Fino all'ultimo, pur su posizioni sempre più scettiche, non ha mancato di ricordare di avere la tessera numero due di Forza Italia in tasca. Del partito di Berlusconi, Antonio Martino - scomparso stanotte all'età di 79 anni - era stato fondatore e a lungo custode di una linea politica liberale. La stessa che questo economista messinese - allievo di Milton Friedman e amico di Margaret Thatcher - aveva portato avanti strenuamente, in opposizione a uno statalismo bocciato anche per ragioni etiche e filosofiche: "Ogni società fondata sullo statalismo, sia esso marxista, fascista, democratico, è destinata a rovinare - ha scritto nel suo libro 'Semplicemente liberale' - per il semplice fatto che è in sé dispotica, in quanto assegna ad una oligarchia il potere di imporre regole di vita, sul presupposto che gli individui siano incapaci di badare a sé stessi".
Posizione che ha accompagnato la sua avventura accademica (è stato docente alla Sapienza e alla Luiss) e la sua carriera nelle istituzioni: dopo aver militato nel partito liberale come il padre Gaetano (uno dei promotori dell'Unione Europea), l'infatuazione per il progetto di Silvio Berlusconi nel 1993 e da allora deputato per sei legislature e ministro tre volte: prima agli Esteri, nel primo governo del Cavaliere, poi alla Difesa dal 2001 al 2006. Schivo e riservato, ma non privo di vis polemica, è stato scettico nei confronti dell'introduzione dell'euro, poi sostenitore della tesi che l'Iraq di Saddam Hussein avesse acquistato uranio dal Niger, ripresa da documenti ufficiali britannici e americani, si batté con successo per l'anticipo della sospensione della leva militare obbligatoria.