dei Moncada di cui l’artista cremonese era diventata reggitrice. Un’opera per più versi misteriosa, che interpreta in modo originale l’iconografia di origine bizantina della Madonna d’Itria, o più correttamente Hodighitria. Accanto alla pala restaurata, altre testimonianze (affreschi, dipinti su tavola e tela, sculture) provenienti dalla Sicilia, ma anche dal Nord Italia. E' quanto si prefigge la mostra Sofonisba Anguissola e la Madonna dell’Itria, in programma al Museo Civico "Ala Ponzone" di Cremona dal 9 aprile al 10 luglio 2022, presentata oggi in anteprima alla stampa, e che sarà inaugurata venerdì 8 aprile alle ore 17,30. Presente l'Assessore ai Sistemi Culturali del Comune di Cremona Luca Burgazzi, l'esposizione è stata illustrata dal curatore Mario Marubbi, Conservatore della Pinacoteca del Museo Civico "Ala Ponzone".
 

In allegato una sintetica guida della mostra 

 

Cartella stampa e immagini: https://studioesseci.net/mostre/sofonisba-anguissola-e-la-madonna-dellitria/

Il catalogo sarà disponibile successivamente

 
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Il 26 maggio 1573 Sofonisba Anguissola, tra le più intriganti pittrici del Rinascimento italiano, sposava il nobile siciliano Fabrizio Moncada. Dopo anni passati a corte a Madrid come dama di compagnia della regina Isabella e tutrice delle infante, la pittrice cremonese veniva accolta nella piccola corte di Paternò, alle falde dell’Etna, dove iniziava una nuova vita.

Qui restò sino al 1579 quando, deceduto il marito nel corso di un attacco di pirati avvenuto nel mare di Capri, decise di tornare a Cremona. In realtà non vi fece mai ritorno,  travolta da un fulminante amore per il capitano della nave che la conduceva a Genova, si fermò a lungo nella città ligure prima di tornare ancora una volta in Sicilia, ma questa volta a Palermo, dove morirà quasi centenaria.

La sua attività di “Reggitrice” del feudo dei Moncada è ben documentata. Altrettanto non lo è però quella di pittrice in quegli stessi anni.

La mostra “Sofonisba Anguissola e la Madonna dell’Itria”, è attesa al Museo Ala Ponzone di Cremona dal 9 aprile al 10 luglio, da dove poi si sposterà al Museo Diocesano di Catania.

Obiettivo dell’originale esposizione è mettere in luce gli anni passati da Sofonisba a Paternò, prendendo il via da un’opera certa di quel momento, la pala della Madonna dell’Itria oggi patrimonio della chiesa dell’Annunciata di Paternò.

Nel dipinto, di dimensioni considerevoli, l’artista cremonese riassume e aggiorna le trasformazioni iconografiche della Madonna  Ogiditria, modello trasmesso dal mondo bizantino  e presto recepito nelle Isole e nelle regioni  meridionali italiane al seguito delle comunità greche e albanesi giunte dai Balcani. La popolare iconografia che inizialmente propone la Madonna a mezzo busto con in braccio il Bambino Gesù seduto in atto benedicente e che la Vergine indica con la mano destra (da qui l’origine dell’epiteto) si trasforma a partire dal XVI secolo nella complessa figurazione in cui la Vergine sovrasta una cassa lignea portata a spalla da due monaci basiliani (i “calogeri”). Essi fanno riferimento alle leggende  relative al trafugamento e alla messa in sicurezza, entro una cassa, della miracolosa icona che si voleva dipinta dallo stesso san Luca e che a lungo era stata considerata una protettrice dagli abitanti di Costantinopoli, prima della definitiva catastrofe del 1453. Per sottrarla alla furia distruttiva degli Ottomani i monaci che l’avevano in custodia l’avrebbero affidata ai flutti e così sarebbe giunta sui lidi occidentali. Il culto riservato alla Madonna d’Itria raggiunse pertanto grandissima popolarità, e nel corso del XVI secolo chiese a lei dedicate sorsero ovunque in Sicilia e la Madonna dell’Itria venne proclamata Patrona dell’isola.

È accertato che il 25 giugno 1579, Sofonisba, in procinto di lasciare l’isola, abbia donato questa sua opera al convento dei francescani  di Paternò, allora luogo di sepoltura dei Moncada. Da lì è transitata  alla chiesa dell’Annunciata da dove alcun mesi or sono è partita alla volta di Cremona per essere sottoposta ad un integrale restauro.

La mostra propone la pala restaurata, accanto ad altre testimonianze (affreschi, dipinti su tavola e tela, sculture) provenienti dalla Sicilia, ma anche dal Nord Italia, che permettono di seguire l’evoluzione del tema iconografico dall’icona medievale della Madonna Odigitria a quella moderna della Madonna dell’Itria.

La mostra, che si avvale di un Comitato scientifico formato da Donatella Aprile, Gabriele Barucca, Michele Bacci, Gioacchino Barbera, Roberta Carchiolo e Mario Marubbi, conclusa l’esposizione cremonese, sarà riproposta dal 12 agosto al 4 dicembre, al Museo Diocesano di Catania. Ad accompagnarla un approfondito catalogo.

 


 

 

Come, e in che forme, il culto mariano formatosi a Bisanzio è giunto in Sicilia ed ha assunto un rilievo tale da assurgere la Madonna d’Itria a Patrona dell’isola?

Il tema è affrontato dal saggio del professor Michela Bacci e dall’intervento di padre Carmelo Signorello nel catalogo che accompagna la mostra “Sofonisba Anguissola e la Madonna dell’Itria”, mostra allestita al Museo Civico Ala Ponzone di Cremona dal 2 aprile al 3 luglio prossimo.

Si tratta di una domanda del tutto pertinente visto che la mostra cremonese, prendendo spunto dalla grande pala che alla Madonna d’Itria ha dedicato Sofonisba Anguissola, focalizza la sua attenzione proprio su questa particolare iconografia mariana.

Il culto per la Vergine origina con l’inizio di quello per suo figlio Gesù. E antico è il desiderio di conoscere il vero volto, ovvero le sembianze terrene, di Maria.

La tradizione vuole che uno degli Apostoli, San Luca l’evangelista, sia stato anche un pittore e abbia raffigurato il volto della madre di Gesù, essendole stato vicino. Un ritratto dal vero, quindi. E perciò oggetto di grandissimo culto, modello iconografico per ogni successivo volto di Maria. Giunta a Costantinopli, la grande icona mariana attribuita a Luca, divenne oggetto di venerazione e ad essa si riconobbero poteri taumaturgici, affidandole la protezione della città. La Vergine vi appariva a mezza figura nell’atto di reggere il Bambino sul braccio sinistro, con sullo sfondo la scena della Crocefissione.

Ogni martedì – ricorda nel suo saggio il professor Bacci – l’enorme icona veniva condotta in processione per le vie di Costantinopoli, calamitando folle di fedeli. Alla fine della processione e della veglia di preghiera, l’effige veniva caricata sulle spalle di un uomo bendato che, tendendo le braccia, assumeva con il suo corpo la forma di una croce: “costui non poteva, davvero, dirsi un portatore, giacché il peso sarebbe stato tale da impedire qualsiasi movimento, se non fosse intervenuta una forza divina”.

La stessa raffigurazione di questa “azione”, divenne soggetto di altre icone che, insieme con i racconti dei cronisti, ampliarono l’eco della miracolosa immagine in tutto il mondo bizantino.

Nonostante la fede nella protezione mariana, il 29 maggio del 1453 Maometto il Conquistatore si impadronisce di Costantinopoli e distrugge l’icona. Questa forma di culto migra con naturalezza verso l’Occidente, radicandosi profondamente a Roma dove specialmente durante la crisi iconoclasta molte icone avrebbero trovato riparo scampando così alla loro distruzione.

Nel meridione d’Italia, segnatamente in Sicilia, Puglia e Sardegna, ma anche in Calabria, dove la cultura greca era già significativamente presente, il terreno era dunque ben pronto per accogliere un seme che avrebbe portato frutti ancora più copiosi”, sottolinea in catalogo padre Carmelo Signorello. “Le cause che determinarono l’arrivo in Sicilia dell’icona di Santa Maria Odigitria, per molti secoli sono state spiegate con varie versioni. È certo comunque che sin dal periodo iconoclasta (soprattutto 730-787) numerose repliche di questa icona, insieme a una schiera di monaci iconoduli che vollero salvarla dalla furia incontenibile dei distruttori delle sacre immagini, raggiunsero le regioni dell’Italia meridionale. Poi la seconda migrazione di monaci ortodossi, fuggiti tra il XV e XVI secolo dai Balcani e dalla Grecia, ancora con il prezioso carico delle loro venerate icone, ma per salvarle stavolta dall’invasione ottomana, riparando nuovamente nel meridione d’Italia, contribuì a diffonderne ulteriormente il culto in quel territorio culturalmente affine alla loro terra di origine. Così specialmente in Val Demone, nel ricco dedalo di chiese rupestri e rurali, eremi e cenobi, monasteri e archimandrie, il culto mariano di provenienza greca trovò quelle felici contaminazioni con i culti locali preesistenti, che tuttora sono ben vive nelle molte forme della pietà popolare”.

Nell’Isola, la devozione alla «Madonna di Costantinopoli», denominata semplicemente Madonna Odigitria (titolo abbreviato Idria o Itria) si collega ad una precisa iconografia. Quella dei due anziani monaci (evidentemente basiliani) che trasportano sulle spalle una cassa, resa più leggera dall’intervento di due angeli, su cui appare maestosamente assisa la Madre di Dio che mostra il Bambino (la Via), incoronata da angeli in volo e accolta nel luogo deputato al suo culto da una rappresentativa folla di clero e popolo — di volta in volta santi protettori e dignitari vari — con evidenti atteggiamenti di stupore e venerazione”.

Proprio come ha voluto raffigurarla Sofonisba Anguissola nella grande pala in mostra.

 

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