Venerdì, 29 marzo 2024 - ore 16.51

Pianeta Migranti. L’esperienza di Ipsia (ong delle Acli) sulla rotta balcanica.

La città di Bihać, in Bosnia Erzegovina, porta principale verso l’Europa, ospita cinque campi superaffollati di migranti. Quello di Bira è il peggiore di tutta la Bosnia. Qui, lavora Ipsia- Acli. Secondo l’Unhcr, oggi, tante persone non hanno accesso al campo e vivono all’aperto, nella neve.

| Scritto da Redazione
Pianeta Migranti. L’esperienza di Ipsia (ong delle Acli) sulla rotta balcanica. Pianeta Migranti. L’esperienza di Ipsia (ong delle Acli) sulla rotta balcanica. Pianeta Migranti. L’esperienza di Ipsia (ong delle Acli) sulla rotta balcanica.

Pianeta Migranti. L’esperienza di Ipsia (ong delle Acli) sulla rotta balcanica.

La città di Bihać, in Bosnia Erzegovina, porta principale verso l’Europa, ospita cinque campi superaffollati di migranti. Quello di Bira è il peggiore di tutta la Bosnia. Qui, lavora Ipsia- Acli. Secondo l’Unhcr, oggi, tante persone non hanno accesso al campo e vivono all’aperto, nella neve.

 “Nei capannoni di una vecchia ditta abbandonata, tra muri scrostati o forati e scarsa illuminazione, i migranti dormono a gruppi di 120 per tenda, mentre a famiglie e minori è riservata un’ala con dei container da sei posti ciascuno. Complessivamente nel centro – aperto dall’ Organizzazione mondiale delle migrazioni per cercare di tamponare una situazione di emergenza al confine tra Bosnia e Croazia – sono ospitati oltre 2mila persone, molti di più rispetto alla capienza massima prevista.

Ci troviamo a Bihać, capoluogo del cantone dell’Una-Sana, alla frontiera nord della Bosnia ed Erzegovina, confine caldo d’Europa. È da qui che passa la rotta bosniaca, la via percorsa dai migranti che tentato di aggirare l’irrigidimento dei controlli lungo il confine serbo-croato e serbo-ungherese. Stando ai dati ufficiali dell’Organizzazione mondiale delle migrazioni sono stati 24mila i migranti in transito in Bosnia nel corso del 2018 e la maggior parte di loro ha cercato di passare il confine a nord puntando verso Bihać e Velika Kladuša. Sono per lo più uomini e ragazzi soli, provenienti da Pakistan, Afghanistan e Iran e, in misura minore, da Marocco, Tunisia e India, ma ci sono anche famiglie siriane e irachene con bambini piccoli. I migranti a Bihać, arrivano in bus o a piedi, nonostante il freddo e la neve che ricopre le montagne e aspettano il momento buono per attraversare il confine. C’è chi ci prova da solo, magari facendosi aiutare dalle mappe sullo smartphone e dai consigli di chi è già passato di lì, e chi invece, si affida ai trafficanti, il cui mercato non è mai stato così florido da queste parti.

I migranti lo chiamano “game” (gioco) perché, per la maggior parte di loro, il tentativo si conclude nel punto esatto da cui sono partiti. Un macabro gioco dell’oca che spesso porta con sé danni fisici e psicologici.

 “Chi torna al campo di Bira è spesso ferito, soprattutto ai piedi, con escoriazioni, tagli, principi di congelamento”, confida Selam Midžić, segretario locale della Croce Rossa. Colpa delle ore passate nei boschi, dell’attraversamento del fiume Una, ma anche dei respingimenti collettivi da parte della polizia croata: una prassi vietata dalla legislazione europea, ma praticata qui come in altre frontiere. Proprio nel campo di Bira, Ipsia-Acli è riuscita ad aprire un Social Café che serve ogni giorno oltre quattrocento tazze di Caj, il té come viene chiamato lì. Il Social Café è l’unico spazio dentro al Bira dove è concesso di stare tranquillamente, di sedersi e chiacchierare. Si tratta di un presidio dove sai di poter essere ascoltato. Secono Silvia Maraone, projet coordinator di Ipsia, è un servizio fondamentale per aiutare i migranti a mantenere la loro dignità. “Non si tratta di dare una tazza di té, ma di riconoscere gli individui come persone”.

www.ipsia-acli.it 

Con l’arrivo dell’inverno nel campo-discarica di Vucjak, sempre a Bihac, i migranti vivono all’aperto in un pantano di fango e neve. E per di più sono anche maltrattati. Due settimane fa, un profugo è rimasto ucciso da un colpo partito accidentalmente mentre alcuni agenti inseguivano una colonna di stranieri nella boscaglia. A ottobre un ragazzo afgano, a cui gli agenti avevano sequestrato le scarpe prima di rispedirlo in Bosnia, è morto dopo che entrambi i piedi sono andati in cancrena.

Questa è la civile Europa!

 

 

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