Venerdì, 03 maggio 2024 - ore 04.37

Uno scontro mai finito. RAR

La modernità e il modernismo, nell’immaginario collettivo del mondo arabo, divenne l’emanazione “del nemico

| Scritto da Redazione
Uno scontro mai finito.  RAR

Uno scontro mai finito.  RAR

 

Il progresso che la storia registra ha i suoi tempi evolutivi che non possono essere destinati a subire manomissioni  per ridurre o ampliare tali tempi. Appare chiaro, in questi tormentati momenti  di scontri, che la cultura arabo-musulmana,  non riesca a seguire i tempi e i ritmi della parte occidentale del mondo,  scatenando uno scontro che ci ricorda quando, nella diversità dei tempi e delle condizioni storiche, fu proprio il mondo occidentale a cercare lo scontro con il mondo arabo-musulmano, assumendo come motivazione  la liberazione delle terre ritenute sante dal cattolicesimo, che, da sempre, hanno fornito una identità al mondo occidentale: furono le crociate, al grido “Deus vult”,  Dio lo vuole.

Ora, a parti invertite, è il mondo arabo-musulmano che vuole lo scontro, ma come azione di rivalsa al nuovo colonialismo organizzato dal mondo occidentale per accaparrarsi le materie prime delle quali necessita, con in testa petrolio e gas di cui i paesi arabi sono ricchissimi; ma per dare maggior credito a tale scontro, e per attirare l’adesione nazional-popolare, viene messa in mezzo la religone, nuovamente in nome di Dio, che poi è il medesimo Dio, espressione massima delle religioni monoteiste.

Si ripete una storia mai conclusa, dove una parte si ritrova  a vantare le sue ragioni, accusando l’altra parte di essere in torto, mentre ragione e torto appartengono a entrambi. E potrebbero essere risolte se al posto dei campi di battaglia fossero utilizzati i tavoli diplomatici.

Più che una accusa, si tratta di una constatazione che ci informa come il mondo arabo-islamico sia in debito con la storia per almeno 600 anni, ritrovandosi, sotto un profilo culturale, come l’occidente si ritrovava nel Medio Evo. L’Illuminismo generò la svolta culturale per il mondo occidentale, cosa che non avvenne per il mondo arabo-islamico.

 Il senso della storia, la proiezione retrospettiva, la memoria del passato, il culto delle proprie origini come tasselli indispensabili per comprendere il presente, sono prerogative attive e produttive del mondo arabo, in tutta la sua estensione. Il solido legame con il retroterra ancestrale, ricco delle esperienze trascorse, consente il mantenimento in vita di quel cordone ombelicale che ogni arabo non ha mai reciso; l’affermazione più corrente che si può ascoltare da un arabo è quella di sentirsi legato, quasi prigioniero, alle sue radici. L’arabo è un membro di una famiglia o di una tribù di perenni nomadi, che vivono, da sempre, nello stesso deserto, grande quanto il mondo. Come nomadi per cultura vivono in un’oasi che sono pronti ad abbandonare quando l’erba si secca, ma portano dentro di loro il passato che non si cancella. E’ questa la loro soggettività sociale, il loro individualismo di popolo. La visione della vita acquista valore e profondità solo se osservata retrospettivamente: il presente come ineluttabile prosieguo del passato, propedeutico al futuro. Il passato acquista, così, la stessa valenza che hanno le fondazioni per un orgoglioso grattacielo, del quale possiamo intuire il futuro solo se ne conosciamo il passato, le basi su cui è edificato. L’attualità, il presente dimostrano la nostra esistenza, ma la nostra vita è dimostrata solo guardando indietro; lo sguardo verso il passato consente di tornare a vedere il nucleo stesso nel quale si è vissuto: la famiglia, la tribù, il clan, il villaggio, la patria. Per questa ragione la “civiltà della famiglia” è così sentita nei popoli arabi, in quanto nella famiglia si concretizza la proiezione del passato; l’evoluzione di tale civiltà ingloba, quindi, il villaggio, la città, la nazione e infine il mondo arabo nella sahmajrjia, la fratellanza araba.

E’ la ragione per la quale molti contenuti del modernismo occidentale vengono respinti dal mondo arabo. Si consuma un dramma esistenziale che non può trovare una soluzione se non si comprende la portata reale di quella cultura così radicata nel passato. L’Occidente-America, modernista e tecnologico, non è in grado di comprendere, per la sola ragione che non dispone di un proprio autonomo e antico passato che possa aver tracciato l’itinerario verso il futuro. Vige la regola dell’improvvisazione e delle scelte estemporanee, dettate da esigenze immediate, prive di programmazione, perché prive di una storia che li supporti. Il nemico di ieri diventa l’alleato di oggi e viceversa; gli eventi degli ultimi 50 anni dimostrano come la mancanza di una tradizione conduce ad un presente senza coerenza, stimolato solo dall’immediatezza delle scelte di comodo: dall’alleanza con lo scià di Persia alla sua destituzione, con l’accettazione dell’ayatollah Komeini, quindi la guerra contro Komeini per la quale fu incaricato, armato e protetto Saddam Hussein, all’alleanza con i talebani dell’Afganistan per contrastare le mire espansionistiche della Russia, tramite i buoni e ben remunerati uffici dello sceicco del terrore Bin Laden e del suo luogotenente il mullah Omar, quindi la cacciata dei talebani divenuti nemici distruggendo l’Afganistan e poi ancora la cacciata dell’ex-alleato Saddam, distruggendo l’Iraq e la nuova minaccia di un’altra azione bellica conto l’Iran e la Siria, quindi la caccia senza esito allo stesso Bin Laden che continuò, ancora a lungo,  a gestire la strategia del terrore, favorendo e giustificando le reazioni, rendendo agli USA il miglior servizio.

Chi sono gli ayatollah, chi sono gli sciiti che, in pratica, hanno vinto la guerra contro gli USA, trasformando gli occupanti in ostaggi ? La risposta è molto semplice: sono gli attuali alleati degli anglo-americani, contro i quali ben presto gli stessi anglo-americani si ritroveranno a dovere combattere, perché estromessi da ogni potere decisionale e dall’uso della forza nello scacchiere del petrolio. Riedizione degli errori commessi con i Talebani dell’Afganistan. L’Occidente-Europa potrebbe rappresentare un viatico verso un nuovo modello di reciproca comprensione; la storia, le tradizioni dell’Europa si mescolano con quelle del mondo arabo.

Ma l’Europa è, ancora, troppo distante per potere sperare in una integrazione con il mondo arabo senza la pretesa di volerlo europeizzare, ma nello stesso tempo è troppo vicina allo stesso mondo perché questi possa dimenticarsi dell’Europa e sviluppare un proprio modello di vita.

L’accettazione del modernismo, con tutto ciò che comporta sia in termini socio-economici che etici, comporterebbe l’accettazione di un modello che contrasta con le tradizioni antiche; da qui nasce la sconfitta araba davanti al progresso. La sconfitta fa parte integrante della cultura araba; gli eroi arabi sono spesso dei perdenti, da Annibale in poi. Accadde così anche nel Medio Evo, quando gli arabi conquistarono l’Africa, buona parte dell’Asia Minore e i paesi del Mediterraneo; successivamente alle conquiste arabe, l’Occidente, grazie alle scoperte che gli arabi non furono capaci di fare e, più tardi, grazie all’industrializzazione e alle conquiste coloniali, relegò il mondo arabo in un angolo della storia. La modernità e il modernismo, nell’immaginario collettivo del mondo arabo, divenne l’emanazione “del nemico”; se il progresso rappresenta l’emanazione del nemico, non resta loro altro che il passato e la tradizione, che si ergono come una torre d’avorio dove rinchiudersi.



Rosario Amico Roxas

997 visite
Petizioni online
Sondaggi online

Articoli della stessa categoria