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Un futuro senza rifiuti plastici? Con la chimica (forse) si potrà

Un futuro senza rifiuti plastici? Con la chimica (forse) si potrà

| Scritto da Redazione
Un futuro senza rifiuti plastici? Con la chimica (forse) si potrà

È stata senza dubbio la protagonista indiscussa di un’era, da quando nel 1907 il chimico Leo Baekeland inventò la bachelite, una sostanza composta da fenolo e formaldeide che si modellava con il calore e che, una volta raffreddata, non poteva più cambiare forma: nasceva così la plastica, la prima termoindurente.

Questo materiale innovativo, pratico ed economico ha rivoluzionato il modo di vivere di ciascuno di noi, in ogni parte del pianeta ed è ancora oggi parte integrante della nostra quotidianità. L’avvento della plastica ha cambiato l’industria e il commercio, ma anche il mondo della medicina e della salute, della moda, dell’arte, dell’alimentazione, permettendo la produzione di oggetti complessi a costi contenuti, il miglioramento delle condizioni igieniche, l’allungamento dei tempi di conservazione degli alimenti e il miglioramento di ogni attività umana. Tuttavia questo indiscutibile esempio di progresso ha portato con sé non solo grandi vantaggi e benefici ma anche una problematica di altrettante grandi dimensioni, quella legata all’inquinamento ambientale.

Se tra il 1950 e il 1970 la produzione di plastica era limitata e quindi anche lo smaltimento dei rifiuti a questa connessi, a partire dal 2000 la produzione di rifiuti plastici è cresciuta in 10 anni più che nei precedenti 40. Oggi produciamo circa 300 milioni di tonnellate di plastica all’anno, quasi il peso dell’intera popolazione umana. Gli studi stimano che più di 8,3 miliardi di tonnellate di plastica sono state prodotte dagli anni ’50 ad oggi e circa il 60% di questa è finita in discariche o direttamente nell’ambiente. Entro i prossimi 30 anni, la previsione è che i rifiuti plastici saranno 12 miliardi di tonnellate in totale.

La dimostrazione di quanto questo problema abbia ormai raggiunto dimensioni difficili da controllare è la Great Pacific Garbage Patch, la più grande isola di plastica del mondo, situata al largo dell’Oceano Pacifico, una discarica galleggiante grande come il Canada. Ma la plastica è un problema non solo, per così dire, di grandi dimensioni. Il nostro pianeta, soffre anche a causa delle microplastiche, residui plastici dalle dimensione a volte impercettibile, ormai presente ovunque: dai ghiacciai artici fino agli alimenti che ingeriamo.

La plastica oggi è il terzo materiale più diffuso sulla Terra dopo l’acciaio e il cemento. Solo in Europa nel 2016 ne sono state prodotte 60 milioni di tonnellate, nel 2017, cinque milioni di tonnellate in più. Nel mondo, 335 milioni di tonnellate nel 2016, 348 milioni di tonnellate l’anno successivo.

Ma se i numeri della produzione e utilizzo sono così alti, lo stesso non si può dire di quelli relativi a riciclo e riuso dei materiali plastici una volta che hanno terminato il loro ciclo di vita. Ma che fine fa la plastica, quando non serve più? Secondo i dati raccolti da PlasticsEurope.org, nel 2016 in Europa circa 9 milioni di tonnellate di rifiuti sono stati destinati al riciclaggio. Il 31% di questi sono stati riciclati, il 27% è finito in discarica. In dieci anni (dal 2006 al 2016) la percentuale di plastica riciclata è aumentata del 79%, mentre è scesa del 43% quella destinata alle discariche. Nonostante un significativo miglioramento però, i numeri legati alle pratiche di riciclo e riuso sono ancora troppo bassi per immaginare un futuro ‘pulito’, libero dalla plastica. Inoltre, molte plastiche riciclate oggi, risultano di qualità inferiore rispetto a quelle di nuova fabbricazione e anche quelle biodegradabili spesso, una volta rigenerate, non garantiscono materiali di grande qualità. Per rendere più sostenibile il ciclo vita di questo materiale oltre a migliorare la gestione dei rifiuti e i sistemi di raccolta è necessario intervenire attraverso le nuove tecnologie. E in questo senso il contributo della chimica, può essere di grande aiuto.

In questa direzione sta andando anche il lavoro di un team di ricerca dell’Università di Costanza in Germania che studia un nuovo tipo di polietilene – uno dei tipi più comuni di plastica monouso – che può essere riciclato recuperando la maggior parte dei materiali di partenza – un procedimento molto difficile da eseguire con i materiali ad oggi esistenti e con gli attuali metodi di riciclaggio. Come spiegato dalla rivista Nature, utilizzando una fonte rinnovabile, il team tedesco ha realizzato un materiale robusto simile al polietilene, contenente gruppi chimici che possono essere più facilmente divisi rispetto a quelli presenti nella plastica convenzionale, consentendo al materiale di essere decostruito in fase di riciclaggio. Durante il processo di riciclaggio, gli scienziati sono stati in grado di recuperare quasi tutto il materiale di partenza e, da esso, ricostituire un materiale simile al polietilene.

La plastica è un composto di carbonio e idrogeno e molecole che, disposte in lunghe catene, generano polimeri. Ad oggi esistono più di trenta tipi di materie plastiche primarie che, combinate con una serie di additivi differenti, danno vita a migliaia di prodotti. Ma nonostante i grandi progressi fatti negli anni, l’ostacolo principale nello sviluppo di nuove forme di riciclo della plastica sta nel rompere i legami chimici in modo sistematico e farlo con un basso consumo energetico così da recuperare materiali utili a produrre nuove plastiche di pari qualità.

Esistono diversi metodi per dare alla plastica nuova vita. Attraverso il riciclo meccanico, che trasforma i rifiuti in plastica in materie prime o prodotti secondari senza una modifica sostanziale della struttura chimica del materiale; attraverso il recupero energetico, per quelle parti di rifiuti ricche di plastica che non possono essere riciclate in maniera sostenibile e attraverso il riciclo chimico.

Questo tipo di ricerca è vitale per il futuro del nostro ambiente e sta coinvolgendo sempre di più il mondo della ricerca ma anche quello dell’industria, ben consapevole di quanto sia urgente ridurre la produzione, occuparsi dello smaltimento e investire nello sviluppo. Ad oggi, un quinto delle aziende che producono o utilizzano imballaggi in plastica si è impegnato a rispettare il New Plastics Economy Global Commitment, un accordo globale lanciato nel 2018 dalla Ellen MacArthur Foundation insieme al Programma ambientale delle Nazioni Unite (UNEP) finalizzato a creare un’economia circolare per la plastica. Primi, importanti passi.

(Francesca Forzan, Il Bo Live, il giornale dell’Università di Padova cc by nc nd)

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