Venerdì, 19 aprile 2024 - ore 02.32

Rifare l'Italia? Sì, ma non così.|A.Ermanno

Grande trionfo della centro-sinistra italiano

| Scritto da Redazione
Rifare l'Italia? Sì, ma non così.|A.Ermanno

Ma evitiamo di mettere le riforme nelle mani di un giacobinismo subalterno e frettoloso.

Il PD renziano trionfa. E questo trionfo, inatteso da tutti, soprattutto dai sondaggisti, fa tirare un sospiro di sollievo anche quelli che, come noi, mai sono stati "renziani". Respiro di sollievo, dunque, sia perché il "Giaguaro" è stato finalmente "smacchiato", come nota Bersani, sia perché il Paese ha evitato un éclat populista che sarebbe servito solo alle classi dirigenti per scaricare le proprie responsabilità. Lo fanno spesso, quando la situazione si fa difficile.

Il premier Renzi ha commentato i risultati elettorali elogiando l'Italia che si è dimostrata "più forte delle sue paure" e che ha saputo sconfiggere la rabbia con una dose doppia di speranza. La speranza e la paura: binomio non propriamente nuovo, se pensiamo all'inizio della divina Commedia che riserva alcuni importanti versi alla figura della "lupa" e allo sguardo "pauroso" di quella bestia, talmente terrorizzante da far smarrire al sommo poeta la "speranza" del buon esito.

La lupa dantesca è una fiera "carca" di ogni insaziabilità, orrendamente magra, che "molte genti fé già viver grame". E il sommo poeta aggiunge: che mai non empie la bramosa voglia, e dopo 'l pasto ha più fame che pria (Inf. I, 98sg).

Ebbene, vogliamo sperare che il "renzismo" non si riveli anch'esso – come altri già – un fenomeno politico figlio della lupa dantesca. Vogliamo sperare che l'establishment italiano, di cui il renzismo è espressione, non approfitti ora della situazione di vantaggio per tirare la coperta dalla sua parte. Sarebbe la prima volta?

L'insperato trionfo sancito dal popolo italiano nelle urne significa che la ricchezza va ora redistribuita in modo più equo, come evidenzia la maggioranza assoluta del consenso "a sinistra". Sarebbe una presa in giro pericolosa per tutti se, alla fine, la forbice dell'ingiustizia aumentasse invece di diminuire.

William Blake, Virgil saving Dante  from the three beasts, particolare

Perciò, attenzione alla lupa, ragazzi. Ché non verseremmo nella miseria in cui siamo, né in Italia né in Europa né nel mondo, se sul meccanismo delle decisioni politiche, costantemente, non agisse un'appetizione capace a volte di silenziare la voce della ragionevolezza e della coscienza.

Tutti sanno che la dinamica "appetitiva" – per cui i ricchi usano la loro ricchezza al fine di diventare sempre più ricchi rendendo, dunque, i poveri sempre più poveri – ha un nome: decadenza. Eppure, poche decisioni politiche, poche strategie mediatiche e non moltissime "narrazioni" culturali riescono a sottrarsi all'egemonia dell'appetizione, cioè dell'avidità, cioè della decadenza. Come mai? Ma perché l'appetizione è una forza storica reale, che la ragione incontra grandi difficoltà a imbrigliare e che, se lasciata libera di scatenarsi, traligna in tracotanza: "e dopo 'l pasto ha più fame che pria".

Attenzione alla lupa, dunque. La crisi finanziaria globale e quella dell'Euro sarebbero già risolte – e anzi non avrebbero nemmeno avuto luogo – se non fosse sempre attiva una tendenza allo sbilanciamento tra facoltà appetitiva e facoltà razionale.

La questione dell'autonomia della politica è anche questione dell'autonomia della ragionevolezza dall'avidità. Questione drammatica. Perché, per esempio, chiunque vede come per vent'anni s'è destrutturato lo stato sociale, delocalizzata l'economia industriale, sbrigliata la finanza speculativa… Sicché ora la famelicità è scatenata come non mai. E bisognerà vedere se, chi e come riuscirà a domarla. Possono riuscirci gli strapagati termitai della politica e della burocrazia, affetti da turbo-corruzione doppia, interna ed esterna? È lecito dubitarlo.

 In questo senso, urgono le riforme. Riforme della Pubblica amministrazione, della Giustizia e del Lavoro. Urgono, per "redistribuire" un minimo di giustizia sociale che faccia respirare la nazione. Senza contare l'esigenza di dare al Paese una legge elettorale equa, dopo l'abrogazione del "porcellum" da parte della Consulta e in seguito alle azioni legali di valenti giuristi come Felice Besostri, Aldo Bozzi e Claudio Tani.

Ma sarà necessario incidere anche e in modo strutturale sui fondamenti istituzionali e costituzionali della Repubblica. Qui si decide in ultima analisi il ritorno alla Politica intesa in senso alto e nobile, come ragionevolezza che sa debellare l'avidità.

Ciò premesso, la questione è così riassumibile: riusciranno i nostri eroi a "rifare l'Italia", per usare la formula turatiana rievocata da Matteo Renzi nella conferenza stampa della vittoria?

Ovviamente, a questa domanda non si può rispondere prescindendo dal "come" delle riforme costituzionali, laddove l'avidità dell'establishment tende invece a portare il dibattito sul merito, a trasformare il merito in tafferuglio e a pilotare, facilmente, la decisione sulla base di meri rapporti di forza, per altro "trasformabili" a piacere.

È allora allarmante constatare come il governo intenda procedere in quest'ambito, con il rischio o di assurde imperizie o anche di un nulla di fatto finale. È, inoltre, allarmante che la decisione sulle riforme venga reclusa in un parlamento di "nominati" e per giunta su base maggioritaria. L'Italia – ribadiamolo – è una Repubblica d'impianto costituzionale "proporzionalistico", che è quindi assolutamente incauto voler trasformare in senso maggioritario senza ridefinire accuratamente un sistema dei controlli e dei contrappesi, tanto più se s'intende transitare verso un parlamento monocamerale.

E allora, repetita iuvant, occorre evitare di mettere il potere di decisione sulle riforme nelle mani di un giacobinismo partitocratico subalterno, frettoloso e arbitrario. Sarebbe più ragionevole sottrarre la complessa materia alle turbolenze parlamentari, chiamando invece il popolo a eleggere su base proporzionale una Commissione costituente cui affidare la riscrittura delle regole di base.

Il tempo impiegato alla fine sarebbe lo stesso. E l'intero processo politico potrebbe svolgersi, da qui al 2018, in modo più stabile, lineare e controllabile sul piano democratico.

Fonte: L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

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