Martedì, 30 aprile 2024 - ore 08.14

Referendum 17 aprile: dalla parte dei territori di Marco Pezzoni (Cremona)

Perchè questo referendum non è una bufala, come afferma Matteo Renzi. Perchè non è una pretestuosità, come ha scritto Giorgio Napolitano. La mia previsione è che il quorum non verrà raggiunto e il “cinismo di Stato” segnerà un nuovo successo, dopo quello dell' imposizione alle regioni e ai territori di nuovi inceneritori

| Scritto da Redazione
Referendum 17 aprile: dalla parte dei territori di Marco Pezzoni (Cremona) Referendum 17 aprile: dalla parte dei territori di Marco Pezzoni (Cremona)

Robert Dahl, uno dei maestri del pensiero politico moderno, già presidente dell'Associazione americana di scienze politiche, ha lasciato una lezione fondamentale per la democrazia occidentale e non solo: in una società complessa, tanto più in tempo di crisi, le riforme e lo sviluppo civile ed economico hanno bisogno di un protagonismo diffuso dei territori, insieme ad una regia centrale.  Uno Stato che vuole sviluppare benessere e diritti deve imboccare la strada del policentrismo e non quella della sola centralizzazione dei poteri. Le scorciatoie decisionistiche sono funzionali a rafforzare le oligarchie, ma una società per crescere deve poter contare su una democrazia diffusa, una democrazia ascendente,  accanto a quella discendente del Governo centrale. Questo processo di allargamento e approfondimento della democrazia Robert Dahl  chiama “poliarchia” versus “oligarchia”.

In Italia questa corrente di pensiero, nella quale mi riconosco, viene portata avanti da Biennale Democrazia di Torino, intitolata a Norberto Bobbio.

A livello internazionale uno dei suoi sostenitori di punta è l'inglese David Held che si misura con gli attuali processi di globalizzazione.

Ebbene la posta in gioco al referendum del 17 aprile sulle piattaforme in mare è anche questa: oligarchia contro poliarchia, “supremazia” del centralismo statale  e negazione o riaffermazione del ruolo delle regioni e dei territori,  liberismo contro regolazione del mercato.

Non c'è dubbio che il significato principale del referendum sulle piattaforme in mare entro le 12 miglia sia la scelta sulla transizione energetica in Italia: tra il modello esistente di sfruttamento delle fonti fossili, gas e petrolio, o l'accelerazione della  scelta preferenziale per le energie rinnovabili.

Il poco confronto pubblico che si è potuto sviluppare è stato su questo terreno: la coerenza o meno con le scelte strategiche del Summit mondiale di Parigi sul clima che ha chiesto ad ogni Paese l'impegno  alla decarbonizzazione delle economie, cioè al superamento progressivo ma deciso delle fonti fossili, cioè di carbone, petrolio e gas in quanto climalteranti e produttori di CO2.

Si è parlato di occupazione e di rischi di disoccupazione in modo molto parziale, dimenticando di fare un bilancio complessivo che responsabilmente un Governo dovrebbe fare visto che la ristrutturazione del settore energetico è comunque un processo inevitabile, che la riconversione ecologica dell'intera economia italiana ed europea è ormai avviata, che ritardare questo cambiamento per tenere in piedi un vecchio modello di sfruttamento dell'energia comporta e comporterà una perdita ben più grande di posti di lavoro. Si è permesso alla Fiat di ristrutturarsi, si chieda all'ENI di ristrutturarsi ricollocandosi più velocemente sulle nuove frontiere delle energie rinnovabili. Si vedrà così che i posti di lavoro complessivi addirittura aumenteranno.

In Italia, in questi ultimi anni i sussidi alle fonti fossili sono stati ben maggiori che gli incentivi alle energie rinnovabili, provocando in questo secondo settore una forte caduta occupazionale  di cui il Governo e il ministro Galletti  dovrebbero ben conoscere i dati.

Non solo: il primo ministro Renzi ha opportunamento ricordato che l'Italia è dentro un sistema di economia globale e che le multinazionali in Italia hanno oltre un milione di posti di lavoro. Si è però scordato di dire che la sua scelta di penalizzare in modo retroattivo le energie rinnovabili in questi 2 anni ha provocato una secca caduta di investimenti in questo settore, cancellato migliaia di posti di lavoro, sconcertato gli stessi mercati mondiali.

Ma veniamo al punto più interessante dal punto di vista del funzionamento della nostra democrazia: perchè per la prima volta nella storia d'Italia sono le Regioni a promuovere un Referendum in base all'articolo 75 della Costituzione. E perchè il Governo nega valore al contenuto del loro quesito, arrivando a truccare la partita sia collocando la votazione in una data assai ravvicinata, sia invitando a non votare con l'obiettivo di far fallire il raggiungimento del quorum.

L'avvio della procedura referendaria parte dal fatto che nove Regioni italiane si sono viste cancellare dal Governo, nella Legge di Stabilità 2014,  il loro ruolo di avere voce riguardo al termine dello sfruttamento di idrocarburi nei mari che le bagnano.  Dal fatto che addirittura il Governo ha rinunciato ad avere regole certe sulla dismissione delle piattaforme di gas e petrolio entro le 12 miglia, delegando completamente alla Società titolare della concessione del giacimento la decisione se e quando considerarlo esaurito.

Dunque un “bonus” a queste Società che, invece di rispettare la scadenza delle concessioni, potranno a loro piacimento rinviare nel tempo i costi del ripristino ambientale e dello smantellamento delle piattaforme.

Un bel regalo, non c'è che dire. Ma soprattutto una misura “liberista” che contraddice la migliore giurisprudenza italiana ed europea.

Lo strumento giuridico della concessione rientra nelle strette competenze di uno Stato   che intende regolare il mercato in una materia, quello dello sfruttamento di idrocarburi, riguardante un bene pubblico perchè il bene estratto dal mare o dalla terraferma, sia esso gas o petrolio, è un bene comune e non un bene privato, dunque appartiene alla comunità e non all'azienda che lo estrae.

Per questo l'azienda deve richiedere una concessione che viene decisa e poi rilasciata dalle Istituzioni, in quanto rappresentanti dei diritti e degli interessi dell' intera comunità nazionale.

Ma perchè allora il Governo ha abdicato a questo suo preciso compito, rinunciando a regolare la parte conclusiva dello sfruttamento dei giacimenti ?     

Le nove Regioni, al contrario del Governo, richiedono il ripristino della logica giuridica della concessione, in piena coerenza con il principio che è lo Sato a fissare le regole del mercato e non il contrario. In piena coerenza con le concezioni più moderne e democratiche che le Regioni non sono altro rispetto allo Stato, ma sono sue articolazioni.

Non interessa qui se ci siano rivalità politiche tra Renzi e il presidente della Regione Puglia Emiliano. Ci saranno anche.

Le Regioni italiane hanno molti difetti e sicuramente il regionalismo italiano ha bisogno ben più di un “tagliando”.

Ma questa volta le 9 Regioni pongono una questione rilevante che riguarda l'intero sistema politico-istituzionale italiano, quando invece avrebbero dovuto porselo Governo e Parlamento.

Il dato più rilevante è che nel caso del quesito referendario del 17 aprile sono le 9 Regioni a svolgere un ruolo di supplenza rispetto allo Stato centrale che ha rinunciato ad un ruolo fondamentale di controllo su un bene-risorsa che non può appartenere alla sola  sfera privata.

Dunque nove Regioni e nove Consigli regionali hanno ritenuto che, in quanto articolazioni dello Stato e in quanto Istituzioni prossime ai problemi di sfruttamento energetico nei mari che appartengono ai territori che li eleggono a rappresentarli, fosse loro responsabilità richiedere e proporre regole precise nell'interesse pubblico.

La risposta del Governo non è stata e non è all'altezza di questi nodi istituzionali e democratici che rimarranno irrisolti anche dopo l'esito referendario, comunque vada.

La concezione ottocentesca della “supremazia” del centro verso i territori risponde più a una logica muscolare che di governance aperta e intelligente. Per questo si vota a sicuro fallimento sul piano di uno  sviluppo economico e civile davvero innovativo. Può forse avere un momentaneo consenso in larghe componenti conservatrici e  conformiste della società italiana, ma con la sola alleanza degli interessi tradizionali dell'economia e della finanza e “ingessando” i territori, la via del cambiamento sarà più lontana se non impossibile.

La mia previsione è che il quorum non verrà raggiunto e il “cinismo di Stato” segnerà un nuovo successo, dopo quello dell' imposizione alle regioni e ai territori di nuovi inceneritori. Questo però renderà più aspro, duro e conflittuale il confronto sulla riforma della Costituzione e sul refrendum prossimo venturo.  

Marco Pezzoni (Cremona)

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