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Cosa vuole il terrorismo ? RAR

| Scritto da Redazione
Cosa vuole il terrorismo ? RAR

Ancora un attentato negli USA, colpita una manifestazione gioiosa come la maratona; i morti e i feriti sono scelti a caso, come sparare nel mucchio, segno che non erano gli obiettivi dell’attentato, perché il vero obiettivo è la popolazione intera, anche mondiale, per riaccendere le mai sopite paure ancestrali. E’ così che aleggia costantemente sulle nostre teste lo spauracchio terroristico, riesumato costantemente.
Cercare di chiarire il concetto di terrorismo, in questa sede, ci porterebbe lontano e sarebbe un discorso lungo e articolato. Assumiamo per buona l’identificazione che la cultura occidentale si spreca a propagandare, attribuendo agli  “altri” la volontà terroristica, ma assolvendo se stessi delle stragi che colpiscono civili inermi ed innocenti, identificando tali stragi come “effetti collaterali. 
Dobbiamo però chiederci:
“Qual è lo scopo dei terroristi ?”
“Quale strategia li ispira ?”.
Innanzitutto si deve prendere atto di avere di fronte una costellazione frazionata e non un soggetto monolitico; le definizioni siamo noi stessi a fornirle legittimando il terrorismo con l’ attribuzione di una compattezza ideale, programmatica e operativa che non ha.
Questa compattezza viene riconosciuta identificando nel terrorismo un nemico da abbattere con una dichiarazione di guerra totale. Ma le guerre si fanno in due e il terrorismo è, per definizione, unilaterale, non porta divise, non innalza bandiere, opera e agisce all’improvviso, vilmente, e colpisce nel mucchio con il solo scopo di seminare terrore. Il suo obiettivo non è “il nemico” da abbattere e combattere, ma il popolo-spettatore, vittima passiva, primo attore di una tragedia che non vuole recitare. La guerra globale al terrorismo dichiarata dall’America serve solo all’America stessa che può, così, incrementare il lucrosissimo circuito del commercio delle armi.
Dall’11 settembre le azioni terroristiche si sono incrementate, diventando quello che aspiravano ad essere: una minaccia diretta non alle nazioni, ma ai popoli. Per questo non può essere combattuto come si combattono le guerre vere, perché non si tratta di una guerra, mancando l’elemento primario che contraddistingue tutte le guerre e cioè lo scontro frontale. La predicazione impotente dichiara che “occorre alzare la guardia, inasprire i controlli”, trascurando che basta un coltellino per improvvisare una tragedia come quella dell’11 settembre.
Blindare l’intero Occidente significherebbe accettare e riconoscere la vittoria del terrorismo.
La sola via praticabile è quella della politica, della diplomazia e del dialogo.
Il terrorismo non ha una strategia perché non ha un modello di società da proporre, una eventuale destabilizzazione dell’Occidente non gli servirebbe; nello stesso tempo è sbagliata la strategia occidentale con la convinzione che il suo modello di vita possa e debba essere imposto a livello planetario. Il terrorismo si ribella a questa pretesa, mirando a terrorizzare, non a conquistare: il terrore è un mezzo, mentre il programma di conquista è un fine. L’idea di volere convertire il mondo intero all’Islam non è praticabile, a tale ipotesi nessuno potrebbe credere.
La guerra totale al terrorismo veste, però, gli stessi panni del terrorismo, colpendo nel mucchio, evitando lo scontro, stimolando, così, quella reazione rappresentata dagli atti terroristici.
Dalla guerra totale bisogna trasferirsi sul terreno della politica, della diplomazia e del dialogo accettando, riconoscendo e rispettando le differenze sociali, culturali e antropologiche.
Gli interessi delle lobbyes delle armi conducono verso un mare in tempesta, che finirebbe con l’annientare tutte le parti contendenti.
Circondare, assediare, condurre alla resa il terrorismo si può e di deve, ma non con il fragore dei missili intelligenti; l’unica alternativa possibile è l’assedio da parte della diplomazia, per ricondurre queste drammatiche controversie nell’alveo della politica e del dialogo, nell’umiltà di riconosce il diritto di tutti i popoli all’autodeterminazione, anche quando possiedono quel petrolio che ispira tutte le azioni dell’Occidente.
In nome di quale democrazia si accendono le guerre preventive ?
Perché bisogna adeguarsi alla nuova e moderna nomenclatura per tentare di capire.
Le guerre, da sempre, sono state  “interne”  o “esterne”; interne di difesa dalle aggressioni, esterne per aggredire; tertium non datur.
Lì’America della dinastia Bush ha inventato una terza forma di guerra: la guerra esterna di difesa; un assurdo dialettico al quale venne dato il nome di “guerra preventiva”, cioè certezza di una guerra per scongiurare la remota ipotesi di una guerra. Risulta ampiamente realizzabile che i popoli aggrediti dalla guerra preventiva tentino una estrema difesa, cioè una guerra interna di difesa; ma scatta la trappola ordita dall’aggressore per neutralizzare tale difesa: identifica i difensori della propria terra come “terroristi”, anche per evitare che la pubblica opinione li identifichi come “resistenti”. Nella guerra al “terrorismo” vengono bombardati indifferentemente un esercito in fuga, una aviazione inesistente, una forza marittima inadatta financo alla pesca d’altura; quindi si bombardano i mercati nelle ore di punta, le moschee nell’ara della preghiera, le scuole, gli autobus che trasportano bambini, banchetti di nozze….Non si tratta di una guerra, perché la guerra prevede lo scontro, si tratta di una mattanza, dove il soldato perde il senso dell’onore per trasformarsi in esecutore di condanne a morte comminate nel mucchio; si trasforma in torturatore dei prigionieri di guerra… Si tratta di una eccessiva manifestazione di forza diretta al popolo, non ai governi; è il popolo che deve essere terrorizzato perché possa arrendersi alla evidenza e subire silenziosamente.
Se il popolo non si arrende, allora viene acuita la “lotta al terrorismo”, senza neanche identificare tale terrorismo, al quale viene attribuita una capacità organizzativa che non ha, spinto come si trova dallo stato di necessità causato dall’aggressione subita.
La singolare menzogna dell’esportazione della democrazia, (quale democrazia e di chi?) attraverso l’orribile concetto della guerra preventiva al terrorismo, non è servita al governo americano soltanto per giustificare gli attacchi all’Afghanistan e all’Iraq, ma è stata ed è di supporto alla fase attuale del suo imperialismo in tutte quelle situazioni, politiche, geografiche e di qualsivoglia mercato internazionale in cui pulsano, prepotenti, i suoi interessi strategici.
La gestazione prima, e l’attuazione poi, di un simile atteggiamento di feroce aggressività, hanno avuto nella crisi economica il loro brodo di coltura. Già nella seconda parte degli anni novanta, ma con particolare progressione negli anni duemila, l’economia americana vive di una situazione straordinaria per intensità e vastità della sua crisi.
Persa nei decenni precedenti la sfida sulla competitività con l’Europa e il Giappone, e in tempi recenti anche con la Cina, indebitata sino al collo, sommando i debiti contratti con l’estero, quelli delle famiglie e delle imprese si arriva ad oltre il 300% del Pil. Sempre più dipendente per i suoi fabbisogni energetici dal petrolio internazionale (70%) e bisognosa di tre miliardi di dollari il giorno per fare fronte alle necessità di finanziamento dei suoi apparati economico-produttivi, tra cui quello militare che appare per essere una voragine senza fine, l’America non ha trovato di meglio che imporsi con la forza su tutti i terreni d’interesse vitale.
In primo luogo il mercato del petrolio, che è stato letteralmente devastato dalle incursioni militari made in Usa, poi la necessità di continuare ad imporre il ruolo dominante del dollaro sui mercati finanziari internazionali, di giocare a piacimento sui tassi d’interesse per consentire l’afflusso di capitali verso i centri finanziari americani ed infine costringere gli alleati e/o nemici a subire ogni sorta di decisioni e di accontentarsi delle giustificazioni addotte, anche se rozze e poco credibili.
Il tutto prende le mosse dall’11 settembre che per il governo Bush sarebbe la causa prima di ogni reazione, la madre di tutte le legittimazioni, il perno attorno al quale ruota la lotta al terrorismo internazionale. Il primo passo armato è stato quello della guerra in Afghanistan, già decisa ben prima dell’11 settembre, il secondo quello contro il regime di Saddam Hussein, che con il terrorismo internazionale e con al Qaeda non aveva legami di sorta. Da quel tragico momento, nell’esecuzione del quale le responsabilità del governo americano e delle sue maggiori Intelligence sono apparse chiaramente, ogni atto d’opposizione alla ferocia militare dell’imperialismo americano è stata etichettata di terrorismo.
L’italietta berlusconiana volle ergersi a grande potenza partecipando alla guerra in Iraq a sostegno di Bush, ma ipocritamente, chiamando quell’intervento militare “missione di pace”, mentre il contingente era sottoposto a Codice Militare di Guerra.
Contestualmente all’invio di tale contingente , che perse 19 uomini nell’attentato dio Nsassirjia, ipotetici imprenditori americani, finanziarono le fallimentari aziende di Berlusconi (Presidente del Consiglio) con n6,5 miliardi di dollari, salvandole da fallimento certo.
Per chi cr4ede a tali coincidenze occasionali, diciamo che si è trattato di una mera coincidenza, per cui finanziatori americani non avevano trovato di meglio dove investire i loro dollari e si sono rivolti al cavaliere.

Rosario Amico Roxas
17 aprile 2013

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