Domenica 27 maggio 2012, alle ore 10
Presso il bosco del Micio a Pontirolo di Drizzona (CR) (dove ha sede la Lega di Cultura di Piadena) si è tenuta, alla presenza dell'autore,la presentazione del libro di Paolo Rabitti “Diossina. La verità nascosta”
L'iniziativa è stata organizzata dalla Lega di Cultura di Piadena, e dal Coordinamento dei Comitati contro le autostrade Cr-Mn e Ti-Bre. Un supertecnico indipendente indaga su Seveso e la sua eredità di bugie
“Paolo Rabitti è di monito per tutti: Un cittadino indignato e competente che lotta per il Bene Comune” (dalla prefazione di Salvatore Settis)
Di seguito
la recensione del libro da parte di
Gian Antonio Stella
Corriere della Sera - 17 maggio 2012
Cavalli di razza
Il cacciatore di diossina
Un ingegnere ambientale ha seguito per anni il percorso dei veleni di
Seveso. Un viaggio esemplare. Eticamente inquietante
«Anche quel Natale arrivò la bottiglia del pregiato brandy spagnolo che la
Sandrina mandava tutti gli anni a mia moglie, il suo medico di famiglia».
Comincia così, come un giallo, il libro Diossina. La verità nascosta, che
racconta la misteriosa sparizione dei veleni di Seveso.
L’autore non è una bella bionda incasinata, non gira in minigonna e non ha
il fascino di Julia Roberts nei panni di Erin Brockovich nel celeberrimo
film omonimo. Paolo Rabitti, soprattutto, non è un dilettante di genio ma un
«cacciatore di nefandezze» con due lauree in ingegneria e urbanistica
specializzato in reati ambientali e consulente di vari magistrati che
seguono le inchieste più scottanti. Ma la storia che racconta è non meno
serrata e appassionante. Tutto cominciò, appunto, nella lunga indagine sul
percorso seguito dai veleni portati via dopo lo scoppio del ’76 alla Icmesa
di Seveso, la «Chernobyl brianzola », da quel brandy che Sandrina, una
vecchia partigiana, aveva voluto fosse consegnato come ogni Natale a Gloria
Costani, la moglie di Rabitti, anche dopo la sua morte per un sarcoma alle
parti molli, tumore rarissimo dovuto solo alla diossina. «Sono preoccupata»,
disse quella sera la donna al marito. «Ci sono dei condomini in cui in ogni
appartamento c’è un caso di tumore». «Voglio vederci chiaro», rispose lui.
ALLE PORTE DI MANTOVA. Da allora giorno dopo giorno, anno dopo anno, il
super-tecnico non ha smesso di interrogarsi: com’era accaduto che nei
quartieri Virgiliana e Lunetta-Frassine di Mantova, a ridosso dell’area
industriale, fossero morte per quel cancro rarissimo più persone che a
Seveso?
La risposta, non essendo un giallista ma uno scienziato (e soprattutto una
persona seria), Paolo Rabitti non la dà. Ma mette in fila tutta una serie di
dati, numeri, «curiosità», coincidenze raggelanti che denunciano i silenzi,
l’omertà, la sciatteria, l’approssimazione di una storia esemplare che aiuta
a capire questa e mille altre storie simili. Basti pensare, dice l’autore in
un’intervista, che «la commissione della Regione Lombardia stilò un rapporto
secondo il quale “sembra” che parte delle 1.600 tonnellate di materiale
asportato dalla fabbrica dopo il disastro venne smaltita in un inceneritore
del Mare del Nord, inceneritore che però non fu indicato. Scrisse proprio
così: “sembra”». Il resto del materiale, cioè 41 fusti di diossina e
triclorofenolo, «fu affidato a tale Bernard Paringaux, persona che si disse
legata ai servizi segreti e che avrebbe dovuto smaltirli in una discarica
controllata in Francia». Poi saltò fuori che «erano stati smaltiti
probabilmente vicino alle ex miniere di sale della Ddr. Probabilmente».
Fatto sta che «nessuno sa dove siano finiti». È da lì che, come un segugio,
Rabitti ha annusato la pista e seguito gli indizi: per quale dannato motivo
«chi abitava vicino all’inceneritore di Mantova aveva una probabilità ben
trenta volte superiore al resto della città di sviluppare il sarcoma?». Ed
ecco l’ipotesi: forse aveva ragione quel vecchio operaio che nel 2002, dopo
un’assemblea dei Ds, volle togliersi un peso e si confidò col primo
cittadino mantovano Gianfranco Burchiellaro. «Caro sindaco», sospirò, «prima
di morire devo dirlo a qualcuno: nell’inceneritore abbiamo smaltito la roba
di Seveso».
ECONOMIA SENZA SCRUPOLI. Quella di Rabitti, scrive nella prefazione
Salvatore Settis, è la denuncia «di un cittadino ben deciso a difendere gli
altri cittadini. Che ha ben chiara l’assoluta priorità del bene comune sul
profitto dei privati. Che vede questo valore calpestato da un’economia di
rapina pronta a tutto (anche la menzogna, anche il delitto) pur di
affastellare guadagni». Un cittadino che cominciò a capire un giorno in cui
osservò gli alberi del suo giardino: «Era il mese di maggio. E dagli alberi
cadevano le foglie».
Gian Antonio Stella
17 maggio 2012 (modifica il 18 maggio 2012)