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Brexit: il tempo stringe

| Scritto da Redazione
Brexit:  il tempo stringe

Il premier britannico sfida l’Unione Europea promuovendo una proposta di legge che violerebbe l’accordo di recesso per la Brexit. L’UE concede un ultimatum per il ritiro, annunciando che in caso negativo potrebbe fare ricorso e comminare sanzioni.

Il 1° febbraio 2020, dopo due anni di negoziati per definire il recesso del Regno Unito dall’Unione Europea, è ufficialmente entrato in vigore il “Withdrawal Agreement”. Composto da sei parti contenenti ciascuna disposizioni specifiche e da tre Protocolli aggiuntivi, il suo fine ultimo è delineare una Brexit “ordinata”. Come prevedibile tutto il percorso è stato segnato da vari ostacoli diplomatici, sfiorando più volte la possibilità di abbracciare il “No Deal” (nessun accordo).

Dal 1° febbraio quindi si è avviato il periodo di transizione che dovrebbe portare a una uscita del Regno Unito prevista per il 31 dicembre 2020. Tuttavia i negoziati tra Regno Unito e UE si sono rivelati fino ad ora improduttivi e l’eventualità di un’uscita senza accordo è sempre più reale.

Il cuore pulsante su cui attualmente si basano le discussioni è l’aspetto economico: entro fine anno i due attori dovrebbero accordarsi sulla linea da seguire per regolare le relazioni commerciali. La mossa clamorosa è stata causata da Boris Johnson, che ha presentato al Parlamento britannico un disegno di legge che andrebbe a modificare parti dell’accordo di recesso. La legge in questione – Internal Market Bill – ha suscitato scalpore, perché se approvata prevedrebbe la facoltà del Governo britannico di emanare regolamenti che violerebbero le norme internazionali, nello specifico le disposizioni previste nel Protocollo su Repubblica di Irlanda e Irlanda del Nord. Le ragioni della proposta sono proprio da ricercare in quest’ultimo Protocollo.

La questione nordirlandese nella storia è stata segnata da profonde divisioni che molto spesso sono degenerate in scontri violenti. Nel 1998 per placare le tensioni al confine di questi due Stati è stato stipulato l’accordo del Good Friday, che tratta anche di questioni commerciali-doganali. Il Good Friday è stato rispettato nel già citato Protocollo in cui, per volere delle parti, si scongiura il “Backstop”: la creazione di una frontiera fisica tra Irlanda e Irlanda del Nord.

Con la sua proposta, Boris Johnson è andato a ostacolare questo compromesso, spiegadno che per tutelare l’integrità territoriale del Regno Unito egli promuove il libero scambio con l’Irlanda del Nord.

L’Unione Europea ha quindi visto mettere in dubbio un accordo che mesi prima Johnson stesso aveva ratificato. Si rimprovera ora al premier inglese un cambio di rotta per promuovere le proprie finalità politiche. L’Internal Market, secondo l’UE, sarebbe una violazione all’accordo di recesso e come conseguenza Bruxelles minaccia azioni legali attraverso un ricorso alla Corte di Giustizia, che potrebbe anche arrivare a comminare sanzioni economiche per il Regno Unito. Dall’Unione arriva anche un ultimatum: entro fine settembre la proposta di legge deve essere ritirata.

Anche il vicepresidente della Commissione europea, Maros Sèfcòvic, ha espresso il proprio parere sulla questione, affermando che una violazione dell’accordo di recesso comporterebbe serie conseguenze legali ed economiche per il Regno Unito, oltre alla perdita di credibilità sulla scena internazionale. In un tweet del Commissario europeo si legge: “[…] Il Regno Unito ha gravemente danneggiato la fiducia tra l’UE e il Regno Unito. Spetta ora al Governo britannico ristabilire tale fiducia”.

Nello scenario politico britannico vari soggetti si sono schierati contro la proposta del premier: i suoi predecessori e alcuni consulenti del Governo, come nel caso delle dimissioni dell’avvocatessa Amal Clooney. Intanto Boris Johnson non dispera e continua l’iter per l’approvazione della legge che ha già ricevuto consensi presso la Camera Bassa e attende il vaglio della Camera dei Lord.

(Alessandra Fiorani, Il Caffè Geopolitico cc by nc

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