Venerdì, 03 maggio 2024 - ore 21.19

Pluralismo e relativismo. RAR

L’incontro tra Papa Francesco e il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha segnato un grande passo avanti, specialmente nell’immagine di Papa Francesco.

| Scritto da Redazione
Pluralismo e relativismo.  RAR

Nel Suo intervento  di benvenuto al Presidente, ha accennato, ma senza troppa enfasi, al pluralismo antropologico che merita il rispetto e l’accoglimento. Questo frasario, finalmente diverso, da parte del Sommo Pontefice, ci appare come un pronunciamento fino ad oggi evitato, perché si scontra frontalmente con la polemica anti-relativista del Suo predecessore, oggi “Papa emerito”  a seguito delle dimissioni.

Entrare in rotta di collisione nel ridimensionamento dell’anti-relativismo di Ratzinger, rappresenta la prima valutazione in contrasto con il predecessore, cosa fin qui evitata per non suscitare polemiche interne nel mondo cattolico. Ma, evidentemente, il nuovo è più intenso rapporto con la base cattolica, ha incoraggiato Papa Francesco a pronunciarsi, anche se con parole riservate più agli addetti ai lavori, mentre alla base cattolica Papa Francesco ha riservato la Sua testimonianza quotidiana, molto più comprensibile e assimilabile dalle masse cattoliche più rivolte alla Fede che ai ragionamenti filosofici.

Il pluralismo, per esistere e resistere non può che rifarsi al relativismo, con l’accoglimento delle differenze e l’esaltazione delle analogie, privando e contraddicendo le pretese di primati dotati della vocazione di ergersi al di sopra delle altre culture e religioni, generando divisioni e contrasti che, nei secoli, sono sfociati in scontri violenti,   come sta tornando ad accedere.

L’antropologia e la sociologia fanno del relativismo l’elemento culturale portante di ogni possibile elaborazione, con il perentorio invito a riconoscere tutte le culture e le religioni, come “altre”  e non  come avversarie. L’esempio storico dell’anti-relativismo ci viene da quel “Mein kampf” di Hitler che, in nome della superiorità della razza ariana, scatenò la seconda guerra mondiale e l’olocausto di sei milioni di ebrei.

Ciò che abbiamo letto in quel “Senza radici” scritto a quattro mani da Marcello Pera e dall’allora cardinale Ratzinger è l’esaltazione del cristianesimo come unica religione, e l’Occidente come suo erede naturale.

I risultati sono ancora analizzabili e enumerabili con una tragica conta dei morti, colpevoli solo di professare la religione cattolica.

Ratzinger ha voluto capovolgere  i momenti storici, dell’affermazione ed evoluzione del cristianesimo, quando i cristiani venivano dati in pasto ai leoni; con le affermazione del primato culturale e religioso del cristianesimo e  sociale dell’Occidente, ha voluto dare i leoni in pasto ai cristiani, in nome e per conto di una pretesa superiorità culturale e religiosa.  Gli esempi a testimonianza di una tale aberrante condizione sia culturale che religiosa, da parte del “papa emerito”, non mancano: dalla lectio magistralis di Ratisbona, al blasfemo battesimo in mondo visione dell’apostata Magdi Allam, la notte che ricordava al mondo cattolico la Resurrezione di Cristo, fino al commento/presentazione al libercolo di Pera (personaggio fatalmente scomparso dallo scena culturale italiana), nel quale paragonava i cristianesimo al liberismo (in omaggio al pupillo Berlusconi), dichiarando, inoltre l’impossibilità di ogni dialogo interreligioso con il mondo islamico.

Ciò che Ratzinger ha trascurato è la presenza dell’uomo nella storia. L’uomo, dentro la sua dimensione, ha preceduto la storia e ne è stato l’artefice, ha preceduto il linguaggio e ne ha fatto un valore di incontro, ha preceduto le religioni, raggiungendo, dopo secoli e millenni di tentativi, il convincimento di un  Dio Unico, Creatore e Dominus, e ciò appartiene a tutti gli uomini.

Con una frase, apparentemente messa lì come dialettica del momento, Papa Francesco ha demolito l’intero pontificato di Ratzinger, facendoci anche capire come quelle discusse dimissioni non rappresentarono altro che il riconoscimento del totale fallimento di una cultura pan germanica  e di una teologia di stampo medievale, cronologicamente non oltre le crociate e l’Inquisizione.

Se non è facile, e forse nemmeno possibile, delineare una storia precisa della sociologia cristiana, tuttavia si possono fare interessanti e utili rilievi su questa materia. Il primo è di carattere geografico; mentre nell’Occidente-Europa la sociologia di matrice religiosa si è sviluppata soprattutto in campo cristiano, nell’Occidente-America, terra promessa della sociologia, non si può dire che in questo settore di studi sia all’avanguardia. E’, inoltre, utile ricordare che la sociologia come scienza non è più di idee ma di fatti (crf. F. Barbano, Teoria e ricerca…, Milano, 1955); l’indagine religiosa è stata condotta e dominata dalle ricerche sull’ambiente familiare, sul posto di lavoro, sullo stato dei gruppi di minoranze etniche, linguistiche o culturali, sull’insegnamento religioso nelle scuole.

La sociologia religiosa ha privilegiato il terreno delle pratiche pie, ma con l’evoluzione del pensiero sociale della Chiesa l’interesse ha coinvolto altri settori della ricerca sociologica con implicazioni di ordine etico nella società laica.

Il sociologo cristiano si trovò a dover esaminare altre vie, connesse e interdipendenti, a quella prioritaria delle pratiche religiose. Innanzitutto dovette prendere atto delle relazioni dell’organismo sociale della Chiesa con la complessità della società; dovette, quindi, analizzare da una parte l’inserimento della Chiesa nella società moderna e dall’altra l’influenza esercitata sulla Chiesa dalle diverse condizioni e dai vari fattori del mondo sociale, c’è, infatti: “… una stretta interdipendenza tra il sacro e il profano, fra il tutto sacro e il tutto profano” (Guarlert Th. M. Steeman, La conception de la sociologie religieuse chez Gabriel Le Bras, in Social Compass, Vol.VI n. 1, Parigi, 1956)

Con l’orientamento attuale, inaugurato con il Concilio Ecumenico Vaticano II, si deve tener conto del fatto che

“…se la religione vive nel cuore degli uomini, ogni religione positiva nasce e si sviluppa all’interno di una società che influenza nelle forme e nei contenuti” (Cfr. G. Le Bras, Etudes de Sociologie Religueuse”, in Social Compass, vol. VI n. 1 Parigi 1956).

Questa constatazione, pur se del 1956, rimane estremamente attuale, in quanto sottolinea la necessità di affrontare e risolvere, per quanto possibile, la problematica dell’interazione tra Chiesa e Società, tra Stato e Chiesa, tra Religione e Organizzazione della vita civile.

Ma l’appartenenza religiosa acquista diverso significato a seconda della società a cui si riferisce; alla diversità delle Società corrisponde una differenza anche della religione positiva che vi si associa. Si comprende, così, il tipo di influenza che l’Islam esercita nelle nazioni arabo-musulmane, lì dove la priorità della religione influenza, a volte positivamente ma a volte negativamente, l’itinerario dello sviluppo sociale. Sembrano maturi i tempi di allargare gli orizzonti della sociologia religiosa e di cercare l’esplorazione degli immensi problemi che ruotano intorno ai rapporti tra Fede e mondo moderno.

L’intensità di pressione sul mondo moderno da parte della sociologia cristiana si è attenuta, rivolgendosi prevalentemente agli aspetti sociali che contengono problematiche umane che esigono la presenza di valori più specificatamente di ordine religioso, quali la solidarietà verso i più deboli, la formazione di uno Stato Sociale in grado di mitigare le differenze tra ricchi e poveri Da parte cristiana c’è una importante apertura al dialogo sociologico con le altre religioni, specie a seguito del Concilio, ciò è ampiamente dimostrato da importanti documenti pontifici che hanno puntualizzato non pochi sviluppi avvenuti nella dottrina sociale della Chiesa; l’evoluzione sociale della Chiesa è stata e continua ad essere importante, anche se rimane statica la dottrina teologica.

Rosario Amico Roxas

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