Martedì, 14 maggio 2024 - ore 17.55

Attentati - Ripensare al nostro rapporto col mondo

La violenza cieca provoca tante vittime che hanno una sola colpa: trovarsi nel momento sbagliato al posto sbagliato.

| Scritto da Redazione
Attentati - Ripensare al nostro rapporto col mondo

La paura e' diventata un business

Se sul piatto in discussione vengono messe le supposizioni, vengono in primo piano gli esperti della guerra e della paura mentre il mondo avrebbe bisogno essenzialmente di esperti della pace. Le testimonianze diffuse via etere, cosi' come le immagini, portano piu' al voyeurismo che al dovere d'informazione. Non e' piu' informazione, e' una messa in scena. In tali circostanze, il dovere di informazione implicherebbe di considerare in secondo piano l'ossessione dell'Auditel. Occorre essere convinti che i terroristi sappiano meglio approfittare delle nostre debolezze che non delle loro.

La paura e' diventata un formidabile business. I media ci si buttano alacremente, gli esperti spuntano come margherite, i politici credono di essere dei capi guerrieri. L'isteria ha avuto il sopravvento sulla nostra Repubblica. Ne' un uomo ne' una donna politica per non pensare il mondo in modo diverso.

E per ogni proposta la legge del taglione, la legge dell'istinto animale, quella della vendetta. Gandhi diceva che applicando la legge dell'occhio per occhio, l'umanita' finira' per diventare cieca. E lo e' divenuta. Noi offriamo solo la guerra come risposta. La stessa risposta dei terroristi

Combattere il terrorismo con l'educazione

Il monaco buddista vietnamita Thich Nhat Hanh, nel suo rimarchevole libro “Lenire la mente alla violenza”, ci indica la via: “Le radici del terrorismo sono l'incomprensione, la paura, la collera e l'odio, e i militari non possono che identificarvisi. I missili e le bombe non possono raggiungerli, e ancor meno distruggerli”. “Quando la pakistana Malala, premio Nobel della pace a 17 anni dopo essere scappata dai talebani, ha incontrato Barack Obama, gli ha detto una cosa: smettete di combattere il terrorismo attraverso la guerra e fatelo con l'educazione e l'istruzione.

Noi altri occidentali pretendiamo di diffondere i valori universali nel mondo, ma la realta' e' che noi abbiamo una cultura della guerra profondamente radicata in noi. E' la riflessione che ho fatto quando ho visto la sfilata del 14 luglio. L'80% della parata e' consacrata alla guerra. Il 14 luglio e' la festa della nazione. Se le forze armate meritano la riconoscenza del nostro Paese, esse non possono essere le sole a rappresentarlo come simbolo. Perche', oltre ai vigili del fuoco, poliziotti e gendarmi, non fare sfilare i medici, i professori, gli infermieri e le infermiere, gli assistenti sociali, gli spazzini, i giovani, le persone portatrici di handicap e cosi' via?

Vi risparmio l'aspetto totalmente monarchico della messa in scena in quella parata, essendo Francois Hollande il solo nella tribuna ad avere una sedia di grande rilievo mentre tutti gli altri ufficiali avevano diritto solo ad una sedia normale...

Quali iniziative per la pace?

Ripensare il nostro rapporto col mondo, ecco l'urgenza. Mandela ricordava che gli oppressori e gli oppressi hanno un punto in comune: sono tutti privati della loro umanita'. Le vittime e i terroristi sono nella medesima situazione. Quando si ha come solo capo i sondaggi e l'Auditel, la demagogia e il sensazionalismo sembrano di gran lunga i migliori alleati. Questa isteria mediatico-politica diffonde la paura in tutto il Paese. Ci si puo' domandare in quale misura questa isteria non contribuisca di piu' al passaggio all'azione. Sarebbe utile fare una pausa dopo avvenimenti del genere in modo che i media e i politici riflettano sulle loro azioni e discorsi come antidoti alla violenza. Oggi essi non son un rimedio ma una formidabile cassa di risonanza che fa leva sulle emozioni.

Se la risposta basata sulla sicurezza e' incontestabilmente una parte della stessa risposta, essa non puo' essere messa in atto ne' promossa come il cuore dell'azione politica. Si ignora la lezione dell'Afghanistan, dell'Iraq e della Siria. Ma non si e' soprattutto degni della vecchia Europa che, con la voce di Dominique de Villepin nel 2003, ricordava dalla tribuna delle Nazioni Unite che se “l'opzione della guerra puo' sembrare a priori la piu' rapida, non dimentichiamo che dopo aver risposto con la guerra bisogna costruire la pace”.

La Francia ha inviato 5.000 soldati in Mali' per fare la guerra... e quante persone per fare la pace? Una sola, un diplomatico di rinforzo all'ambasciata francese.. Siano capaci di consacrare miliardi alla guerra, anni di operazioni militari attraverso il mondo, ma siamo capaci di fare i medesimi sforzi per la pace? E' vero che costruire la pace implica discrezione, umilta', perseveranza e tolleranza. Qualita' che io cerco sempre in seno alla classe politica francese.

 

(articolo di Laurent Bigot, ex-diplomatico francese oggi consulente indipendente, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 18/07/2016) 

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